P5C2 Le singole pene, misure alternative alla detenzione e sanzioni sostitutive Flashcards

1
Q

[1] Pene principali

Pene principali

A

Il legislatore, disciplinando il Titolo II del Libro I del Codice Penale, ha operato una prima distinzione tra pene principali e pene accessorie.

DISTINZIONE: PENE PRINC DELITTI E CONTRAVV
L’art. 17 c.p. dispone che le pene principali stabilite per i delitti sono:
- la morte
- l’ergastolo
- la reclusione
- la multa
E che le pene principali per le contravvenzioni sono:
- l’arresto
- l’ammenda.

DISTINZIONE: PENE PRINC DETENTIVE E PECUNIARIE
Un’ulteriore distinzione è posta dall’art. 18 che definisce come pene detentive o restrittive della libertà personale:
- l’ergastolo
- la reclusione
- l’arresto
e come pene pecuniarie:
- la multa
- l’ammenda.

ALTRE 2 PENE PRINCIPALI
Il d.lgs. 274/2000 ha affiancato a quelle previste dal codice 2 ulteriori pene principali:
- la permanenza domiciliare
- lavoro di pubblica utilità
Tali sanzioni si applicano soltanto in riferimento ai reati di competenza del giudice di pace tassativamente indicati dal decreto.
Infine, attraverso la legge delega 64/2014 sono state introdotte nell’ordinamento anche:
- la reclusione domiciliare
- l’arresto domiciliare.

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2
Q

L’ergastolo è compatibile con la grazia e con il reinserimento nella società??

A

Inoltre, è compatibile con la grazia e con la possibilità di un inserimento del condannato nella società libera. Il ridimensionamento si è poi avuto grazie all’introduzione per gli ergastolani, dei benefici della liberazione condizionale, della semilibertà e della liberazione anticipata.

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3
Q

Ergastolo e minori di 18 anni

A

Con la successiva sent. n. 168/1994 la Consulta ha affermato l’incompatibilità tra la pena perpetua e l’età minore del reo.

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4
Q

Pene principali: Ergastolo

A

ERGASTOLO: IN GENERALE
La pena di morte è stata definitivamente assorbita in quella dell’ergastolo che ai sensi dell’art. 22 c.p. si caratterizza per essere perpetua (cioè a vita), per svolgersi in uno degli stabilimenti specificatamente destinati, ove il detenuto è sottoposto all’obbligo di lavoro che può essere anche all’aperto, e al regime di isolamento notturno.
La Corte costituzionale ha affermato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 c.p. nei confronti dell’art. 27 Cost. perché la pena dell’ergastolo, a seguito dell’entrata in vigore dell’ordinamento penitenziario, ha cessato di essere una pena perpetua, quindi non può dirsi contraria al senso di umanità.
La l. n. 663/1986 prevede la possibile concessione di permessi-premio dopo 10 anni di espiazione della pena, per periodi non superiori a 15 giorni per volta e per un massimo di 45 giorni annui, al fine di coltivare interessi affettivi, culturali, e di lavoro.

REATI PUNITI CON ERGASTOLO
Sono puniti con l’ergastolo alcuni delitti contro la personalità dello Stato, contro l’incolumità pubblica, contro la vita e tutti i delitti prima puniti con la pena di morte.

L’ergastolo è inoltre applicabile nelle ipotesi in cui **concorrono più delitti **per ognuno dei quali è prevista la pena non inferiore a 24 anni di reclusione.

PUBBLICITÀ DELLA PENA DELL’ERGASTOLO
La sentenza che infligge l’ergastolo deve essere resa pubblica mediante affissione nel comune dove è stata pronunciata ed in quello ove il delitto è stato commesso, in quello in cui il condannato aveva l’ultima residenza, nonché a sue spese la** pubblicazione su alcuni giornali a scelta del giudice**.

ERGASTOLO E INTERDIZIONE
La condanna all’ergastolo comporta sempre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, l’interdizione legale, la perdita della patria potestà, l’incapacità di testare e la nullità del testamento fatto precedentemente alla condanna.

CIRCOSTANZE ATTENUANTI NELL’ERGASTOLO
Regole particolari sono previste in materia di circostanze in quanto qualora ricorra:
- una circostanza attenuante, alla pena dell’ergastolo è sostituita la reclusione da 20 a 24 anni,
- concorso di più circostanze attenuanti la pena da applicare per effetto della diminuzione non può essere inferiore a 10 anni di reclusione se per il delitto la legge prevede l’ergastolo.

PRESCRIZIONE ED ERGASTOLO
Se si tratta il diritto per cui la legge stabilisce l’ergastolo, la prescrizione non estingue il reato né la pena.

ERGASTOLO E CAUSE DI ESTINZIONE DELLA PENA
Estinta la pena dell’ergastolo per l’effetto dell’amnistia, dell’indulto o della grazia, la pena detentiva temporanea, inflitta per un reato concorrente, è regolata secondo le norme dell’art. 184.
Da ultimo, in tema di ergastolo, è necessario tenere conto della riforma del rito abbreviato operata con la l. n. 33/2019, che rende tale procedimento speciale non più applicabile ai delitti puniti con l’ergastolo

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5
Q

Ergastolo ostativo e Costituzione

A

Con l’espressione “ergastolo ostativo” si intende il particolare tipo di regime penitenziario previsto dall’art. 4 bis ord. pen. che esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari gli autori di taluni reati particolarmente gravi, ove il soggetto condannato non collabori con la giustizia o tale collaborazione sia impossibile o irrilevante.

GIURISPRUDENZA SULL’ERGASTOLO OSTATIVO
CORTE COSTITUZIONALE
In tema, la Corte costituzionale ha di recente cambiato orientamento: se fino a pochi anni addietro la Consulta aveva ritenuto costituzionalmente compatibile anche l’ergastolo ostativo, argomentando a partire dalla polifunzionalità della pena, oggi la Consulta ritiene la funzione rieducativa come ‘non sacrificabile’ sull’altare di altre, pur legittime, funzioni della pena (Corte Cost., n. 149/2018 e n. 253/2019).

