Lezioni Flashcards

1
Q

Cosa vuol dire “filosofia”?

A

La filosofia è amore per il sapere, ovvero è legata alla curiosità e alla passione per la conoscenza.
Tuttavia, questo amore per il sapere si concentra sulla pura teoresi, cioè sulla conoscenza teorica senza preoccuparsi di come applicarla nella pratica.
Infine, si sottolinea che la filosofia è una disciplina molto vasta e che può essere applicata a qualsiasi questione, tema o soggetto. In altre parole, la filosofia è uno strumento che ci permette di esplorare e comprendere il mondo intorno a noi in modo critico e approfondito.

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2
Q

Cosa indica il termine “persona”?

A

Origina dal greco “prosopon” che significa faccia o muso. Il termine è legato alla storia del teatro della Grecia antica, nella quale questa esperienza era vista come mistica, religiosa e catartica (catarsi come trasformazione interiore). All’interno del teatro c’era bisogno di amplificare la voce. Gli attori disponevano di una maschera per amplificare ancora di più la voce, e da qui il termine “prosopon”, cioè una maschera che si mette in faccia.. Una determinata maschera indicava un determinato personaggio all’interno di quella tragedia o commedia.

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3
Q

Cosa si indica con il termine “individuo”?

A

Individuo non è sinonimo di persona. È definibile come soggetto unico, che non si può dividere ulteriormente. L’individuo nella massa non ha un volto. Sono volti simili, quasi tutti uguali sia per il modo di vestire sia per il modo di proporsi nella massa. Nella massa noi non siamo persone, non abbiamo nomi o volti nostri. Quando siamo nella massa siamo neutri, siamo uno intercambiabile con un altro.

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4
Q

Cos’è il mito? E il logos?

A

Il mito, come racconto simbolico, può trasmettere significati profondi e complessi che possono sfuggire alla razionalità e alla logica. Il mito si distingue dal logos, che è invece la capacità di ragionamento, collegamento e spiegazione razionale.
Come esseri umani, persone, la nostra comprensione completa di chi siamo va oltre il discorso puramente logico, altrimenti saremmo riducibili ad un meccanismo.
L’uso del mito ci consente di avvicinarci a verità che potrebbero sfuggire all’analisi razionale.

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5
Q

Racconta il mito dell’androgino di Platone e come questi si colleghi con l’amore platonico.

A

Il mito dell’androgino di Platone narra che gli esseri umani originariamente erano sia maschi che femmine. Questi esseri sfidarono gli dei e Zeus per punirli, decise di dividerli in due, tagliando ogni creatura a metà. Da quel momento in poi, gli esseri umani furono destinati a cercare la loro metà perduta, la loro anima gemella, per sentirsi completi. Il mito dell’androgino di Platone era l’antefatto di un altro mito, il cosiddetto amore platonico. L’amore platonico va oltre il desiderio fisico o romantico e si riferisce all’amore per la bellezza e la perfezione ideale.

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6
Q

Cosa indica il termine “identità”?

A

L’identità può essere definita come la percezione soggettiva e costante di noi stessi come individui distinti. Ciò significa che riconosciamo di essere separati dagli altri e che le nostre esperienze e caratteristiche personali sono diverse da quelle degli altri. Essere medesimi a sé stessi significa mantenere una certa coerenza e continuità nella percezione e nella rappresentazione di sé stessi, nonostante i cambiamenti che si verificano nel corso del tempo e delle esperienze di vita.

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7
Q

Cos’è la fase dello specchio?

A

La fase dello specchio è una teoria sviluppata dal filosofo e psicoanalista francese Jacques Lacan, che descrive il processo di sviluppo dell’identità individuale. Secondo Lacan, la fase dello specchio avviene intorno ai 6 mesi di età, quando il bambino comincia a sviluppare la capacità di distinguere se stesso dagli altri. In questo periodo, il bambino si riconosce per la prima volta nello specchio. La fase dello specchio è importante perché rappresenta una tappa fondamentale nella costruzione dell’identità. Il bambino comincia a percepirsi come un soggetto separato dagli altri, separato dalla madre, dotato di un proprio corpo, una propria immagine e una propria identità, e, con il tempo, una propria autonomia.

