Appunti lezioni Flashcards
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Distinguo tra storia dell’alimentazione e storia della cucina
Sono due facce della stessa medaglia.
- La storia dell’alimentazione fa parte del filone della cultura materiale, che comincia a essere studiata a partire da un nuovo interesse nei confronti della vita quotidiana e dell’agricoltura, ad esempio. Essa si occupa della produzione alimentare, della trasformazione del prodotto e del suo consumo.
Prima dell’esperienza delle Annales, si fa la histoire evenementielle, che privilegia un impianto strettamente cronologico e biografico. Ma anche la società tutta, con le sue abitudini e i suoi costumi, può essere un interessante campo di ricerca – che ancora, però, è inesplorato.
C’è stato un precedente in Francia, di Pierre-Jean-Baptiste Le Grand d’Aussy, Histoire de la vie privée des Français (1782). Un nobile francese, appassionato di storia e vicende del suo Paese, decise di selezionare diversi testi sulla storia della Francia. Una volta che raggiunse un numero consistente di libri, decise di rivolgersi a uno storico per raccontare, con metodo scientifico, la vita quotidiana dei francesi. Trovò uno storico che realizzò un paio di volumi sul tema che, tuttavia, non convinsero il committente. Il nobile li fece quindi vedere a Le Grand d’Aussy, un gesuita, che li bocciò: lo storico aveva selezionato solamente gli aneddoti, senza verificare le fonti. D’Aussy realizzò tre volumi solamente sulla storia dell’alimentazione, citando in maniera minuziosa tutte le sue fonti (cosa che al tempo non era in uso fare).
In Italia, verso la fine dell’Ottocento, quando si comincia a guardare al Medioevo con rinnovato interesse, alcuni studiosi, come Ludovico Frati, decidono di gettare uno sguardo alla vita privata della popolazione. Frati realizzò un testo relativo alla storia della vita privata a Bologna, in cui c’è un discorso anche sul cibo.
La linea di demarcazione però arriva con Bloch e Febvre nel 1929, con la storia della vita materiale, di quella quotidiana e degli oggetti e della storia dell’agricoltura. - La storia della cucina (prodotto alimentare = ingrediente; trasformazione degli ingredienti in un piatto secondo una ricetta; consumo del piatto in un contesto specifico) ha un altro tipo di derivazione, e si ritrova nel periodo di neo-medioevo: è in questo periodo che alcuni territori ricercano le proprie radici (specie in Germania). In Italia, nel periodo fra l’Ottocento e l’unità d’Italia, si recuperano notizie dell’età comunale, frammenti di vite musicisti, poeti, scrittori, linguisti per creare una cultura unitaria nazionale. Alcuni linguisti uniscono l’urgenza di cercare una matrice linguistica comune all’esigenza di esplorare gli anni medievali: sarebbe opportuno recuperare la lingua d’uso all’interno di alcuni particolari tipi di testo che possiamo considerare più vicini alla lingua parlata (non certamente quelli di Dante e Boccaccio). Questi linguisti, allora, decidono di sfogliare i vecchi libri di ricette, che non sono opere di letteratura, ma opere che devono farsi capire. La storia della cucina nasce quindi da un’esigenza linguistica. Scoppia così la moda.
L’incontro tra storia dell’alimentazione e storia della cucina e i primi corsi universitari
Sebbene i due punti di partenza della storia dell’alimentazione e della storia della cucina siano diversi l’uno dall’altro, ciò non impedisce loro di incontrarsi nella seconda metà del Novecento.
Emblematico il percorso che porta al volume di Storia dell’alimentazione curato da Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari (1996-97): provenienti da percorsi diversi, i due storici raccolgono una serie di contributi dalla Preistoria all’Età contemporanea, che avrebbero segnato gli studi successivi, mostrando la potenzialità e la ricchezza del nuovo filone storiografico, inaugurato peraltro alcuni decenni prima
A livello di corsi accademici europei, il primo insegnamento di storia dell’alimentazione nasce proprio a Bologna, nel 2000. Il primo docente è Massimo Montanari.