CORTE EDU E LA SENTENZA VIOLA
Il mutamento di approccio riscontrabile nella giurisprudenza costituzionale va di pari passo con l’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU, culminata nella sentenza Viola c. Italia del 13 giugno 2019, in cui la Corte ha ritenuto il meccanismo dell’ergastolo ostativo incompatibile con l’art. 3 della CEDU nella parte in cui si fonda su di una presunzione di pericolosità assoluta e non superabile senza collaborazione.
Nella sentenza Viola, la Corte EDU essenzialmente rileva che non è vero che la scelta di collaborare con la giustizia sia una scelta libera, e che dunque il condannato “è artefice del proprio destino”: il detenuto potrebbe infatti non voler collaborare per non esporre sé e i propri cari a rischio, ma questo non significa
che egli non si sia dissociato dall’associazione. Pertanto, è irragionevole ritenere che la mancanza di collaborazione comporti automaticamente, e senza possibilità di fornire la prova contraria, la persistente pericolosità sociale del detenuto.
In questo modo infatti non si attribuisce nessuna rilevanza al percorso rieducativo compiuto dal condannato e al suo cambiamento, che è ben possibile nonostante l’assenza di collaborazione con la giustizia.

DI NUOVO LA CORTE COSTITUZIONALE
Le criticità individuate dalla Corte EDU hanno condotto di recente la Corte costituzionale, nella sentenza n. 253/2019, a dichiarare la parziale incostituzionalità dell’art. 4 bis ord. pen. nella parte in cui impedisce l’accesso ai permessi premio dei condannati per “reati ostativi” non collaboranti, senza consentire loro di fornire una prova della propria dissociazione dall’organizzazione criminale di appartenenza e dell’impossibilità di ristabilire tali legami. Come la Corte EDU, anche la Consulta ritiene che il problema dell’art. 4 bis ord. pen. sia l’assolutezza della presunzione di pericolosità che il legislatore riconnette alla mancanza di collaborazione.

COME PROVARE LA NON PERICOLOSITA’ NEI REATI OSTATIVI?
La Corte si premura anche di chiarire qual è la prova che deve essere fornita dal condannato al fine di poter accedere ai permessi premio. Poiché i sodalizi di tipo mafioso si connotano per una particolare intensità e stabilità nel tempo dei legami tra singolo associato e sodalizio, non è sufficiente che il condannato per reato ostativo dimostri di aver tenuto una condotta regolare: egli deve infatti allegare specificamente elementi da cui possa desumersi l’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e l’impossibilità di un loro ripristino. A queste condizioni, vagliate dal giudice, anche il condannato per reati ostativi non collaborante potrà dunque accedere ai permessi premio.
Più di recente, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi relativamente all’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis ord. pen. in riferimento, stavolta, all’impossibilità di accedere al beneficio della libertà condizionale. Con l’ordinanza n. 97 del 2021 la Corte torna ad utilizzare, per la terza volta, la tecnica decisoria – di recente conio – del rinvio «ad incostituzionalità differita» (rinviando ad una successiva data, con sospensione del giudizio a quo, la trattazione delle questioni sollevate, con l’invito rivolto al legislatore di intervenire con una modifica legislativa).

INTERVENTO DI INASPRIMENTO DEL LEGISLATORE (leggilo e basta e vai alla conclusione)
Il legislatore, nonostante un differimento del primo termine, è intervenuto di recente con una modifica sostanziale del regime dell’ergastolo ostativo, eliminando la presunzione assoluta di pericolosità nei confronti del detenuto non collaborante (D.L. n. 162/2022, conv. in l. n. 199/2022) .
Benché la riforma sia recentissima, alcuni commentatori rilevano che sia stata tutt’altro che benevola, avendo provocato complessivamente un inasprimento piuttosto che un alleggerimento del regime dei delitti ostativi. Il legislatore governativo ha ad es. scelto di estendere il regime ostativo anche ai delitti che non rientravano nel novero di quelli “ostativi”, previsti dall’art. 4-bis comma 1 o.p., ma che sono legati a questi da un nesso teleologico. La valutazione del legame teleologico tra i delitti sarebbe peraltro rimessa non solo al giudice della cognizione ma anche a quello dell’esecuzione, determinando così un’incontrollabile dilatazione del regime ostativo.
Troppo stringenti sarebbero anche i requisiti richiesti a chi non collabora con la giustizia, per poter accedere ai benefici penitenziari. I detenuti dovranno infatti dare prova di avere adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria derivanti dalla condanna (o “l’assoluta impossibilità di tale adempimento”). In più, dovranno allegare all’istanza elementi specifici e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, per consentire al giudice di escludere “l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, nonché il pericolo del ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi”.
Altro aspetto di particolare interesse riguarda le rilevanti modifiche sulla liberazione condizionale del condannato non collaborante (in relazione a tutti reati dell’art. 4-bis, comma 1 ord. pen.). Il condannato alla reclusione vi potrà accedere dopo aver scontato almeno due terzi della pena mentre il condannato all’ergastolo vi potrà accedere solo dopo aver scontato almeno 30 anni (non più 26 come stabilito dal codice penale), con estinzione della pena dopo altri dieci anni trascorsi in libertà vigilata (art. 2, lett. b D.L. n. 162/2022).
Infine, il decreto-legge chiarisce che la disciplina dettata dal nuovo art. 4-bis ord. penit. non si applica a chi, detenuto o internato per delitti di cui comma 1, sia sottoposto al regime detentivo speciale previsto dall’art. 41-bis ord. pen.

A ben vedere, quindi, la nuova disciplina stabilita dal legislatore governativo introduce requisiti ben più gravosi di quelli prospettati dalla Corte costituzionale, che aveva suggerito la strada di un iter istruttorio per il non collaborante, finalizzato a sondare le ragioni della non collaborazione e a verificare che il silenzio del condannato non fosse imputabile al perdurante legame con l’associazione criminale.