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8
Q

Cosa sono le strategie adattive?

A

Le strategie adattative sono un meccanismo che riguarda una sorta di adattamento primario che l’essere umano utilizza nell’infanzia per tutelarsi al meglio all’interno dell’ambiente di appartenenza.
Abbiamo imparato che se in una determinata situazione aggiungiamo un determinato comportamento otterremo un risultato. La trappola dei meccanismi adattativi è che una volta instaurati si ripetono come un automatismo, continuiamo a comportarci in maniera inconsapevole in alcune situazioni. Se non diventiamo consapevoli di questo “giochetto psicologico” noi continueremo a comportarci in quel modo come degli automi

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9
Q

Come possiamo liberarci degli automatismi?

A

La trappola dei meccanismi adattativi è proprio il fatto che sono dei meccanismi, che una volta instaurati si ripetono come un automatismo. Noi avremo una progressiva capacità di uscita dagli automatismi che ci condizionano. Come diventa l’IO cosciente? Diventando sempre più capace ad esercitare l’essere adulti. Attraverso l’educazione, che ci permette di acquisire conoscenza di sé, arrivando all’io e non restando preda dell’inconscio. Gli educatori diventano coloro che sanno tirare fuori gli altri dal loro buio, dal loro caos, dalle loro difficoltà profonde, dai loro meccanismi e automatismi, che sono sempre una prigione perché possiamo rimanere incastrati

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10
Q

Quand’è che siamo considerati persone?

A

Noi siamo persone fin dall’inizio. Non è che un bambino è meno persona di suo nonno. Ci sono delle età in cui siamo più fragili e siamo più interdipendenti da altri, come per esempio il bambino molto piccolo o l’anziano malato. Una civiltà è più sviluppata nella misura in cui è attenta e sensibile a qualunque età della vita e rispetto alla persona, a prescindere dell’età, del sesso, ecc.

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11
Q

In cosa consisteva l’ermeneutica di Pareyson?

A

Luigi Pareyson è stato un importante filosofo del Novecento, è stato maestro di una scuola di pensiero che si chiama Ermeneutica. Questi pensatori hanno messo al centro del loro lavoro l’interpretazione.

L’ermeneutica di Pareyson è una filosofia che si concentra sull’atto dell’interpretazione. Secondo Pareyson, l’interpretazione è un processo continuo e soggettivo che coinvolge la comprensione e l’interazione con il mondo. Non esiste una sola interpretazione corretta, ma molteplici possibilità che si arricchiscono reciprocamente. Si crea così un circolo dialettico in cui l’interpretazione stessa influisce sulla nostra comprensione preesistente, mentre allo stesso tempo la nostra comprensione preesistente influisce sull’interpretazione che facciamo.

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12
Q

Cosa indicava il verbo “sapio”?

A

Il verbo “sapio” prima acquistare il significato di “sapere”, voleva dire: “avere gusto”. Sapere è avere gusto per ciò che c’è da scoprire, una persona che sa e che prova gusto per la vita.

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13
Q

La persona può essere esaurientemente definita quando la si considera come…?

A

Esistenza, Compito, Opera, Io.

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14
Q

Cosa indica il concetto di “dialettica”? E cosa si intende con l’espressione “dialettica concreta”?

A

Il concetto di dialettica indica un processo di confronto e interazione tra due o più concezioni o idee opposte, in cui queste si contrappongono, si confrontano e alla fine si uniscono in una sintesi superiore. Dire che una dialettica è concreta significa che noi ci stiamo riferendo alla nostra esperienza vivente data, non a un sistema di principi che per noi potrebbero risultare astratti e lontani.

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15
Q

Cosa significa che la persona può essere esaurientemente definita quando la si considera come esistenza?