Prima d’allora la storia dell’alimentazione è insegnata all’interno di altri corsi (Massimo Montanari è il primo in Europa, all’interno di Storia medievale e di Storia agraria medievale, a partire dal 1977); segue la Spagna dove il primo docente, sempre medievista, è Antoni Riera Melis.
Nell’ A.A. 2002/2003: nasce a Bologna il Master in «Storia dell’alimentazione», poi «Storia e cultura dell’alimentazione», fondato da Massimo Montanari e attualmente diretto da Antonella Campanini.
La nascita delle scienze gastronomiche
L’insegnamento delle scienze gastronomiche ha inizio nel 2004 con la fondazione dell’università di Pollenzo e l’apertura di alcuni corsi di laurea triennale (es. Parma) che si rifacevano al medesimo modello, costruito all’interno delle scienze agrarie.
La storia dell’alimentazione è parte integrante dell’insegnamento delle scienze gastronomiche, per sua natura interdisciplinare.
Con il D.M. 928-2017 nasce la Classe di Laurea in Scienze, culture e politiche della gastronomia, che l’Università di Bologna apre nell’a.a. 2021/22 presso il campus di Cesena.
I tacuina sanitatis
Fabrizio Lollini li ha definiti dei “manuali di wellness”, testi medici che dovrebbero servire ad aiutare le persone a stare bene, in cui viene presentato alimento per alimento.
Hanno alla base una traduzione latina (risalente probabilmente alla metà del XIII secolo) di un testo arabo dell’XI secolo redatto dal medico cristiano Ibn Butlan
e basato sulla teoria ippocratica.
Nel Medioevo erano considerati prodotti pregevoli da far decorare alle scuole di miniatura.
Ad oggi, esistono tre codici principali:
- ms. 4182 della biblioteca Casanatense di Roma: la storia dei suoi committenti e possessori è incerta;
- ms. series nova 2644 della österreichische Nationalbibliothek di Vienna, legato al vescovo conte di Trento Giorgio di Liechtenstein (grande motore culturale della sua piccola corte, e committente di numerose opere d’arte, tra cui i noti affreschi dei mesi di Torre Aquila al Castello del Buonconsiglio, spesso chiamati in causa come derivazione, o parallelo, delle illustrazioni dei tacuina ora in Austria e Francia)
- ms. nouvelles acquisitions latines 1673 della bibiothèque nationale de France di Parigi, posseduto da Verde Visconti (1352-1414), figlia di Bernabò visconti, signore di Milano.
Il testo dei tacuina e le loro raffigurazioni
Il contenuto: Tratto tipico dei tacuina in generale è la disinvoltura nella composizione e nel montaggio dei contenuti.
1) Il testo originario di Ibn Butlan non solo viene tradotto e semplificato,
2) ma si declina nelle varie copie italiane in forme linguistiche differenti;
3) si presenta in forme più complete o più ridotte; comprende o esclude singoli elementi o apparati. Non esistono due copie identiche.
Le miniature: Le miniature, probabilmente tutte di scuola lombarda,
- non sono riconducibili a un singolo autore;
- i volumi sono tra loro differenti come impostazione compositiva: quello di Parigi ospita più spesso eleganti architetture, esprime in modo più netto forme legate all’ambito alto della corte, laddove quello di Vienna tende a bloccarsi invece in modi più statici.
- Ma ci sono delle limitazioni rispetto alla loro verosimiglianza naturalistica: all’artista non interessa raffigurare la realtà (non c’è una volontà realistico-mimetica). L’autore si rifà a iconografie già date; è difficile che sia andato a verificare come effettivamente quella cosa si presentava in un determinato contesto. L’arte, anche quella naturalistica, almeno fino all’Ottocento, ha sempre posto un filtro tra la realtà e la sua rappresentazione. Ad esempio, Adamo ed Eva attorno all’albero del bene e del male è alla base di quasi tutti gli episodi che riguardano la raccolta da un albero; molte scene raffigurate nei tacuina sono tratte dalla letteratura cortese-cavalleresca: in particolare i soggetti che si ritrovano nei cicli dei mesi costituiscono la base per la maggioranza delle attività agricole.