I reati ostativi all’accesso ai benefici penitenziari sono quei reati, che possono precludere o limitare l’accesso del detenuto a determinati benefici previsti dall’ordinamento penitenziario

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6
Q

Ergastolo del terzo tipo e Costituzione

A

COS’È L’ERGASTOLO DEL TERZO TIPO?
Accanto all’ergastolo ordinario e all’ergastolo ostativo, la legislazione dell’emergenza aveva introdotto un “ergastolo del terzo tipo” (art. 58 quater ord. pen.), previsto per i soli condannati per sequestro di persona a scopo di terrorismo o eversione/sequestro di persona a scopo di estorsione seguito dalla morte della vittima.
In queste ipotesi – e sempre che non si rientrasse nell’ergastolo ostativo, dunque solo per i condannati collaboranti o esentati dalla collaborazione – il condannato poteva accedere al lavoro all’esterno, ai permessi premio e alla semilibertà solo dopo aver effettivamente espiato 26 anni di pena.

IRRAZIONALITÀ DEL MECCANISMO
L’irrazionalità di tale meccanismo era la sua incomprensibile rigidità: per oltre 20 anni il sistema si mostrava totalmente sordo al percorso rieducativo del condannato; allo scoccare del 26° anno si consentiva di accedere a tutte le misure, tra cui la liberazione condizionale, in assenza di adeguata “preparazione” al reinserimento.

ELIMINAZIONE
Questa tipologia di ergastolo è stata “eliminata” con la sentenza 149/2018 della Corte costituzionale. Tale sentenza è considerata una svolta nella giurisprudenza costituzionale, in quanto per la prima volta una declaratoria di incostituzionalità ha investito frontalmente una forma di ergastolo.
La Corte – partendo dagli artt. 3 e 27 Cost – ha osservato che:
i) appiattire all’unica soglia dei 26 anni la concessione di tutti i benefici sovverte la logica del percorso graduale alla rieducazione del condannato, principio fatto proprio dalla legge sull’ordinamento penitenziario;
ii) l’applicazione della liberazione anticipata non può ragionevolmente essere inibita per un tempo così lungo, perché essa è uno strumento fondamentale per incentivare il percorso di rieducazione;
iii) il carattere automatico della preclusione temporale impedisce qualsiasi valutazione in concreto del percorso rieducativo.

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7
Q

Pene principali: Reclusione

A

La reclusione è la pena detentiva temporanea per i delitti.

Si può estendere da minimo di 15 giorni ad un massimo di 24 anni, ma vi sono casi nei quali può espandersi fino a 30 anni.

È scontata in uno degli stabilimenti specificatamente destinati, ove il detenuto è sottoposto all’obbligo di lavoro, che dopo almeno un anno di espiazione della pena, può essere anche all’aperto, e a regime di isolamento notturno.

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8
Q

Pene principali: Arresto

A

L’arresto è la pena detentiva temporanea per le contravvenzioni. L’art. 25 c.p. fissa l’estensione della pena da 5 giorni a 3 anni (che possono arrivare fino a 5 anni nell’ipotesi di concorso di aggravanti e fino a 6 anni nel caso di concorso di reati) e ne determina lo svolgimento in uno degli stabilimenti specificatamente destinati, ove il detenuto è sottoposto all’obbligo di lavoro che, tenendo conto delle attitudini personali delle precedenti occupazioni, potrà essere anche diverso dai lavori organizzatj nello stabilimento, ed è sottoposto al regime di isolamento notturno.

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9
Q

Pene principali: Multa e Ammenda

A

La multa è la pena pecuniaria prevista per i delitti e consiste nel pagamento allo Stato di una somma tra €50 e €50.000.

L’ammenda è la pena pecuniaria prevista per le contravvenzioni e condivide un regime giuridico analogo a quello della multa, con la differenza di avere dei limiti edittali compresi tra i €20 e i €10000.

DETERMINAZIONE DELLA PENA PECUNIARIA
Gli artt. 133 bis e ter stabiliscono rispettivamente che ai fini della determinazione della pena pecuniaria** si deve tener conto oltre che della pena**, anche delle condizioni economiche del reo, e che il giudice può disporre in sede esecutiva, tenuto conto sempre delle condizioni economiche del condannato, che il pagamento della multa o dell’ammenda possa essere effettuato in rate mensili da 3 a 30, potendo sempre estinguere la pena in un’unica soluzione.

INSOLVENZA DEL CONDANNATO: LIB. CONTROLLATA
Nel caso in cui l’insolvenza del condannato dovesse precludere la possibilità di assolvere l’obbligazione, la multa e l’ammenda si convertiranno nella sanzione della libertà controllata. In particolare, l’art. 135 c.p. stabilisce che qualora occorra effettuare il ragguaglio tra pene pecuniarie e detentive, il computo ha luogo calcolando €250, o frazione di tale somma, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva. Tale sanzione di conversione può estendersi per un periodo massimo di un anno e per ogni giorno di espiazione si scontano 250 € dalla pena pecuniaria.

OPZIONE DELLA SANZIONE DEL LAVORO SOSTITUTIVO IN CASO DI INSOLVENZA
Il condannato, fermo restando la possibilità di far cessare la funzione di conversione con il pagamento del residuo dell’obbligazione, potrà optare per la** sanzione del lavoro sostitutivo** per il cui regime ogni giornata di lavoro in favore della comunità determina lo sconto di €25 dalla pena pecuniaria.

Ai sensi dell’art. 27 c.p. la legge può prevedere sia pene pecuniarie fisse che pene pecuniarie proporzionali, quest’ultime non hanno un limite massimo .

