TEST 1 (Energia, Enzimi E Catalisi) Flashcards

1
Q

Come mai le cellule evitano il raggiungimento dell’equilibrio?

A

Le cellule evitano il raggiungimento dell’equilibrio fino a quando sono in vita dato che esse utilizzano un continuo apporto di energia, in modo tale che possano costantemente essere caratterizzate da una composizione chimica diversa da quella dell’ambiente che le circonda.

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2
Q

Cosa vuol dire quando un equilibrio è spostato verso destra?

A

In casi di questo tipo, in cui l’equilibrio di una reazione si trova spostato verso i prodotti, diciamo che la reazione A → B è una reazione spontanea, mentre la reazione B → A non lo è.
Una reazione spontanea, dato un tempo adeguato, procede verso il compimento in modo autonomo, cioè senza che sia necessario fornirle energia dall’esterno.
In effetti, le reazioni spontanee al loro procedere liberano generalmente energia.
Se una reazione procede spontaneamente in una direzione (per esempio dal reagente A al prodotto B), ciò non è possibile per la reazione inversa (da B ad A); cioè è necessario un apporto di energia dall’esterno.

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3
Q

Definisci le reazioni esoenergetiche ed endoenergetiche.

A

Una reazione spontanea - cioè una reazione che decorre autonomamente quasi sino a termine — rilascia una considerevole quantità di energia libera - utilizzabile per compiere lavoro —; una reazione di questo tipo è detta esoergonica in quanto genera energia libera.
Si dice che una reazione è caratterizzata da una costante di equilibrio modesta se essa può essere forzata a decorrere a condizione che le venga fornita energia libera; tale reazione richiede energia e quindi viene definita endoergonica.

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4
Q

Parla dell’energia libera.

A

L’energia libera viene indicata col simbolo G, essa non può essere misurata in termini assoluti, mentre può venire determinata facilmente la variazione di energia libera, deltaG, di una reazione, che è in relazione diretta con il valore della Keq della reazione.
Nell’Universo, considerato nel suo complesso, la quantità di energia libera è in continua diminuzione mentre l’entropia è in continuo aumento.
Questa affermazione rappresenta un altro modo di formulare la seconda legge della termodinamica. L’energia libera tende sempre a raggiungere spontaneamente un valore minimo.
In una reazione spontanea, il contenuto di energia libera dei reagenti è sempre maggiore di quello dei prodotti; quindi il valore di deltaG di una reazione esoergonica è sempre negativo.

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5
Q

Spiega i significati dei valori del deltaG.

A

Una reazione che procede quasi a termine («verso destra» nel modo in cui è scritta) è sempre accompagnata da un deltaG negativo, elevato in valore assoluto, che indica come nella reazione viene liberata una rilevante quantità di energia libera.
Invece, un valore di deltaG elevato e positivo sta a indicare che la reazione mostra scarsa tendenza a decorrere «verso destra»; in presenza di molecole dei prodotti, una reazione di questo tipo procede pressoché completamente al contrario («verso sinistra»).
Un valore di deltaG vicino a zero è caratteristico di reazioni facilmente reversibili, in cui reagenti e prodotti hanno contenuti di energia libera molto simili.

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6
Q

Che misura da il valore del deltaG?

A

Nel corso degli anni è risultato chiaro che il valore di deltaG dà una misura dell’energia chimica liberata da una reazione e utilizzabile per compiere un lavoro, quale quello necessario per far decorrere una reazione endoergonica.
La cellula ottiene energia libera dalle reazioni esoergoniche che in essa avvengono, come l’ossidazione delle sostanze nutritive, oppure dalla luce del Sole, e utilizza questa energia per far decorrere reazioni endoergoniche indispensabili alla vita, quali quelle associate alla fotosintesi.

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7
Q

Da cosa è definito il punto d’equilibrio di una reazione?

A

Lo specifico punto di equilibrio di ciascuna reazione è descritto da una costante di equilibrio.
La costante di equilibrio, Keq è definita come il rapporto tra le concentrazioni dei prodotti e quelle dei reagenti all’equilibrio, espresse, per esempio, in moli al litro.

Le concentrazioni all’equilibrio di reagenti e prodotti sono definite dal valore della Keq indipendentemente dalle proporzioni in cui inizialmente sono presenti i i due; in altre parole, per una data reazione chimica e a parità delle altre condizioni, la costante di equilibrio è una costante.

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8
Q

Descrivi il significato dei valori della Keq.

A

Keq può variare in modo ampio.
Un valore elevato significa che la reazione tende a decorrere fino quasi a termine;
un valore basso significa invece che la reazione ha poca tendenza a decorrere spontaneamente, mentre predomina la reazione inversa.

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9
Q

Cosa rappresenta la barriera, energia d’attivazione?

A

(Esempio scintilla butano - ossigeno) In generale, le reazioni procedono solo dopo che alcune delle molecole dei reagenti hanno superato la barriera energetica grazie a questi modestissimi sovrappiù di energia, complessivamente riferibili all’energia di attivazione.

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10
Q

Spiega “l’esempio della sfera che rotola giù.