A

Come esistenza, la persona deve essere considerata in una dialettica concreta di:
- Unità e dualità
- Passività e attività
- Definitezza e infinità

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16
Q

Spiega la dialettica tra unità e dualità

A

La persona deve essere considerata in una dialettica concreta di unità e di dualità.
Dualità perchè sono indeducibili l’uno dall’altra: non è che dalla situazione in cui mi trovo posso dedurre l’iniziativa che ho e viceversa.
Vi è un rapporto di unità perchè situazione e iniziativa sono inscindibili: per dar forma alle mie iniziative, ho bisogno di una situazione. L’uno rispetto l’altro è inscindibile: non ho mai una situazione senza iniziativa e un’iniziativa senza situazione.

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17
Q

Spiega la dialettica tra passività e attività

A

Situazione e iniziativa possono essere considerate ultilizzando altre due categorie che sono l’attività e la passività. La situazione è passività, in quanto la mia condizione di nascita, di territorio, di sesso, di genere, e di tutto ciò in cui ci siamo trovati a vivere fin dall’inizio, non dipende da me, non ho potuto scegliere. Sono tutte condizioni che prescindono dalla mia volontà, dalla mia scelta. Anche avere una dote è un elemento di passività, ad esempio scoprire di avere un talento musicale, è qualcosa di spontaneo, non ricavato da un impegno.
Nell’uomo non c’è passività che non si risolva in attività. La situazione data mi spinge in ogni caso verso l’azione: che sia un ostacolo che mi immobilizza o che sia un’occasione di iniziativa, il mio stato iniziale di passività si converte in attività. Anche quando non compiamo un’azione e restiamo passivi, in realtà stiamo agendo la passività. Ecco perchè attività e passività vanno considerate come una dialettica.

18
Q

Spiega la dialettica tra definitezza e infinità

A

La delimitazione del vivere in situazione mi rende definito, limitato. Ma questa definitezza non va scambiata con un giudizio di autolimitazione, ovvero credere che la limitatezza della situazione ci rende essere limitati. L’uomo è infinità di sviluppo, in quanto il processo di crescita e sviluppo non ha un limite definito o una fine definita. è un processo che può continuare in modo indefinito, senza raggiungere mai uno stato finale o un punto di arrivo definitivo.

19
Q

Cosa significa che la persona può essere esaurientemente definita quando la si considera come compito?

A

Come compito, la persona ha da essere considerata in una dialettica concreta di:
-plasticità e programmazione
-dedizione e obbligazione
-libertà e necessità.

20
Q

Spiega la dialettica tra plasticità e programmazione.

A

La plasticità si riferisce alla capacità dell’essere umano di adattarsi, cambiare e trasformarsi. L’uomo può cambiare se stesso e il suo modo di essere. Tuttavia, nonostante questa nostra possibilità di modellarci, siamo anche influenzati dall’ambiente, dalla cultura e dalle norme morali. Questi fattori ci forniscono una sorta di guida o programma che influisce sulle scelte che facciamo e sulle azioni che intraprendiamo.
Quindi, l’uomo è sia plasmato dalla sua storia e dall’influenza degli eventi passati, ma al tempo stesso ha la capacità di plasmare se stesso. Questa plasticità avviene all’interno di una programmazione o un quadro normativo che ci guida nella scelta delle azioni da intraprendere.

21
Q

Spiega la dialettica tra dedizione e obbligazione.

A

I nostri ideali, si traducono in meta a cui tendere, guida che orienta. Infatti, se vivo senza ideali sono disorientato. Il dovere morale, inteso come ascolto della mia coscienza, mi guida e mi permettere di comprendere quali sono i miei compiti e doveri per raggiungere il mio ideale. Compiti e doveri che assumiamo come amorosa dedizione, e non inteso come una schiavitù, un peso, obblighi provenienti dall’esterno a cui dobbiamo sottostare. Quando i compiti che assumiamo, corrispondono all’ideale che abbiamo, tutto risulta più semplice. Le prove e gli ostacoli che dovrò superare, non saranno un peso eccessivo da reggere, in quanto saranno in linea con l’ideale a cui tendiamo.