- Oltretutto, lo spunto grafico rimane sostanzialmente immutato: non andrà mai a controllare de visu se, al cambiare dei tempi o dei luoghi, l’attività muta.
- Nello stesso modo, per assimilazione, vengono iterati schemi iconografici che sono applicati ad argomenti diversi: la battitura della spelta del Codice Casanatense, per esempio, è riciclata per l’orzo in quello parigino; così come le innumerevoli raccolte di frutti, nei tre codici, vengono riproposte con minime variazioni.
- A volte l’artista non ha avuto modo di conoscere direttamente certe situazioni: nella copia francese, il raccolto del riso è clonato da quello di un qualsiasi cereale, senza tener conto della specificità di coltivazione della pianta. Il riso viene mietuto alla maniera del grano, l’unica cosa sono i chicchi bianchi.
- Bisogna anche tenere conto dei fini strumentali dei committenti: il miniatore non può rappresentare la terra durante i periodi di crisi; essa dovrà sempre apparire rigogliosa e fertile, i frutti giganti, i contadini poveri ma sobri, per celebrare il buon governo e le virtù del committente.
Nella raffigurazione degli spinaci e del melograno, lo status sociale delle due donne è visibile dalla disposizione degli alimenti, oltre che dai vestiti (le maniche di colore diverso nella donna raffigurata a destra): gli spinaci si colgono direttamente a terra, mentre il melograno cresce in alto.
La scienza dietetica in Occidente: nascita ed evoluzione
Dietetica e cucina sono strettamente correlate. Le indicazioni mediche, però, non sono valide per tutti. Sembra una contraddizione, visto che la storia materiale sembra guardare alle società nel complesso. Però alcune cose sono state comunque tramandate su grande scala: molti usi inconsapevoli derivano da principi di questo sistema.
La dietetica nasce con Ippocrate, ma non venne più seguita alla lettera a partire dal XVII secolo, con la nascita della chimica. Ad oggi, diversi movimenti rifiutano il discorso chimico per tornare a quello strettamente alimentare (ma la medicina naturale oggi, benché di moda, non è direttamente sovrapponibile con quella antica).
Ippocrate di Cos, Galeno e il principio dei quattro elementi costitutivi dell’universo
Ippocrate – o chi veramente ha scritto quell’opera – è considerato il padre della medicina occidentale e della dietetica, che si sviluppa all’interno della riflessione e della pratica medica.
La cultura medica antica ha come premessa la filosofia e la fisica di Aristotele, in particolare il suo principio dei quattro “elementi costitutivi dell’universo” – fuoco, aria, acqua e terra – perfezionato poi dal medico romano Galeno (II secolo d.C.), che le organizzò in un sistema coerente che sarà alla base della medicina fino al XVII secolo.
L’idea-base è che la “natura” degli esseri viventi (uomini, piante, animali) è data dalla combinazione di quattro “qualità”, derivate dalla combinazione (a due a due) con i quattro elementi di base:
- Aria + Fuoco → Caldo
- Terra + Acqua → Freddo
- Fuoco + Terra → Secco
- Acqua + Aria → Umido
Le quattro “qualità” si contrappongono a due a due:
* caldo vs freddo
* secco vs umido
Ogni qualità può essere presente negli organismi a diversi livelli di intensità: primo, secondo, terzo, quarto “grado”.