A

Un’altra illustrazione del ruolo dell’energia nelle reazioni chimiche è fornita nella figura che mostra una sfera in cima a una china;
la sfera ha un contenuto di energia libera maggiore di quello che la caratterizza alla base della china, come è dimostrato dal fatto che qualcuno deve aver speso energia per trasportare o gettare la sfera in alto.
Questa energia viene liberata quando la sfera rotola giù, un processo assimilabile a una reazione chimica esoergonica.
Al contrario far risalire alla sfera la china costa ener gia; il processo è assimilabile a una reazione endoergonica che non si verifica spontaneamente.
Supponiamo ora che la sfera si trovi in alto sulla china in una piccola depressione (fig. 26.4b); anche in questo caso il rotolamento della sfera verso la base della china è un processo esoergonico, tuttavia nelle nuove condizioni è necessario fornire una piccola quantità di energia alla sfera perché questa esca dalla depressione e inizi a rotolare; questa energia è assimilabile all’energia di attivazione di una reazione.

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11
Q

Come viene dunque definita la barriera energetica in una reazione chimica?

A

In una reazione chimica, la barriera energetica che le molecole dei reagenti devono superare per poter «rotolare» spontaneamente verso la formazione dei prodotti è definita come l’energia necessaria per trasformare le molecole dei reagenti in forme molecolari intermedie dette intermedi di transizione: essi possiedono una quantità di energia libera superiore a quella contenuta sia nei reagenti che nei prodotti.
Nel precedente esempio, un intermedio di transizione corrisponde alla sfera appena spinta oltre la depressione (fig. 26.4c).
L’energia di attivazione necessaria per far partire una reazione viene restituita durante la fase «in discesa» di questa; conseguentemente, il valore della variazione complessiva di energia libera associata alla reazione non ne risente (fig. 26.3).
Tuttavia, quanto più elevata è l’energia di attivazione di una reazione tanto minore sarà la velocità con cui questa decorre.

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12
Q

Descrivi la miscela di molecole e l’impatto che hanno sulla velocità di reazione.

A

In una data situazione, alcune molecole tendono ad avere un contenuto energetico maggiore di quello di tutte le altre, cioè il reagente di una reazione è costituito in realtà da una miscela di molecole con contenuto energetico diverso (fig. 26.5);
solo una piccola frazione delle molecole della miscela può avere contenuto energetico sufficiente a superare la barriera di attivazione passando nello stato di transizione, e solo alcune di queste sono in condizione di reagire per dare i prodotti.
Una reazione caratterizzata da una bassa energia di attivazione decorre con velocità più elevata poiché è maggiore la frazione di molecole con energia sufficiente a superare la barriera di attivazione.
Quando invece prevalgono le molecole con contenuto e-nergetico insufficiente a superare la barriera, la reazione non decorre in modo significativo a meno che non sia fornita l’energia, di solito sotto forma di calore, dall’esterno.

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13
Q

Cosa succede se il sistema viene scaldato?

A

Se il sistema viene scaldato aumenta il contenuto energetico complessivo delle molecole e quindi sarà maggiore la frazione di queste con un contenuto energetico uguale o maggiore rispetto all’energia di attivazione; di conseguenza la velocità della reazione aumenta.

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14
Q

Spiega l’esempio dell’energia di attivazione con l’amido e la saliva

A

L’idea di una barriera energetica è illustrata dalla comune reazione biochimica corrispondente all’azione della saliva sull’amido presente nei cibi (fig. 26.6n).
Come abbiamo visto nel capitolo 3, l’amido è un polimero formato da moltissime unità di glucosio; la reazione in presenza di saliva in realtà è una reazione tra amido e acqua.
L’acqua produce oligomeri dalle molecole polimeriche dell’amido, rompendo alcuni dei legami che uniscono le unità di glucosio.
Tuttavia una soluzione di amido in acqua pura è assai stabile poiché l’energia di attivazione della reazione è alta.
Quando diciamo «stabile» vogliamo sottolineare il fatto che la reazione non decorre affatto oppure che procede così lentamente che sarebbe necessario un lungo tempo prima di poter notare qualsiasi cambiamento.
Perché la reazione avvenga, è necessario che le molecole di acqua e di amido collidano, e che quindi entrino in tensione e successivamente si rompano i legami che uniscono le unità di glucosio.
Dopo questa fase devono formarsi nuovi legami tra gli atomi presenti alle estremità interrotte delle molecole di amido e i gruppi H e OH derivanti dalle molecole di acqua.
Come mostrato nella figura 26.66, esiste uno stadio intermedio in cui il legame tra due unità di glucosio ha lunghezza superiore a quella normale mentre nuovi legami stanno formandosi; questa specie chimica (intermedio di reazione) è riferibile allo stato di transizione, e in un diagramma come quello della figura 26.3 si troverebbe nel punto più alto della barriera energetica.
Tra poco sarà chiara la differenza che sussiste tra saliva e acqua, tale da determinare la rottura delle molecole dell’amido in presenza della prima ma non della seconda.

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15
Q

Definisci e spiega il funzionamento delle costanti di velocità delle reazioni.