22
Q

Spiega la dialettica tra libertà e necessità.

A

L’uomo può avere più modelli di essere umano da seguire. Tra l’uomo che sono, e l’uomo che vorrei essere, si gioca la tensione tra il polo della libertà e della necessità. In questa dimensione c’è la materiazione (o materializzazione) del dovere, il fatto che noi assumiamo il compito che abbiamo scelto. Libertà, in quanto l’uomo può scegliere i modi, le strade, gli strumenti per realizzarsi, per tendere a quell’ideale. Necessità, in quanto la situazione in cui egli si trova è data, è inevitabile, come le conseguenze derivanti dalle sue azioni. E’ una lotta, costa fatica raggiungere l’ideale che abbiamo scelto, ma è una fatica che ripaga, che non schiaccia, che eleva sempre di più l’ideale. E’ una fatica che non opprime, in quanto è coerente con i nostri ideali. Attenzione però, bisogna distinguere anche il caso di chi in età adulta non trasforma mai le possibilità in realtà. Come il Don Giovanni Mozartiano che non sa mai quale donna scegliere, non sa in realtà definirsi; oppure come il marito borghese, accasato, istituito, che ha raggiunto perfettamente tutti gli obiettivi socialmente stabiliti, in realtà non sa nemmeno perchè fa qeullo che fa. Sono entrambe due figure disperate, perchè non sono riusciti a scegliersi e a determinarsi in maniera libera.

23
Q

Cosa indica la parola “telos”?

A

E’ un termine di origine greca. In filosofia indica lo scopo o la finalità verso cui tende un essere o un’azione.
Ci dirigiamo verso chi vogliamo essere, verso chi ci piacerebbe essere.

24
Q

Cosa significa che la persona può essere esaurientemente definita quando la si considera come opera?

A

Come opera, la persona ha da essere considerata in una dialettica concreta di:
- Universalità e singolarità
- Totalità e insufficienza
- Novità ed esemplarità

25
Q

Spiega la dialettica tra universalità e singolarità

A

Non dobbiamo confondere il termine singolarità con individualità. Possono sembrare sinonimi apparentemente, ma non lo sono. L’individualismo è una degenerazione dell’io umano maturo. la singolarità invece è una dimensione che appartiene alla persona educata, che non è mai individualista, perchè comprende il senso della relazione e della fondamentale importanza della ricchezza delle relazioni, e quindi comprende il significato dell’universalità dei diritti. L’universale va assieme al singolare, in quanto tende all’unum che ognuno ha e che lo rende irripetibile, ma è qualcosa di universale che tutti hanno.
Dobbiamo distinguere universalità e singolarismo, dal totalitarismo e dall’individualità La totalità chiude, mentre l’universalità apre e non esclude nessuno. L’individualismo esalta la dimensione dell’io individuale, inteso come individuo, colui che nella massa non ha volto e si ripete infinite volte. La singolarità invece considera l’unum, ciò che rende ogni essere umano, unico e irripetibile.

26
Q

Spiega la dialettica tra totalità e insufficienza

A

Quando parliamo della persona come opera, la totalità indica il fatto che la persona può, in quanto opera, definirsi completa, conclusa, definita. Al tempo stesso, come abbiamo visto, l’uomo ha infinite possibilità di apertura, ecco che l’insufficienza spiega l’apertura al possibile cambiamento, alla contestazione, alla rielaborazione e quindi sempre in attesa di una conclusione. L’opera diventa quindi un lavoro in continua evoluzione, anche se in ogni istante rappresenta una totalità conclusa.

27
Q

Spiega la dialettica tra novità ed esemplarità

A

La dialettica tra novità ed esemplarità rappreenta la tensione tra l’unicità e irripetibilità dell’essere umano, e divenire per questo, un modello esemplare per gli altri. Ogni essere umano porta in questo mondo qualcosa di nuovo, di originale. Questa originalità può diventare un esempio per gli altri, ma non perchè devono imitare l’altro, ma perchè spronati ad incarnare essi stessi la loro originalità.
Inoltre, arriva un momento nella vita (uno dei tanti che possono accadere), che rappresentano un’apice, un’intuizione, un’acquisizione di sé che non vogliamo più perdere e da cui non vogliamo più tornare indietro: il culmine che abbiamo raggiunto rappresenta per noi un ideale a cui si vuole tener fede.