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10
Q

Pene principali: Permanenza domiciliare e Lavoro di pubblica utilità

A

L’art. 53 del d.lgs. 274/2000 prevede:
- la pena della permanenza domiciliare che comporta l’obbligo di rimanere presso la propria abitazione o in un altro luogo di privata dimora oppure un luogo di cura, assistenza o accoglienza nei giorni di sabato e domenica, salvo che il giudice o il condannato non richiedono un’esecuzione continuativa.
La durata della pena non potrà essere inferiore a 6 giorni né superiore a 45 e il condannato non sarà considerato in stato di detenzione.
- la pena del lavoro di pubblica utilità invece, che consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, da svolgersi presso lo Stato, le regioni, i comuni o presso enti organizzazioni di assistenza sociale o di volontariato. Tale pena comporta la prestazione di non più di 6 ore settimanali di lavoro da svolgere in compatibilità con le esigenze di lavoro, studio famiglia e salute del condannato.

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11
Q

Pene principali: Reclusione domiciliare e Arresto domiciliare

A

Le nuove sanzioni penali della reclusione e dell’arresto domiciliare si caratterizzano per essere espiate presso l’abitazione del condannato o in un altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza.

La relativa applicazione è obbligatoria per i reati puniti con la reclusione o con l’arresto non superiore al massimo di 3 anni, mentre è rimessa alla discrezionalità del giudice per i reati puniti con la reclusione da 3 a 5 anni.

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12
Q

[2] Pene accessorie

Pene accessorie

A

Le pene accessorie sono previste dell’art. 19 c.p.
Almeno nelle intenzioni degli ideatori del codice penale, le pene accessorie si sarebbero dovute connotare per i caratteri dell’automaticità applicativa e della complementarità rispetto alle pene principali.

AUTOMATICITÀ APPLICATIVA
L’automaticità applicativa emergerebbe dall’art. 20 c.p. il quale prevede che tali sanzioni conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali della stessa.
Tuttavia, da un lato alcune norme prevedono la discrezionalità del giudice nell’irrogare la pena accessoria, dall’altro, a seguito della l. n. 19/1990, anche le pene accessorie possono essere assoggettate al regime di sospensione condizionale.

COMPLEMENTARITÀ
Peraltro, anche la complementarità e l’accessorietà di esse, almeno in termini di afflittività e capacità general-preventive, sono da mettere in dubbio, a fronte della ricchezza e varietà delle pene accessorie elaborate dal legislatore penale, ma anche dall’incisività ed afflittività che indubbiamente alcune tipologie di pene accessorie hanno assunto nel diritto penale complementare, soprattutto nel settore economico, dove ipotesi come quella di non poter contrattare con la pubblica amministrazione (o anche l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese) può risultare di gran lunga più insidiosa di qualsiasi pena detentiva breve, magari sottoponibile a sospensione. Tant’è vero che, per continuare a valorizzare il carattere in questione, quest’ultimo viene spesso definito come complementarità astratta.

[Per elenco pene accessorie, prossima flashcard]

GIURISPRUDENZA DI LEG. SULLA DURATA DELLE P. ACC.
La Corte costituzionale (sentenza n. 222/2018) ha stabilito l’illegittimità costituzionale delle pene accessorie “fisse”, la cui durata è stabilita direttamente dal legislatore e che, di conseguenza, non può essere modulata dal giudice.
Tuttavia, ciò non comporta necessariamente che la pena accessoria debba avere durata pari alla pena principale. Secondo la Corte, infatti, il legislatore è libero di prevedere sanzioni interdittive la cui durata sia stabilita in modo indipendente da quella della pena detentiva (tale strategia, anzi, potrebbe risultare funzionale ad una possibile riduzione dell’attuale centralità della pena detentiva), ma può farlo solo indicando una cornice edittale.

PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
In tale contesto, si inserisce l’art. 37 c.p., che stabilisce come nei casi in cui le disposizioni penali non forniscono alcuna indicazione in merito alla durata della pena accessoria, essa sarà eguale a quella della pena principale inflitta. Alcuni ritenevano che tale norma, espressione del c.d. principio di equivalenza, non rappresentasse un vulnus al principio di personalizzazione del trattamento sanzionatorio ex art. 133 c.p. Pertanto, essa era considerata applicabile, nella determinazione della durata della pena accessoria, non solo se la durata non era espressamente determinata (interpretazione da sempre pacifica), ma anche quando tale determinazione si faceva rientrare in una cornice edittale (minimo e massimo della pena). Pertanto, in tutti questi casi, la pena accessoria avrebbe dovuto avere una durata eguale a quella della pena principale inflitta – fermi restando i limiti edittali massimi previsti.
Un diverso orientamento, accolto all’esito dell’appena menzionato intervento della Consulta e più di recente dalla Cass. pen., Sez. Un., sent. 3 luglio 2019, n. 28910, ritiene che all’interno della cornice edittale sia il giudice a dover individuale la pena accessoria concretamente da irrogare, utilizzando i parametri di cui all’art. 133 c.p.

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13
Q

Quali sono le pene accessorie?

A

Le pene accessorie sono:
➢ L’interdizione dai pubblici uffici, che priva il condannato del diritto di elettorato attivo e passivo e di ogni altro diritto politico, di ogni pubblico ufficio e di* ogni incarico non obbligatorio di pubblico servizio, dell’ufficio di tutore e curatore, dei gradi delle dignità accademiche, dei diritti onorifici, degli stipendi, pensioni e assegni a carico dello Stato o di altro ente pubblico, salvo che traggono origine da un rapporto di lavoro o che si tratti di pensioni di guerra.
- L’interdizione dai pubblici uffici è perpetua se sia dovuta ad una condanna all’ergastolo o alla reclusione superiore a 5 anni o ad uno dei delitti contro la P.A. di cui all’art. 317 bis c.p., o sia intervenuta la dichiarazione di abitualità e professionalità nel delitto o di tendenza a delinquere.
- L’interdizione temporanea ha una durata non inferiore ad 1 anno e non superiore a 5, essa consegue da una condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a 3 anni e in ogni caso di realizzazione del reato con abuso di poteri o
con violazione di doveri inerenti alla pubblica funziona o al pubblico in servizio*
**Non si applica ai delitti colposi **