A

La velocità di qualsiasi reazione chimica è direttamente proporzionale alla concentrazione dei reagenti.
La velocità di reazione — espressa, per esempio, in micromoli per minuto — è semplicemente uguale al prodotto delle concentrazioni dei reagenti per una costante di velo-cità, k, che è correlata all’energia di attivazione.
Per ogni temperatura una data reazione è caratterizzata da una specifica e caratteristica costante di velocità.
Nel caso della semplice reazione
A —k—> B
la velocità di formazione del prodotto B è uguale a k volte la concentrazione di A, cioè vB = k[A], in cui vB rappresenta la velocità di formazione di B.
La costante di velocità di una reazione risente della temperatura, crescendo all’aumentare di questa. L’aumento di temperatura va a incrementare il contenuto energetico delle molecole e quindi la frazione di quelle in grado di superare la barriera rappresentata dall’energia di attivazione della reazione: conseguentemente la velocità della reazione aumenta.

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16
Q

Che cos’è un catalizzatore?

A

Un catalizzatore non rende possibile alcuna reazione che non avverrebbe anche in sua assenza e al termine della reazione catalizzata non si ritrova tra i prodotti di questa.
Un catalizzatore semplicemente abbassa l’energia di attivazione di una reazione chimica permettendo il raggiungimento dell’equilibrio di questa in un tempo minore.

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17
Q

Spiega la differenza tra catalizzatori biologici e non.

A

La maggior parte dei catalizzatori non biologici (inorga-nici) sono relativamente aspecifici;
per esempio, il nero di platino catalizza praticamente qualsiasi reazione in cui uno dei reagenti sia l’idrogeno molecolare, dato che la sua azione consiste nel ridurre la forza del legame tra i due atomi nella molecola dell’H2.
Invece la maggior parte dei catalizzatori biologici — gli enzimi — è dotata di una elevata specificità.
Di solito un enzima catalizza soltanto una singola reazione chimica oppure, al massimo, un gruppo ristretto di reazioni strettamente correlate.
Nella saliva esiste un enzima che catalizza la demolizione dell’amido.

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18
Q

Spiega nel dettaglio il complesso enzima - substrato

A

Le molecole soggette all’azione catalitica sono dette substrati dell’enzima; le molecole dei o del substrato si legano alla superficie dell’enzima, in corrispondenza del suo sito attivo, la regione della molecola in cui ha effettivamente luogo la catalisi.
Il legame di un substrato al sito attivo di un enzima porta alla formazione di un complesso enzima-substrato, stabilizzato da uno o da più tipi di legami, quali quelli a idrogeno, le interazioni ioniche oppure i legami covalenti (fig. 26.7).
Il complesso enzima-substrato può quindi formare il prodotto o i prodotti della reazione, rigenerando l’enzima libero:
E + S <=> ES <=> E + P
in cui E è l’enzima, S il substrato, P il prodotto ed ES il complesso enzima-substrato.

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19
Q

L’enzima cambia alla fine della reazione?

A

Si noti che il simbolo E, l’enzima libero, si ritrova nella medesima forma chimica tanto all’inizio che al termine della precedente reazione; le sue molecole possono andare incontro a trasformazioni nel corso della reazione ma vengono rigenerate prima del termine della stessa.

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20
Q

Su cosa si basa la specificità di un enzima? Parla del lisozima.

A

La specificità di un enzima si basa sulla configurazione del suo sito attivo.

La figura 26.8 mostra la struttura terziaria dell’enzima lisozima, la cui azione litica a carico dei batteri estranei protegge gli organismi che lo producono.
Esso esplica tale funzione catalizzando la rottura di certe catene polisaccaridiche presenti nella parete cellulare di numerosi batteri.
Il lisozima è presente anche nelle lacrime e in altre secrezioni corporee ed è particolarmente abbondante nell’albume delle uova degli uccelli.
Nella figura 26.8 il sito attivo del lisozima appare come un’ampia fessura occupata dal substrato (raffigurato in verde).
La molecola del substrato si adatta con grande precisione al sito attivo, mentre altre molecole, caratterizzate da forma diversa oppure da caratteristiche chimiche diffe-renti, non possono formare un complesso con l’enzima.
Una volta che il complesso enzima-substrato (ES) si è formato, l’enzima può andare incontro a un cambiamento di struttura (fig. 26.9) con la comparsa di un adattamento indotto tra l’enzima stesso e il substrato, che migliora l’allineamento tra questa molecola e il sito attivo.

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21
Q

Parla della posizione finale dell’equilibrio con l’aiuto di un enzima.

A

Dal momento che un enzima produce un abbassamento dell’energia di attivazione, esso accelera sia la reazione diretta che quella inversa, talché la reazione catalizzata procede più rapidamente di quella non catalizzata verso il raggiungimento dell’equilibrio.
La posizione finale dell’equilibrio, vale la pena di ricordarlo ancora una volta, è la medesima sia in presenza che in assenza del catalizzatore;
l’aggiunta dell’enzima a una reazione non modifica la differenza di energia libera (deltaG) tra reagenti e prodotti, limitandosi a ridurre il valore dell’energia di attivazione e ad aumentare quello delle costanti di velocità della reazione diretta e di quella inversa (fig. 26.10).

22
Q

Parla della concentrazione del substrato, raggiungendo anche la saturazione.