28
Q

Cosa significa che la persona può essere esaurientemente definita quando la si considera come io?

A

Come io, la persona ha da essere considerata in una dialettica concreta di:
- Persona e opere
- Sostanza e responsabilità
- Universalità e personalità

29
Q

Spiega la dialettica tra persona e opere

A

Le opere che noi facciamo, le trascendiamo. Noi non siamo quelle opere. Anche le opere che noi produciamo, sono indipendenti da noi, in quanto presentano una loro personalità.
Allo stesso modo, io stesso sono un’opera, un’opera che si autoproduce, sono un auto-opera, in quanto le mie stesse opere, intese come qualsiasi cosa io faccia, in quanto noi siamo sempre iniziativa, contribuiscono a creare l’opera che io sono.

30
Q

Spiega la dialettica tra sostanza e responsabilità

A

Il nesso tra persona e le sue opere, è la sostanza storica della persona, che è diventata ciò che è attraverso le sue esperienze, le scelte e le sue azioni.
Tuttavia, al di là di questa sostanza storica, c’è un’essenza più profonda, ovvero la responsabilità, ciò che ci permette di dire di “io”. Questa responsabilità rappresenta l’accettazione di rispondere di tutto ciò che si è e si fa.

31
Q

Spiega la dialettica tra universalità e personalità

A

In questa dialettica tra universalità e personalità, il pensiero è l’elemento universale, che noi tutti possediamo e siamo in grado di esercitare, mentre la personalità rappresenta il personale utilizzo che faccio del mio pensiero.
Tutti noi siamo dotati di pensiero, tutti noi possiamo pensare e questa caratteristica rende il pensiero universale. D’altro canto però, ognuno grazie alla sua singolarità produce pensieri diversi dagli altri, mai uguali, dunque, è sempre questione di interpretazione personale perchè non esiste pensiero standardizzato (salvo nei casi in cui consideriamo slogan, ideologie e pubblicità).

32
Q

Esponi la differenza tra la conoscenza degli altri e la conoscenza del sé.

A

Per comprendere come avvenga la conoscenza degli altri, dobbiamo connetterla con la conoscenza di sé. Nonostante le differenze, c’è un rapporto ce le unisce e fa si che ciascuna rechi all’altra il contribuito del proprio punto di vista.
La conoscenza di sé è interna al proprio oggetto, in quanto il soggetto è prima attore che spettatore. Questo rende difficile conoscere noi stessi, più di qualunque altro oggetto da conoscere.
La conoscenza di sé stessi è inseparabile da ciò che sono e da ciò che divengo, perché la conoscenza stessa di me condiziona sia il mio modo di essere, vivere e pensare, e allo stesso tempo condiziona le operazioni con cui mi modifico e trasformo.
Nonostante conoscere sé stessi sia molto difficile, è anche da considerare un privilegio: il privilegio di conoscerci intimamente, l’intimità di me con me stesso.
La posizione in cui mi trovo nella conoscenza di me stesso, ovvero soggetto e oggetto allo stesso tempo, può portarmi a delle illusioni ottiche, ad avere un’immagine di me distorta.
Nella conoscenza degli altri invece il soggetto è spettatore, quindi esterno al suo oggetto. Questo mi permette di adottare diversi punti di vista, al punto da trovare quello più adeguato che mi permette di conoscere l’altro.
L’interesse, la curiosità, la simpatia e l’amore sono i mezzi che rendono più favorevole la conoscenza dell’altro.
L’esteriorità dell’oggetto, e quindi dell’altro, che può sembrare una barriera, un limite alla conoscenza dell’altro, un’inaccessibilità, un inevitabile fallimento, in realtà fa parte della struttura di questa forma di conoscenza.
Un costante e intenzionale sforzo ci permette di conoscere l’altro, ma è necessaria l’intenzionalità, ovvero l’intenzione di conoscere l’altro, e la costanza, ovvero la capacità perseverare nonostante le difficoltà e gli ostacoli che si possono incontrare. Questo mi permette di penetrare nella realtà dell’altro senza confonderla con la mia, senza sovrapporla. La mia realtà deve servirmi come guida per conoscere la realtà dell’altro. Non dimenticandoci che come noi siamo esseri in continua evoluzione e cambiamento, così lo è anche l’altro. Dobbiamo prestare attenzione a confondere la conoscenza dell’altro come una conoscenza statica, una fotografia di un determinato momento della loro storia. I scenari possono cambiare perchè anche gli altri sono alla continua ricerca di conoscere sé stessi e, se il percorso dell’altro è autentico, se la loro coscienza è formata e coltivata, non devo meravigliarmi di osservare dei cambiamenti nell’altro, perchè cercheranno di fare del loro meglio per divenire sé stessi.