➢ L’interdizione legale, durante la pena, per il condannato all’ergastolo o alla reclusione per un tempo non inferiore a 5 anni. In riferimento alla disponibilità ed amministrazione dei beni, comporta l’applicazione della legge civile sull’interdizione giudiziale
**Non si applica ai delitti colposi **

➢ L’interdizione da una professione o da un’arte che consiste nella perdita della capacità di esercitare una professione, un’arte, un’industria, un commercio, un mestiere per cui è necessario uno speciale permesso o un’autorizzazione o abilitazione o una licenza dell’autorità.
Tale pena accessoria trova applicazione per una durata non inferiore ad 1 mese e non superiore a 5 anni, qualora sia intervenuta condanna per delitto commesso con abuso di una professione, arte, industria commercio o mestiere o con la violazione di doveri ad essa inerenti.

➢ L’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese che preclude lo svolgimento dell’attività di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari e da ogni altro ufficio con poteri di rappresentanza della persona giuridica o dell’imprenditore. Tale pena accessoria si apre quando sia intervenuta una condanna non inferiore a 6 mesi per delitti commessi con abuso di potere o violazione di doveri inerenti all’ufficio.

➢ L’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione che comporta il divieto per la persona fisica di concludere contratti con la pubblica amministrazione salvo che per ottenere prestazione di pubblico servizio. Questo tipo di interdizione si può estendere per una durata non inferiore ad 1 anno e non superiore a 3 e discende di diritto dalla commissione dei reati elencati nell’art. 32 quater c.p. purché sia stato commesso a causa o nell’esercizio di un’attività imprenditoriale.
È perpetua nel caso di condanna ad uno dei delitti contro la P.A. di cui all’art. 317 bis c.p.

➢ L’estinzione del rapporto di lavoro o d’impiego che consegue alla condanna alla reclusione per un periodo non inferiore a 2 anni del dipendente di amministrazione o di enti pubblici o a prevalente partecipazione pubblica che abbia commesso dei reati elencati dall’art. 32 quinquies.

➢ La decadenza e la sospensione della potestà dei genitori che comporta la privazione, permanente o temporanea, della capacità di esercitare i diritti e doveri ricollegati dalla legge civile alla posizione genitoriale.
La decadenza della potestà genitoriale consegue di diritto alla condanna all’ergastolo oltre che ad alcuni delitti caratterizzati per l’offesa alla moralità pubblica o al buon costume. La sospensione della potestà preclude l’esercizio della stessa per un periodo pari al doppio della pena inflitta che comunque per provocare la sospensione dovrà essere superiore a 5 anni di reclusione.

➢ La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte simile alla pena accessoria di cui all’art. 30 c.p. con la sola differenza** che allo scadere del periodo fissato l’esercizio della professione, arte industria, commercio o mestiere può essere ripreso senza alcuna formalità.
Tale pena accessoria dura d
ai 15 giorni a un massimo di 2 anni**, e discende dalla condanna ad ogni contravvenzione commessa con abuso della professione, industria, commercio o mestiere ovvero con violazione di doveri ad essa inerenti e da cui sia conseguita la pena dell’arresto per un periodo di almeno 1 anno.

➢ La sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese che consegue ad ogni condanna all’arresto per contravvenzioni commesse con abuso di potere o violazione di doveri inerenti all’ufficio. Dura tra i 15 giorni e i 2 anni.

➢ La pubblicazione della sentenza di condanna è obbligatoria in caso di sentenza all’ergastolo (mediante affissione nel Comune ove è stata pronunciata, in quello ove il delitto è stato commesso, in quello ove il condannato aveva l’ultima residenza) e negli altri casi stabiliti dalla legge.
In base all’art. 186, inoltre, la pubblicazione può essere disposta dal giudice per ogni reato, quando costituisca una forma di risarcimento del danno patrimoniale.

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14
Q

[3] Effetti penali della sentenza di condanna

Effetti penali della sentenza di condanna

A

DIFFERENZA TRA EFFETTI PENALI E PENE ACCESSORIE
A causa dell’assenza di precise indicazioni legislative, differenziare a livello dogmatico gli effetti penali della sentenza di condanna in senso stretto dalle pene accessorie è abbastanza complicato. Probabilmente uno dei tentativi più credibili è quello che pone un criterio discretivo di tipo strutturale secondo il quale «gli effetti penali sono una conseguenza della condanna ad una pena ma non coincidono con la stessa».

La distanza tra le due categorie diventa più significativa laddove la si consideri sotto il punto di vista delle rispettive cause di estinzione. Infatti, a differenza delle pene accessorie, gli effetti penali della condanna verrebbero meno soltanto a seguito dell’oblazione, della riabilitazione o dell’abrogazione del reato.

PRESUPPOSTO DEGLI EFFETTI PENALI
Il presupposto alla produzione degli effetti della sentenza di condanna è rappresentato dall’iscrizione della stessa nel casellario giudiziale.

QUALI SONO I C.D. EFFETTI PENALI?
Tra gli effetti prettamente penali discendenti dalla sentenza di condanna si deve rilevare anzitutto che lo status di condannato preclude la possibilità di beneficiare della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando venga spedito su richiesta di privati.

Qualora sia intervenuta per un reato della stessa indole, la condanna penale comporta la revoca della liberazione condizionale e, in ogni caso, ostacola la concessione delle sanzioni sostitutive (art. 59, l. n. 689/1981).

Inoltre, a seguito di una sentenza penale sfavorevole, il giudice può dichiarare il condannato recidivo, mentre, a seguito dell’avveramento delle condizioni espresse nell’art. 102 c.p., diventa automatica la dichiarazione di abitualità.

Chi poi già nelle condizioni di essere dichiarato delinquente abituale, dovesse riportare una condanna per un altro reato, potrebbe subire, a seguito della valutazione discrezionale del giudice, la dichiarazione di professionalità nel delinquere.