A

Per una reazione non catalizzata del tipo A → B, la velocità di reazione è direttamente proporzionale alla concentrazione di A.
Prendiamo ora in esame il grafico di una reazione catalizzata da un enzima; per la maggior parte degli enzimi tale grafico è del tipo di quello mostrato nella figura 26.11.
La velocità di reazione aumenta all’aumentare della concentrazione del substrato, raggiungendo gradualmente una velocità massima che rimane costante; di conseguenza, successivi ulteriori aumenti della concentrazione del substrato non determinano alcun incremento della velocità della reazione catalizzata.
Tutto questo risulta facilmente comprensibile se teniamo presente che la concentrazione dell’enzima di solito è sensibilmente minore di quella del substrato.
In questo caso ci troviamo di fronte a un fenomeno di saturazione analogo a quelli discussi nel caso della diffusione facilitata e del trasporto attivo attraverso le membrane biologiche (cap. 5).
Man mano che viene aggiunto substrato alla miscela di reazione, aumenta la frazione delle molecole dell’enzima presenti complessate col substrato, fino a quando tutte le molecole enzimatiche si trovano sotto forma di complesso enzimasubstrato.
A questo punto ulteriori aggiunte di substrato non producono alcun effetto, non essendovi molecole di enzima libero con cui combinarsi.

23
Q

Che cosa sono le reazioni accoppiate?

A

Alcune delle più importanti reazioni che avvengono negli esseri viventi non sono spontanee; non di meno esse decorrono poiché esistono enzimi specifici che accoppiano tali reazioni con altre che sono invece spontanee.

24
Q

Fai l’esempio di due reazioni accoppiate che si verificano nel mitocondrio.

A

Esaminiamo due reazioni accoppiate che si verificano nei mitocondri e che sono catalizzate dall’enzima succi nico deidrogenasi (fig. 26.12). La prima, la conversione del succinato a fumarato, è tipicamente spontanea e decorre con una rilevante diminuzione di energia libera.
Quando questa reazione avviene in un mitocondrio, i due atomi di idrogeno allontanati dal succinato vengono trasferiti a una molecola accettrice e quindi al FAD;
la seconda di queste reazioni, l’idrogenazione del FAD a FADH2 non è spontanea e decorre con un forte aumento di energia libera.
Il FAD è una molecola accettrice di atomi di idrogeno.
L’enzima succinico deidrogenasi accoppia la reazione esoergonica con quella endoergonica e fa sì che gli atomi di idrogeno liberati dal succinato vengano effettivamente trasferiti sul FAD.
Un sito alla superficie dell’enzima lega il succinato, mentre un secondo sito, vicino al primo, lega il FAD.
Ogni volta che uno ione succinato reagisce con la succinico deidrogenasi, gran parte dell’energia libera prodotta da questa reazione altamente esoergonica viene subito bloccata e utilizzata per produrre il FADH2.
Quest’ultimo agisce da trasportatore (carrier) di idrogeno e di energia libera, che viene utilizzata al momento in cui un altro enzima accoppia la deidrogenazione esoergonica del FADH2 all’idrogenazione
endoergonica di qualche altro substrato.

25
Q

Fai altri esempi di reazioni accoppiate.

A

Nel capitolo 5 abbiamo visto altri esempi di reazioni accoppiate; negli animali, la pompa sodio-potassio (che agisce in un processo di trasporto attivo primario) è in realtà un enzima che accoppia la rottura esoergonica delle molecole di ATP con il trasporto endoergonico degli ioni Na+ e K+ contro il loro gradiente di concentrazione.
Nel trasporto attivo secondario un altra proteina accoppia il flusso esoergonico degli ioni Na+ a quello endoergonico delle molecole di glucosio.
Nel capitolo 13 abbiamo visto in quale modo le proteine contrattili muscolari accoppiano la rottura esoergonica dell’ATP al loro peculiare lavoro meccanico.
Nelle vie metaboliche esiste un ulteriore tipo di accoppiamento, in cui successivé reazioni metaboliche condividono composti.

26
Q

È necessariamente lenta una reazione A+B=C endoergonica?

A

Una reazione A + B = C può essere endoergonica e tuttavia decorrere con rapidità se la reazione successiva, C + D = E, è sufficientemente esoergonica da rendere tale anche la reazione complessiva (A + B + D = E).

27
Q

Parlami della struttura degli enzimi.

A

Gli enzimi più piccoli in genere sono formati da una singola catena polipeptidica opportunamente ripiegata, mentre quelli di dimensioni maggiori possono essere formati da numerose catene polipeptidiche, in alcuni casi tra loro identiche.
Spesso nel sito attivo degli enzimi è presente, legato, uno ione metallico che facilita la reazione di legame e quindi la catalisi, oppure una piccola molecola organica, non proteica; queste specie chimiche sono dette gruppi prostetici e di essi parleremo più avanti in questo capitolo.

28
Q

Come funziona il legame tra enzima e molecola?

A

La spiegazione della specificità degli enzimi, che accompagna tutta la biochimica degli organismi, risiede nell’architettura delle molecole enzimatiche.
Come suggerito da Fisher, la struttura del sito attivo è plasmata in modo da adattarsi specificamente alla forma della molecola del substrato; il legame della molecola di substrato al sito attivo dell’enzima è stabilizzato dalle medesime forze che mantengono la struttura terziaria dell’en-zima stesso: legami a idrogeno, attrazione e repulsione elettrostatiche di gruppi dotati di cariche elettriche e interazioni tra gruppi idrofobi.
Alcuni substrati possono anche legarsi all’enzima covalentemente.