33
Q

Cosa significa l’espressione “post-umano” e perchè è più interessante ragionare sull’espressione “meta-umano”?

A

“Post umano” si riferisce all’idea che l’essere umano può raggiungere una condizione che va oltre l’essere umano, sia a livello fisico che cognitivo. Indica il raggiungimento di un livello superiore reso possibile dall’utilizzo della tecnologia avanzata (intelligenza artificiale, robotica…).
La tecnologia può potenziare le nostre capacità, ma questo non cambia la nostra essenza umana.
Il concetto di post-umano non funziona perché non indica chi siamo diventati. L’espressione post-umano non è una categoria valida da utilizzare per diversi motivi:
- E’ una moda del momento, e quindi destinata ad essere passeggera;
- L’utilizzo del prefisso “post” è un modo generico per definire che siamo qualcosa d’altro rispetto a chi ci ha preceduto, ma non dice cosa abbiamo capito di essere.
Il concetto di “meta-umano” è più interessante perché considera l’importanza della consapevolezza di sé, la conoscenza di sé e il prendersi cura di sé stessi, l’esplorazione della coscienza che va oltre il semplice funzionamento cerebrale.
Il termine post-umano si riferisce a un’evoluzione o trasformazione che supera i limiti biologici dell’essere umano attraverso l’uso della tecnologia. D’altra parte il concetto di meta-umano si focalizza maggiormente sulla conoscenza di sé, sulla cura di sé che favorisce questa conoscenza, sulle possibilità di migliorare ed evolverci e quindi avere sempre più comprensione di chi siamo, della nostra essenza umana.

34
Q

All’interno della reciproca integrazione fra conoscenza degli altri e conoscenza di sé, abbiamo discusso della pluridimensionalità estatica.

A

La “pluridimensionalità estatica” si articola attraverso tre diverse dimensioni con cui impariamo a riconoscere la nostra identità:
-il corpo viene descritto come la prima forma di “alterità”, ovvero il primo “altro” rispetto a noi stessi. Il corpo cambia continuamente, rendendoci diversi da un momento all’altro. Ma sebbene ci identifichiamo con il nostro corpo (per esempio, dicendo “ho mal di denti”), siamo consapevoli di non essere solamente il nostro corpo. Il nostro corpo è quindi visto come un mezzo per esprimerci e manifestarci, è l’incarnazione della nostra “ipseità”, o l’essenza unica e invariabile del nostro io.
- la coscienza e l’autocoscenza, il fatto di sapere chi siamo. Essere coscienti di chi siamo. La nostra coscienza come appercezione trascendentale ci permette di unificare e integrare le nostre esperienze percettive e sensoriali in un’esperienza coerente e significativa del mondo. Quando interagiamo con gli altri tramite il linguaggio, ad esempio, le parole pronunciate ci raggiungono come stimoli sensoriali, ma è grazie al processo di elaborazione cognitiva, che coinvolge la nostra appercezione trascendentale, che siamo in grado di dare un senso e un significato coerente al discorso complessivo.
- il rapporto con gli altri: oltre alla consapevolezza del nostro corpo e della nostra autocoscienza, siamo anche consapevoli dell’esistenza degli altri, intesi come altri “alter ego”, altri io: individui simili a noi, ma non identici.
È importante comprendere il significato di altro in quanto “alter” (l’altro diverso da me, ma che è come me) e non come “alius” (l’altro che non conosco, l’altro alieno).
Questa consapevolezza degli altri come individui separati è un altro aspetto chiave dell’identità umana.