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[4] Le sanzioni dell’illecito amministrativo

Sanzioni dell’illecito amministrativo

A

Da un illecito amministrativo deriva una sanzione pecuniaria che non può essere inferiore a €10 né superiore a €15.000.

DIFFERENZA CON LE PENE PECUNIARIE
A differenza delle pene pecuniarie, le sanzioni amministrative non possono essere convertite in caso di insoddisfazione, né producono effetti penali.

CONCORSO DI NORME SULL’ILLECITO PENALE E SULL ILLECITO AMMINISTRATIVO
Nell’ipotesi di concorso di norme sull’illecito penale e sull’illecito amministrativo di natura omogenea, si applica la disposizione speciale, nel pieno rispetto del ne bis in idem sostanziale.
Il principio di specialità subisce un’eccezione nel caso in cui il concorso avvenga tra una norma penale e una norma amministrativa regionale. In tale circostanza prevale la legge penale, salvo che quest’ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali.

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[5] Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi

Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi

A

La c.d. Riforma Cartabia (D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150) ha ridisegnato anche il quadro generale delle c.d. sanzioni (ora pene) sostitutive di pene detentive brevi, introducendo, da un lato, il nuovo art. 20-bis c.p. che codifica le pene sostitutive (e la categoria delle ‘pene detentive brevi’), e dall’altro modificando la disciplina prevista nella L. n. 689/81.

RATIO DELLE SANZ. SOSTITUTIVE ALLE PENE DETENTIVE BREVI
L’introduzione di questo tipo di pene fu, come noto, dettata dall’intento di deflazionare la carcerazione breve, ritenuta inefficace, desocializzante e persino criminogena, a fronte di pene non particolarmente importanti inflitte in sentenza, e sostituirle invece con una risposta sanzionatoria che, accanto alla portata special preventiva, avesse anche un intrinseco effetto risocializzante e riparativo in generale.

RIFORMA CARTABIA
La recente riforma persegue diversi obiettivi: da un lato ampliare il ricorso a queste sanzioni, ora definite formalmente “pene” sostitutive (con ciò riconoscendone finalmente in toto la natura e la tipologia afflittiva)
[Sotto questo profilo, infatti, la riforma estende da 2 a 4 anni il tetto di pena delle pene a vario titolo sostituibili]
e dall’altro risolvere una serie di empasse tecnico processuali che fino ad oggi rendevano poco efficace il ricorso alla sostituzione delle pene detentive brevi
[Sotto questo profilo esclude la sospendibilità delle sanzioni sostitutive che di fatto finora inficiava, come la maggior parte della dottrina sottolineava, proprio quella efficacia special preventiva insita nel sistema della sostituzione e rendeva di fatto semplicemente inapplicate le pene detentive brevi.]

Sono poi state eliminate le due desuete sanzioni sostitutive della semidetenzione e la libertà controllata. Rimangono, quindi, la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva, il lavoro di pubblica utilità sostitutivo e la pena pecuniaria sostitutiva (artt. 53 e ss. della L. n. 689/81, come riformati dall’art. 71 del d.lgs. n. 150/2022).

Le nuove pene sostitutive sono mutuate dalle omologhe misure alternative alla detenzione, permettendo così un’anticipazione (all’esito del giudizio di cognizione) delle alternative al carcere.

I limiti oggettivi parametrati alla pena edittale comminabile dal giudice sono più elevati della normativa precedente: «il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna o di applicazione pena ex art. 444 c.p.p., quando ritiene di determinare la durata della pena detentiva entro il limite di 4 anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di 3 anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di 1 anno, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente, determinata ai sensi dell’art. 56-quater» (art. 53, co. 1, l. n. 689/1981).
Tuttavia, tali limiti di pena sono comprensivi degli aumenti ex art. 81 c.p. (cumulo giuridico per concorso formale e reato continuato, reato più grave aumentato fino al triplo).

SEMILIBERTA’ SOSTITUTIVA
Nella nuova semilibertà sostitutiva è fissato un numero minimo di ore (almeno 8 ore al giorno) da trascorrere in istituto consentendo dunque che le rimanenti (anche 16) ore del giorno siano trascorse all’esterno dando però una indicazione precisa sul loro impiego: “attività di lavoro, di studio, di formazione professionale o comunque utili alla rieducazione ed a reinserimento sociale” secondo un programma di trattamento approvato dal giudice e* predisposto dall’ufficio di esecuzione penale esterna che avrà anche il compito di vigilare ed assistere il condannato in semilibertà* (art. 55, l. n. 689/1981).

DETENZIONE DOMICILIARE SOSTITUTIVA
La nuova detenzione domiciliare sostitutiva comporta l’obbligo di «rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case famiglia protette, per non meno di 12 ore al giorno (a fronte delle ventiquattro potenzialmente raggiungibili nella omonima misura alternativa), avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato.
In ogni caso il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice» (art. 56 l. n. 689/1981).

LAVORO DI PUBBLICA UTILITÀ SOSTITUTIVO
Il nuovo lavoro di pubblica utilità sostitutivo (art. 56-bis l. n. 689/1981) fa espresso rinvio alla disciplina della pena applicabile dal giudice di pace ex lege 274/2000, in quanto compatibile, fermo restando però che la sua durata deve essere corrispondente a quella della pena detentiva sostituita (con ciò differenziandosi nettamente dalla durata massima prevista per la pena applicabile dinanzi al giudice di pace, che è sei mesi) ed è prevista la prestazione di non meno di 6 ore e non più di 15 ore di lavoro settimanali (salvo che sia il condannato a chiedere espressamente di essere ammesso a lavorare per un tempo superiore) in maniera da non pregiudicare le persistenti e sempre richiamate esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato .

PRESCRIZIONI COMUNI ALLE PENE SOSTITUTIVE, ECC. PENA PECUNIARIA
Tutte le pene sostitutive, eccetto la pena pecuniaria, sono accompagnate da prescrizioni comuni dettate dall’art. 56-ter:
- divieto di portare e detenere armi e munizioni, a qualsiasi titolo;
- divieto di frequentare pregiudicati o persone sottoposte a misure di sicurezza o prevenzione;
- obbligo di permanere nell’ambito territoriale stabilito dal provvedimento applicativo;
- ritiro del passaporto e sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente;
- obbligo di portare con sé e presentare a richiesta degli organi di polizia il provvedimento applicativo o esecutivo alla pena sostitutiva.
- In più, il giudice può prescrivere il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

PENA PECUNIARIA SOSTITUTIVA
Per determinare l’ammontare della pena pecuniaria sostitutiva il giudice «individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Il valore giornaliero non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 2500 euro» e** va commisurato alle complessive condizioni economiche**, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare (art. 56-quater).

DURATA DELLE PENE SOSTITUTIVE
La durata della pena sostitutiva è uguale a quella della pena sostituita nel caso delle prime tre misure e, ad ogni effetto giuridico, esse si considerano come pena detentiva di specie corrispondente a quella sostituita con una equiparazione di un giorno dell’una ad un giorno dell’altra. La pena pecuniaria invece si considera sempre come tale, anche quando sostitutiva di pena detentiva (art. 57).

DISCREZIONALITÀ DEL GIUDICE
I poteri discrezionali del giudice in sede di scelta e applicazione delle pene sostitutive sono coerenti con il senso rieducativo effettivo dato alle pene sostitutive: «il giudice tenuto conto dei criteri indicati nell’art. 133 c.p., se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati
La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.

CRITERI CHE ORIENTANO LA SCELTA DEL GIUDICE
Anche i criteri che devono orientare la scelta, motivata, del giudice evidenziano i cardini del sistema delle nuove pene sostitutive: finalità di reinserimento sociale quanto più effettivo possibile e correlativo minor sacrificio possibile della libertà personale (art. 58).

PRECLUSIONI SOGGETTIVE PREVISTE NORMATIVAMENTE
Esistono delle preclusioni soggettive previste normativamente (art. 59) nei confronti di:
i) chi ha commesso il reato entro 3 anni dalla revoca di una pena sostitutiva già comminata;
ii) chi ha commesso un delitto non colposo durante l’esecuzione delle stesse (situazione che consente tuttavia al giudice di sostituire la pena da comminare con una pena sostitutiva più grave di quella revocata); iii) chi è destinatario di una misura di sicurezza personale, salvo i casi di parziale incapacità di intendere e di volere;
iv) tutti gli autori dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 4-bis dell’o.p. e salvo che sia stata riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 323-bis, co. 2 c.p.
**Quanto all’imputato che, condannato precedentemente a pena pecuniaria, anche sostitutiva, non abbia pagato, è preclusa la pena pecuniaria sostitutiva. **

PERCHE’ NON SI CONFIGURANO COME PENE AUTONOME?
L’espressa esclusione della possibilità di sospendere condizionalmente le pene sostitutive (art. 61-bis) da nuova linfa al sistema sostitutivo e rinnega la natura di pene autonome delle pene sostitutive, riaffermandone piuttosto la natura di modalità esecutiva della pena comminata, alternative esse stesse alla sospensione condizionale. Tuttavia, acconsentire alla semilibertà o alla detenzione domiciliare non preclude definitivamente la possibilità di accedere all’affidamento in prova (art. 47, co. 3-ter l. n. 354/1975).

REVOCA
La mancata esecuzione della pena sostitutiva, ovvero la violazione grave o reiterata degli obblighi e delle prescrizioni ad essa inerenti, ne determina la revoca e la parte residua si converte nella pena detentiva sostituita ovvero in altra pena sostitutiva più grave (art. 66).

PROCDEDIMENTO PER SOSTITUZIONE PENA DETENTIVA
Infine, il nuovo art. 545-bis c.p.p. delinea il procedimento attraverso il quale si approda alla decisione sulla sostituzione della pena detentiva. Se il giudice, una volta ritenuto che sussistano le condizioni per sostituire la pena detentiva con una pena sostitutiva, e acquisito il consenso dell’imputato, prestato personalmente o a mezzo di procuratore speciale, non ritiene di disporre degli elementi necessari per decidere immediatamente, dispone la sospensione del processo e la fissazione di un’apposita udienza non oltre sessanta giorni, con avviso alle parti e all’UEPE competente.

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Q

Differenza tra le pene sostitutive e le misure alternative alla detenzione

A

La differeza fondamentale tra le pene sostitutive e le misure alternative alla detenzione (L. n. 354/1975 “legge sull’ordinamento penitenziario”) è che le prime sono applicabili direttamente dal giudice della cognizione in sede di pronuncia della sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (nonché in fase di decreto penale di condanna) mentre alle seconde può accedersi solo in fase esecutiva a seguito della sospensione dell’esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva.

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Q

[6] Le misure alternative alla detenzione

Le misure alternative alla detenzione

A

(art. 47 ord. pen.)
Le misure alternative alla detenzione rappresentano una categoria dai caratteri eterogenei e piuttosto difficilmente riconducibili ad unità, che parrebbero essere impiegate specialmente per l’appagamento delle istanze di mera deflazione, piuttosto che per garantire un effettivo reinserimento nella società del detenuto.

Le misure alternative alla detenzione dovrebbero rappresentare un’alternativa alla detenzione stessa e non una surroga, come invece è per le sanzioni sostitutive.

La differenza tra le due categorie si percepisce dal fatto che le prime sono concesse dal giudice dell’esecuzione (quindi presuppongono la comminazione di una pena), le seconde sono concesse dal giudice di cognizione, loro stesse rappresentando la pena.

AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE
L’istituto su cui si sono più manifestate le istanze deflattive del legislatore è quello dell’affidamento in prova al servizio sociale. L’affidamento in prova al servizio sociale può essere concesso in riferimento a pene non superiori a 3 anni (anche residua) ed a seguito di un’osservazione della personalità ridotta ad un mese, per l’altro meramente eventuale nel caso in cui dopo la commissione del reato il condannato abbia avuto un comportamento tale da consentire un giudizio positivo circa l’utilità special-preventiva dell’affidamento in prova al servizio sociale.
Il legislatore ha ulteriormente esteso l’accessibilità dell’affidamento in prova al servizio sociale anche nei confronti del condannato che deve espiare una pena non superiore a 4 anni (anche residua), purché abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla prestazione della richiesta di ammissione al beneficio, trascorso in espiazione della pena, in esecuzione di una misura cautelare oppure in libertà, un comportamento tale da fa maturare una prognosi favorevole in ordine alla concessione della misura alternativa.

AFFIDAMENTO IN PROVA A PROGRAMMA DI RECUPERO
L’art. 94 d.P.R. n. 309/1990 prevede una particolare tipo di affidamento in prova, ove limiti di pena residua è arrivato addirittura a 6 anni, nel caso del reo di cui sia stata accertata l’alcool dipendenza o la tossicodipendenza e che si sia sottoposto o che intenda sottoporsi ad un programma di recupero giudicato dal tribunale di sorveglianza idoneo al recupero del condannato e che assicuri la prevenzione dal pericolo che egli commetta altri reati.

REVOCA DELL’AFFIDAMENTO
L’affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.

ESITO POSITIVO DELL’AFFIDAMENTO IN PROVA
L’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale. A differenza di quella detentiva, la pena pecuniaria può essere dichiarata estinta dal tribunale di sorveglianza solo ove l’interessato si trovi in condizioni economiche disagiate. Ciò comporta, in base all’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, che, agli effetti della recidiva e della dichiarazione di abitualità e professionalità, non si dovrà tenere conto delle condanne estinte ai sensi dell’art. 47 co. 12 ord. pen.

DETENZIONE DOMICILIARE
L’istituto della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter ord. pen. consiste nell’espiazione della reclusione o dell’arresto nella propria abitazione o in un altro luogo di privata dimora oppure in un luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza. Possono accedere a tali benefici:
➢ I condannati a pena detentiva non superiore a 4 anni quando si tratta di:
* Donna incinta o madre di prole di età inferiore a 10 anni con lei convivente;
* Padri esercenti della responsabilità genitoriale di prole di età inferiore a 10 anni con lui convivente, purché la madre assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole;
* Persone in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costante assistenza;
* Persona di età superiore a 60 anni, se inabile anche solo parzialmente;
* Persona minore di anni 21 per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro o di famiglia.
Inoltre, per ogni condanna detentiva, può applicarsi la detenzione domiciliare:
➢ alla persona che all’inizio o durante l’esecuzione di una reclusione abbia compiuto i 70 anni di età purché non dichiarato recidivo, delinquente abituale, professionale o per tendenza;
➢ al condannato ad una pena detentiva (anche residua) non superiore a 2 anni, se che non ricorrono i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale e la misura sia considerata idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati.
➢ alla madre di prole di età non superiore 10 anni che abbia scontato almeno un terzo della pena o 15 anni nel caso della condanna all’ergastolo, se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli e non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti;
➢ nei casi in cui sia stata rinviata l’esecuzione della pena, il tribunale di sorveglianza potrà disporre l’applicazione della detenzione domiciliare.
Le modalità inerenti a tale beneficio sono fissate del tribunale di sorveglianza secondo il modello che il legislatore ha predisposto per la misura cautelare degli arresti domiciliari.

VIOLAZIONE DELLE PRESCRIZIONI CHE PORTA A REVOCA
La violazione delle prescrizioni, se accompagnata da un comportamento incompatibile con la prosecuzione della misura, determina la revoca della stessa. Il medesimo effetto si produce automaticamente, salvo che il fatto sia di lieve entità, nel caso in cui il condannato si fosse allontanato dal luogo nel quale scontava la detenzione domiciliare.

MODALITA ESECUTIVE E NATURA GIURIDICA
La detenzione domiciliare si connota come una modalità esecutiva della pena detentiva e che, accanto alle indubbie valenze deflattive della popolazione carceraria, ha carattere prevalentemente umanitario e assistenziale.
Le considerazioni riguardo la natura giuridica valgono anche per l’istituto della semilibertà che, ai sensi dell’art. 48 ord pen., consiste nella concessione al condannato di espiare la pena trascorrendo parte del giorno fuori dall’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.

SEMILIBERTÀ
È ammesso a godere del regime di semilibertà:
i) il condannato a pene dell’arresto e della reclusione non superiori a 6 mesi sempre che non sia affidato in prova al servizio sociale;
ii) il condannato che ha espiato almeno metà della pena, che sarà due terzi in caso di soggetti appartenenti e criminalità organizzata o eversiva, mentre l’ergastolano può essere ammesso solo dopo aver espiato almeno vent’anni di pena.

REVOCA
Il regime di semilibertà può essere revocato se il soggetto si dimostra inidoneo al trattamento in esame (e al suo obiettivo di graduale reinserimento del soggetto nella società) e deve essere revocato se il condannato rimane assente dall’istituto senza giustificato motivo per più di 12 ore.

PERMESSI-PREMIO
L’istituto dei permessi-premio, introdotto con l. n. 663/1986, prevede per i condannati che hanno tenuto una condotta regolare, manifestando costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale e che non risultano socialmente pericolosi, la possibilità di trascorrere non più di 45 giorni l’anno fuori dall’istituto, per singoli periodi di tempo non eccedenti i 15 giorni . La concessione del beneficio è ammessa senza preclusioni nei confronti di condannati a pena detentiva non superiore a 3 anni, altrimenti è necessario che si sia scontato almeno un quarto della pena.

È controverso poi se le finalità dell’istituto siano meramente premiali o se come sembra preferibile svolgono anche una concreta funzione special-preventiva.