29
Q

Cosa fanno gli enzimi che digeriscono le proteine?

A

Gli enzimi che digeriscono le proteine catalizzano l’idrolisi di un legame peptidico - cioè provocano la rottura di una catena polipeptidica aggiungendo i gruppi costitutivi di una molecola di acqua agli atomi uniti dal legame peptidico (fig. 26.14).

30
Q

Che cosa sono i gruppi prostetici?

A

Sebbene alcuni enzimi siano costituiti interamente da una o più catene polipeptidiche, altri possiedono, strettamente legata, una porzione non proteica detta gruppo prostetico.
Questo gruppo può essere rappresentato da un singolo ione metallico, da uno ione metallico inserito nella struttura di una piccola molecola organica oppure da un coenzima.

31
Q

Che cos’è il coenzima?

A

Un coenzima è una molecola organica complessa, in qualche modo necessaria per l’azione di uno o più enzimi (fig. 26.15).
Alcuni coenzimi sono legati all’enzima allo stesso modo dei gruppi prostetici, altri diversamente; taluni sono infatti molecole a sé stanti, in grado di spostarsi da un enzima all’altro.
Alcuni coenzimi coadiuvano l’azione catalitica degli enzimi accettando o cedendo elettroni oppure atomi di idrogeno (cap. 27); altri alterano invece la struttura del substrato in modo tale da renderlo più reattivo.
Negli organismi animali, coenzimi di questi due tipi sono spesso prodotti a partire dalle vitamine presenti nella dieta.
Un altro gruppo di coenzimi partecipa al trasferimento di gruppi fosfato da una molecola all’altra, processo che si accompagna al rilascio di una rilevante quantità di energia libera.

32
Q

A cosa servono gli ioni metallici degli enzimi?

A

In generale, gli ioni metallici associati alle molecole delle proteine dotate di azione enzimatica agiscono legando la molecola di substrato all’enzima o sottraendo elettroni al substrato (fig. 26.16).

33
Q

Che spesso sono gli inibitori?

A

Alcune so-stanze, dette inibitori, che agiscono inibendo l’attività di certi enzimi, producono effetti irreversibili, altre effetti reversibili; in quest’ultimo caso si tratta di sostanze che possono esistere anche in forma non legata all’enzima.
Gli enzimi costituiti da più subunità sono soggetti a un altro tipo di controllo, noto come regolazione allosterica.

34
Q

Cos’è l’inibizione irreversibile?

A

Alcuni inibitori possono modificare irreversibilmente certe catene laterali presenti nel sito attivo degli enzimi, inattivandoli nella capacità di agire da catalizzatori.
Un esempio di inibizione irreversibile è dato dal dii-sopropilfluorofosfato, o DFP (fig. 26.17), una sostanza organica che reagisce con il gruppo ossidrilico presente nella catena laterale di uno specifico residuo di serina (si veda la tabella 3.1c) a sua volta localizzato in corrispondenza del sito attivo dell’enzima, rendendo impossibile la normale partecipazione di questo residuo al meccanismo catalitico della reazione.

35
Q

Cos’è l’inibizione reversibile?

A

Non sempre l’azione di un inibitore è irreversibile; le molecole di alcuni inibitori sono abbastanza simili a quelle di particolari substrati naturali di certi enzimi da egarsi al loro posto nel sito attivo e tuttavia sono abbastanza differenti da non subire l’azione catalitica degli enzimi stessi.
Quando un simile inibitore si trova legato all’enzima, il substrato naturale non può accedere al siro attivo; perciò l’inibitore sottrae all’azione catalitica la frazione di molecole di enzima con cui è legato, causando una diminuzione della velocità della reazione catalizzata.
Queste molecole vengono indicate come inibitori competitivi e, poiché bloccano l’enzima legandosi al suo sito attivo senza indurvi modificazioni chimiche (fig. 26.18), causano una inibizione reversibile.
Un inibitore reversibile può allontanarsi dall’enzima lasciandone il sito attivo inalterato.
Se è presente una quantità adeguata di molecole di substrato, esse possono competere con successo con quelle dell’inibitore.

36
Q

Si può fare capo alla presenza di inibitori competitivi?

A

L’inibitore può associarsi dall’enzima perché il legame all’enzima di un inibitore competitivo è reversibile, esattamente come il legame del substrato.
Per esempio, quando alla soluzione contenente succinato e succinico deidro-genasi viene aggiunto l’inibitore competitivo malonato, la trasformazione del succinato in fumarato viene rallentata (fig. 26.196).
L’effetto del malonato, tuttavia, può essere annullato con l’aggiunta di una quantità adeguata di succinato.
Le concentrazioni relative di substrato e di inibitore determinano quale dei due si legherà preferenzialmente al sito attivo dell’enzima.

37
Q

Cosa sono e come funzionano gli inibitori non competitivi?