35
Q

Il concetto di somiglianza e inseparabilità dell’universale e del personale.

A

La ragione profonda di questo nesso essenziale fra la conoscenza di sé e la conoscenza degli altri, sta nel fatto che gli uomini sono uniti tra loro da un rapporto di SIMILARITA’.
Il concetto di similarità si riconnette col carattere sempre personale dell’universale. Ognuno di noi è un ESECUZIONE PERSONALE DELL’UMANITA’ COMUNE a tutti gli uomini.

Ognuno di noi è chiamato a realizzare l’umanità come compito universale, che però si realizza a partire dalla singolarità di ognuno di noi e rende ogni esecuzione diversa dalle altre.
Questa similarità che ci unisce e al tempo stesso ci distingue, si manifesta nella personale iniziativa con cui ognuno di noi interpreta e realizza a modo suo l’umanità.
Questa somiglianza però non significa che l’altro può sostituirsi a me, o che io posso sostituirmi all’altro: l’altro è fuori dal perimetro della mia pelle, può toccarmi, abbracciarmi, ma non c’è modo di sostituzione né con il corpo né con la coscienza.
Il concetto di somiglianza non significa che l’altro sia come me, ma che sul piano dell’universalità l’altro è un essere umano come me, con la mia stessa dignità.

36
Q

Reciproca integrazione fra conoscenza degli altri e conoscenza di sé

A

Nella conoscenza di sé tendiamo a lasciare la persona aperta e inconclusa, mettendo in primo piano la libertà, l’azione e la scelta; la consocenza degli altri invece tende a mettere la persona in una totalità, in una definitezza, e mette in primo piano il carattere, il passato e il già fatto.
Sono due forme di conoscenza che dovrebbero integrarsi a vicenda: nella conoscenza di sé si dovrebbe considerare anche il carattere, l’inconscio, il proprio passato, quanto è già a stato fatto; mentre la conoscenza degli altri dovrebbe considerare anche l’aspetto della libertà come innovatrice.
Una persona non può essere considerata soltanto per ciò che è riuscita a fare in modo libero e creativo della sua situazione; bisogna anche considerare che la persona è il processo di un passato, di una storia, di un inconscio che naturalmente penetra nelle sue azioni, nei suoi pensieri, e influenza la libertà di cui dispone.
Il modo che più sicuro che abbiamo per correggere la conoscenza di noi stessi, è ricorrere all’idea che gli altri hanno di noi. Nel processo della conoscenza di me stesso, sono impegnato allo stesso tempo, nelle mie azioni e questo può rendere complesso il già difficile tentativo di conoscermi. Gli altri, non essendo immersi nella mia realtà, nelle mie azioni, hanno più possibilità di me di conoscere il mio carattere, le mie abitudini, le mie tendenze.
Ecco perchè è fondamentale per conoscere sé stessi, integrare ai miei dati di introspezione anche quelli provenienti dalla conoscenza che gli altri hanno di me.

37
Q

L’esperienza temporale dell’uomo

A

Il concetto di tempo è molto ampio in filosofia. Per prima cosa dobbiamo considerare l’inafferrabilità del tempo in quanto: il momento presente, diviene subito passato. Il futuro, una volta raggiunto anch’esso si trasforma in passato.
Le estasi temporali, sono le dimensioni attraverso cui il tempo si manifesta all’essere umano, come zampilli d’acqua provenienti da una fonte.
Il filosofo Bergson descrive il tempo dell’essere umano, come il “tempo interiore”, come un tempo non misurabile oggettivamente in quanto si svolge all’interno di ciascuno di noi in maniera differente. Il tempo interno non ha nulla a che fare con il tempo dell’orologio che è un tempo creato convenzionalmente per disporre di un linguaggio comune. La temporalità interna riguarda il sentirsi viventi, la percezione di sé come umano vivente.