A

Altri inibitori non reagiscono specificamente con il sito attivo degli enzimi; queste molecole sono dette inibitori non competitivi.
Gli inibitori non competitivi si legano all’enzima in un punto diverso dal sito attivo, tuttavia il loro legame provoca un cambiamento conformazionale della proteina, che altera la geometria del sito attivo stesso (fig. 26.20); quest’ultimo si mantiene ancora in grado di legare le molecole di substrato, tuttavia riduce la velocità con cui catalizza la trasformazione di queste nei prodotti della reazione.
Anche gli inibitori non competitivi possono abbandonare l’enzima e quindi sono considerati inibitori reversibili; tuttavia, dato che questi inibitori non si legano al sito attivo, i loro effetti non possono essere completamente annullati dall’aggiunta di un eccesso di molecole di substrato.

38
Q

Parla degli enzimi di struttura quaternaria.

A

Gli enzimi visti finora sono costituiti da singole catene polipeptidiche, in alcuni casi associate a gruppi prostetici.
Tuttavia molti importanti enzimi, così come altre proteine non enzimatiche, sono costituiti da molecole molto più grandi e complesse; tali enzimi presentano una struttura quaternaria (cap. 3) in quanto sono formati da due o più subunità, ciascuna delle quali è rappresentata da una catena polipeptidica del peso molecolare dell’ordine di decine di migliaia di dalton.
L’attività di questi enzimi complessi è controllata da molecole che possono essere anche molto diverse da quelle dei reagenti e dei prodotti della reazione da catalizzare. Queste molecole sono dette effettori.

39
Q

Cosa sono e come agiscono gli effettori?

A

Gli effettori, agiscono legandosi a un sito dell’enzima diverso da quello attivo definito sito allosterico.
In seguito a tale evento si può avere un aumento o una diminuzione della reattività del sito attivo; quindi tali effettori dal punto di vista funzionale possono funzionare da attivatori oppure da inibitori.
A causa della differenza tra effettore e substrato, questo fenomeno è detto allosterismo, che letteralmente significa «forma diversa».
Gli enzimi soggetti a un controllo di tale tipo sono detti enzimi allosterici e sono tutti costituiti da due o più subunità.

40
Q

Parla degli enzimi allosterici.

A

Gli enzimi allosterici differiscono da quelli formati da una singola subunità per quanto riguarda il modo in cui la velocità della reazione da essi catalizzata risponde alla concentrazione del substrato in un ambito di bassi valori.
Ciò risulta evidente dall’osservazione dei grafici della velocità di reazione in funzione della concentrazione del substrato.
Nel caso di enzimi a singola subunità, questi grafici hanno l’aspetto di quello della figura 26.11 o della figura 26.21a.
In questo caso, la velocità della reazione catalizzata aumenta molto rapidamente all’aumentare della concentrazione del substrato, per poi rallentare e quindi appiattirsi su un valore massimo costante, a partire dal momento in cui tutto l’enzi-ma presente risulta saturato dalle molecole di substrato.
Per un enzima allosterico, questo grafico è radicalmente diverso (fig. 26.21b) mostrando una forma sigmoide (a S).
In questo caso l’aumento della velocità di reazione all’aumentare della concentrazione del substrato è modesto a basse concentrazioni di substrato, mentre esiste un intervallo di concentrazione in cui la velocità di reazione risulta estremamente sensibile a variazioni anche modeste di questa.
In virtù di tale sensibilità, gli enzimi allosterici hanno grande importanza per la fine regolazione delle reazioni chimiche intracellulari.

41
Q

Spiega la struttura degli enzimi allosterici.

A

Un enzima allosterico consiste di almeno due tipi di subunità; una definita catalitica e una regolatrice.
La subunità catalitica possiede un sito attivo che lega il substrato dell’enzima, mentre la subunità regolatrice possiede uno o più siti allosterici deputati allo specifico legame con gli effettori.
Di solito, la molecola di un enzima allosterico è formata da due o più subunità catalitiche e da due o più subunità regolatrici.
Un enzima allosterico può esistere in forme distinte tra loro in equili-brio, caratterizzate da efficienza catalitica diversa.
Nei casi più semplici, quelli che prenderemo in esame, distingueremo una forma attiva che possiede la piena attività catalitica, e una forma inattiva che ne è totalmente priva.

42
Q

Spiega le differenze tra forma attiva e forma inattiva degli enzimi allosterici.

A

Nei casi più semplici, quelli che prenderemo in esame, distingueremo una forma attiva che possiede la piena attività catalitica, e una forma inattiva che ne è totalmente priva.
Nella prima forma, i siti attivi presenti sulle subunità catalitiche sono capaci di legare le molecole del substrato e di trasformarle nei prodotti; nella seconda forma, invece, i siti attivi si trovano in una configurazione distorta e non possono più legare le molecole di substrato, mentre i siti allosterici sono ancora in grado di legare l’effettore, per esempio un inibitore.
Le subunità regolatrici della forma attiva dell’enzima possiedono siti allosterici deformati e non possono quindi legare l’effettore.
In assenza sia di substrato che di inibitore, le forme attiva e inattiva sono in rapida interconversione e in equilibrio tra loro, con una costante di equilibrio che è caratteristica di ciascun particolare enzima.

43
Q

Considera cosa accade quando alla soluzione dell’enzima viene aggiunto il substrato.

A

In presenza del substrato, una parte delle molecole di questo si legano ai siti attivi presenti sulle molecole dell’enzima nella forma attiva; per tutto il tempo in cui il complesso enzima-substrato è presente, tali molecole di enzima sono sottratte all’equilibrio tra forma attiva e forma inattiva e quindi non possono tornare a quest’ultima configurazione.
D’altra parte, le molecole di enzima nella forma inattiva continuano a trasformarsi nella forma attiva con la medesima velocità di prima; quindi, in conseguenza della presenza del substrato, assistiamo a un aumento della frazione di enzima presente nella forma attiva!
E non solo, ma poiché ciascuna molecola di enzima nella forma attiva possiede (in questo esempio) due siti attivi, essa può legare contemporaneamente due molecole di substrato e catalizzarne la trasformazione nei prodotti.
Ciò spiega la curvatura verso l’alto nella porzione inferiore sinistra del grafico della velocità di reazione in funzione della concentrazione del substrato, per un enzima allosterico (fig.26.21b).
L’aumento della concentrazione del substrato causa l’aumento della frazione di enzima presente nella forma attiva e quindi del numero totale dei siti attivi ef-ficaci; di conseguenza risulta rapidamente accelerata la velocità della reazione catalizzata.

44
Q

Considera cosa avviene quando alla soluzione dell’enzima viene aggiunto un inibitore allosterico.

A

D’altra parte, l’aggiunta di un inibitore allosterico causa una diminuzione della frazione di enzima presente nella forma attiva e quindi inibisce la reazione.
L’inibitore si lega al sito allosterico della forma inattiva dell’enzima, prevenendone la conversione in quella attiva; tuttavia la trasformazione della forma attiva dell’enzima in quella inattiva non risente della presenza dell’inibitore.
L’effetto complessivo della presenza dell’inibitore è quindi quella di diminuire la frazione di enzima presente nella forma attiva e conseguentemente la velocità della reazione catalizzata.
Un attivatore allosterico agisce col medesimo meccanismo, con l’unica differenza che esso si lega alla subunità regolatrice della forma attiva dell’enzima, mantenendolo in tale configurazione.
Si noti che gli inibitori e gli attivatori allosterici non modificano la struttura dell’enzima; essi piuttosto interferiscono con la conversione di questo nell’altra forma con cui normalmente è in equilibrio.

45
Q

A cosa serve la regolazione allosterica?

A

La regolazione allosterica è uno strumento molto efficace; essa permette il rapido adeguamento a variazioni a breve termine del metabolismo o della composizione chimica dell’ambiente.
L’attività degli enzimi è modulata attraverso l’interazione di questi con piccole molecole, i prodotti terminali. La possibilità di regolare, oltre all’attività, anche la produzione degli enzimi rappresenterebbe un ulteriore vantaggio.
Questo in effetti è ciò che accade e la regolazione della biosintesi degli enzimi gioca un importante ruolo nel controllo dello sviluppo e del metabolismo.

46
Q

Come funziona la regolazione allosterica nel metabolismo?

A

Il metabolismo rappresenta la totalità delle reazioni biochimiche che si verificano in un essere vivente.
Queste reazioni procedono lungo vie metaboliche, sequenze di reazioni catalizzate da enzimi e ordinate in modo che il prodotto di una costituisca il substrato della successiva.
Alcune vie metaboliche provvedono alla sintesi, tappa dopo tappa, delle importanti molecole monomeriche che rappresentano gli elementi costitutivi delle macromolecole, mentre altre provvedono a intrappolare, sotto forma di legami chimici, l’energia presente nell’ambiente e altre hanno funzioni ancora diverse.
Alcune vie metaboliche sono ramificate, nel senso che uno o più intermedi di una via rappresentano i substrati di enzimi diversi e quindi possono essere coinvolti in vie metaboliche distinte.
Uno dei più stimolanti problemi dello studio dell’enzimologia è stato quello di trovare una spiegazione molecolare al comportamento degli enzimi regolatori, gli interruttori molecolari delle reazioni corrispondenti a punti nodali, dai quali divergono due o più vie metaboliche.
Il prodotto finale di una via metabolica ramificata può inibirne la reazione iniziale, riducendo la propria formazione: è il principio del controllo per retroazione (feedback) negativa (fig. 26.23), alla base, per esempio, del funzionamento dei termostati dei forni.

47
Q

Parla della sensibilità degli enzimi al pH.

A

Gli enzimi rendono le cellule capaci di far decorrere reazioni anche in condizioni blande, molto lontane dai
valori estremi di temperatura e di pH utilizzati in laboratorio.
Gli enzimi stessi sono estremamente sensibili a cambiamenti del mezzo in cui si trovano; per esempio, la velocità della maggior parte delle reazioni catalizzate dipende dal pH del mezzo in cui esse avvengono. L’attività di un enzima è massima a un particolare valore di pH mentre diminuisce man mano che la soluzione diventa più acida o più basica (fig. 26.24).
Numerosi fattori contribuiscono a determinare questo effetto; uno di questi è la ionizzazione dei gruppi carbossilici, di quelli aminici e di quelli di altro tipo presenti sia sulla molecola del substrato che sull’enzima. In soluzione neutra o basica, i gruppi carbossilici (—COOH) si ionizzano producendo gli ioni carbossilato (—COO-), con carica negativa.
Similmente, i gruppi aminici (—NH,) possono legare ioni H+ in soluzioni neutre o acide.
Ciò significa che, per esempio, in soluzione neutra una molecola con un gruppo aminico è elettricamente attratta da una molecola con un gruppo carbossilico, dato che in queste condizioni entrambi i gruppi sono ionizzati e presentano carica elettrica di segno opposto; tale attrazione invece non si verifica in soluzione acida (in cui il gruppo carbossilico non si presenta ionizzato) né in soluzione basica (in cui non si ionizza il gruppo aminico).
Enzimi diversi hanno un funzionamento ottimale a valori differenti di pH.
L’evoluzione ha selezionato enzimi adattati all’ambiente in cui devono operare.
Per esempio, gli enzimi digestivi dello stomaco presentano un’attività ottimale a valori di pH molto bassi, quelli che si ritrovano in tale organo dopo un pasto.