38
Q

La conoscenza degli altri come interpretazione

A

Non è possibile conoscere l’altro in modo oggettivo, come se mi accingessi a conoscere la composizione chimica di un materiale. Degli altri è possibile soltanto un’interpretazione.
Ma è necessario un lungo e difficile esercizio di interpretazione per giungere a una profonda conoscenza. Difficile in quanto la conoscenza degli altri è aumentata dal fatto che gli altri sono sempre aperti e incompiuti: non si lasciano ridurre a totalità concluse.
E’ facile cadere nella trappola di fissare la persona negli istanti in cui ci relazioniamo, come una fotografia fatta in un preciso momento. Bisogna invece considerare la sostanza storica della persona e la sua libera iniziativa che l’apre a un’infinità di possibilità.
Posso raggiungere l’altro e conoscerlo, solo se all’altro mi rivelo per la mia singolarità e con estrema delicatezza penetro nella sua.

39
Q

Per quale motivo nella nostra grammatica il plurale è maschile?

A

Utilizziamo il maschile in modo universale per motivazioni di potere. Il corpo dell’uomo è considerato più forte, la donna è reputata più fragile (spesso si moriva durante il parto). Le diverse esperienze storiche a cui ci riferiamo, propongo il maschile come universale.
Siamo abituati ad usare maschile e femminile per le mansioni più umili (operaio/operaia, maestro/maestra), mentre le mansioni considerate importanti, per essere tali, devono essere riferite al maschile (avvocato, magistrato). Questo meccanismo deriva da questa nostra mentalità patriarcale, in quanto se voglio essere riconosciuta nella mia facoltà, in quanto donna, l’unico modo per farlo è definirmi al maschile. Ma si tratta di un ragionamento paradossale, un vero e proprio controsenso: per darci valore ci sminuiamo attraverso l’uso del maschile, e quindi confermiamo che il maschile è più potente del femminile, quasi vanificando gli sforzi del passato per ottenere parità di genere.

40
Q

Sulla questione di genere, quale è stata l’ideologia interpretativa di Aristotele?

A

la medicina antica pensava che il corpo delle donne fosse come un vaso, un recettore e che il seme fosse un homunculus (omino deformato). L’idea era che l’uomo metteva un omino nel corpo della donna che poi cresce durante i 9 mesi di gestazione e se tutto va bene, avrà pure un pene, se le cose non vanno bene, gli mancherà un pezzo e sarà una donna. Ecco come si può dare anche a un dato chiaramente biologico, già una sovrastruttura ideologica. Data una constatazione di tipo medico o biologica stiamo già dicendo che una cosa è più importante di un altro, o più giusta. Che una appartiene a un ordinamento superiore all’altra.

41
Q

Che cosa significa essere inclusivi?

A

L’inclusività implica il rispetto della vita umana come un assoluto. La dignità umana è riconoscere e rispettare l’umanità nell’altro come me. Essere inclusivi significa non escludere, non lasciare fuori e indietro nessuno.Perché il principio a cui ci affidiamo è quello del riconoscimento dell’umanità nell’altro come in me

42
Q

Quale rischio corriamo nell’essere inclusivi?

A

Il rischio che corriamo è l’omologazione, la negazione delle tante differenze che invece sono ricchezza dello spirito umano.

Esempio: la divisa dei ferrovieri → nel momento in cui sono entrate in massa le ferroviere nel lavoro, p stata data loro in eredità la cravatta come nella divisa maschile. Il rischio è non accorgersi più che esistono le differenze. A una ferroviera potrebbe piacere di più una camicetta aperta piuttosto della cravatta. Si rischia l’appiattimento su un unica forma: abbigliamento, cibo, modo di vivere… il famoso pensiero unico.