48
Q

Parla della sensibilità degli enzimi alla temperatura.

A

Anche la temperatura esercita un notevole effetto sull’attività degli enzimi (fig. 26.25).
Alle basse temperature, un aumento termico causa l’accelerazione di una reazione enzimatica poiché, in queste condizioni, una frazione maggiore di molecole dei reagenti arriva a possedere energia sufficiente a superare la barriera dell’energia di attivazione della reazione catalizzata.
Tuttavia a temperature troppo elevate diviene prevalente il fenomeno della denaturazione dell’enzima, poiché le molecole enzimatiche iniziano a vibrare e a oscillare così rapidamente che alcuni dei legami non covalenti che le stabilizzano possono rompersi.
Il calore distrugge la struttura terziaria delle proteine e quindi, a queste condizioni, le molecole enzimatiche perdono la loro attività catalitica.
A certe temperature gli enzimi vengono permanentemente inattivati, o denaturati: alcuni si denaturano a temperature solo di poco superiori a quella del corpo umano, mentre pochissimi altri sono stabili anche alla temperatura di ebollizione dell’acqua.
Il grafico dell’attività enzimatica in funzione della temperatura presenta un picco di attività in corrispondenza di una temperatura detta temperatura ottimale dell’enzima; al di sopra di questo valore diviene predominante l’inattivazione delle molecole enzimatiche.

49
Q

Cosa sono gli isoenzimi?

A

Gli organismi si adattano ai cambiamenti delle condizioni ambientali; un modo in cui realizzano ciò si basa sull’azione di gruppi di enzimi caratterizzati da proprietà fisiche diverse che catalizzano la medesima reazione.
Gli enzimi di questo tipo sono detti isoenzimi e possono essere tra loro chimicamente simili (costituiti, per esempio, da combinazioni differenti delle medesime subunità), oppure privi di qualsiasi relazione reciproca.
All’interno di un certo gruppo di isoenzimi differenti molecole enzimatiche possono presentare diverse temperature ottimali; un esempio di questo è fornito dall’acetil-colinesterasi della trota arcobaleno.
Quando passa da acqua relativamente calda ad acqua vicino alla temperatu ra di congelamento (2°C), questa specie inizia a produrre un isoenzima dell’acetilcolinesterasi con diverse caratteristiche rispetto a quello presente alle temperature superiori.
Il nuovo isoenzima presenta infatti una temperatura ottimale inferiore a quella dell’isoenzima prodotto in precedenza e questa proprietà permette al pesce un comportamento normale in acqua fredda.

50
Q

Come funziona il sistema a feedback biochimico?

A

GUARDARE LO SCHEMA

Tipicamente, in un sistema a feedback biochimico, il prodotto finale di una via metabolica è un inibitore allosterico dell’enzima regolatore in tale via; questo enzima catalizza la reazione limitante, cioè la prima tappa del percorso che porta alla sintesi del prodotto finale stesso.
Le reazioni limitanti delle vie metaboliche rappresentano punti particolarmente efficaci ai fini del controllo per feedback delle stesse.
Si consideri a tal proposito lo schema a lato, che riporta vari esempi di inibizione per feedback.
Occasionali «difetti di progettazione» possono determinare l’ostruzione di vie metaboliche caratterizzate da questo tipo di regolazione; raramente un prodotto terminale, quale quello indicato con K nello schema, può andare a inibire non solo la reazione da H a I ma anche quella precedente che porta da B a G.
Quindi un eccesso di K, oltre alla propria, blocca anche la produzione dei prodotti terminali P e S.
Casi come questo sono stati osservati sperimentalmente.
Per esempio, se a una coltura di Escherichia coli viene somministrata una dose superiore al normale di treonina, si verifica nelle cellule un deficit di metionina (altro prodotto terminale) e quindi la necessità di un apporto extra di quest’ultimo aminoacido, affinché la crescita cellulare si mantenga normale.
Evidentemente, un eccesso di treonina, oltre alla propria sintesi, inibisce un enzima regolatore attivo nel ramo della via metabolica che porta alla formazione della metionina.
Non sorprende l’occasionale presenza nelle vie metaboliche di tali inconvenienti che sfuggono al vaglio della selezione naturale.
Poiché le cellule di E. coli nel loro ambiente naturale (l’intestino dei vertebrati o qualunque altra localizzazione che non sia il laboratorio di un biochimico) non si trovano mai in presenza di rilevanti quantità di treonina, l’inconveniente descritto non arreca di per sé alcuno svantaggio al batterio.