Noi viviamo in un sistema globale, ma in questo il piccolo uomo e il piccolo animale hanno un microcosmo corrispondente al macrocosmo universale: questi rapporti di caldo, freddo, secco e umido si ritrovano anche all’interno di noi stessi e di cosa mangiamo. Infatti, a ogni elemento corrisponde:
* un “umore” (liquido) in rapporto con un organo corporale (sangue/cuore; bile gialla/fegato; bile nera/milza; flegma/testa;
* un “temperamento” (sanguigno; bilioso; malinconico (infatti, chi è malinconico è perché ha la bile nera; flemmatico)
* un’età della vita (infanzia-adolescenza; età adulta; maturità; vecchiaia)
* una stagione dell’anno;
* un punto cardinale
La dietetica rende fisico ciò che per noi è uno stato d’animo: infatti, il temperamento è dato da un equilibrio tra i vari umori, ma se c’è un eccesso di qualcosa si può diventare, ad esempio, sanguigno, bilioso (= iroso), etc. Lo squilibrio è indice di stato di malattia che deve essere temperato/riequilibrato, causato da diversi fattori, interni ed esterni:
- l’età (giovani troppo umidi e caldi);
- il genere (femmine troppo umide e fredde, tantoché le mestruazioni servono per espellere mensilmente l’umidità;
- il clima;
- la stagione;
- uno stato di malattia
Non sempre a certi squilibri si può rimediare (il contadino caldo e secco non può andare dall’altra parte del mondo a farsi un iglù). Ma, quando si può, lo si fa agendo sulle res non naturales:
- aer (ambiente in cui si vive);
- cibus et potus;
- motus/quies;
- somnus /vigilia;
- repletio/evacuatio (espulsione o ritenzione degli umori);
- accidentes animae (affezioni dell’animo, passioni, stati psicologici → effetti fisici)
La cucina come intervento correttivo per gli squilibri
Il cibo e la bevanda, res non naturales, sono lo strumento fondamentale con cui si può intervenire per correggere lo squilibrio e ripristinare l’equilibrio fra le 4 qualità. Esempio: se una malattia deriva da (e procura) un eccesso di calore, si devono scegliere cibi “freddi”, e viceversa.
Supponiamo un individuo sano: che cosa deve mangiare? La questione sarebbe facile se in natura esistessero cibi perfettamente equilibrati, ma non esistono: è necessario crearli attraverso la cucina, che è un’arte della manipolazione e della combinazione, che si propone di modificare la natura.
- Intervento 1 – Le tecniche di cottura: il tipo di cottura deve corrispondere (con funzione correttiva) alle qualità dell’alimento. Ad esempio: le carni “secche” devono essere bollite, le “umide” arrostite. Un proverbio: “Gallina vecchia fa buon brodo”, dove vecchio = secco;
- Intervento 2 – Abbinamenti: accostare prodotti di qualità contraria per costruire un piatto equilibrato. Esempio: la frutta (fredda e umida) accompagnata da prodotti caldi e secchi (il melone con i salumi, le pere col formaggio; in alternativa, la pera fredda si può cuocere, preferibilmente col vino, il melone si può accompagnare con sale e/o con vino forte dolce). In questo sistema, il caldo è meglio del freddo: la digestione necessita calore (la cosa fredda si pianta sullo stomaco).
- Intervento 3 – L’ordine delle vivande: cominciare con cose che “aprono lo stomaco”, terminare con cibi che lo “sigillano”. Esempio: all’inizio cibi dolci o acidi; alla fine aspri, astringenti.
Molti usi sono rimasti invariati fino a noi, segnale della nascita prima della teoria e poi della pratica.
La teoria alla base è che la dietetica ha bisogno della gastronomia, il medico e il cuoco lavorano insieme (anche se è il signore che “comanda” sul cuoco, il quale spesso non riesce a fargli ingurgitare quello che dovrebbe; tantoché la parola “ricetta” si riferisce sia a cuochi che a medici). I trattati di dietetica contengono numerose indicazioni gastronomiche (il “medico gastronomo”; il “cuoco galenico”).
Antimo: cosa dimostra la fonte
Nel VI secolo, il medico greco Antimo indirizza l’epistola De observatione ciborum al re dei Franchi Teoderico. L’opera è per la maggior parte dedicata alle carni e al loro utilizzo. La “mediterraneità” di origine di Antimo resta in secondo piano rispetto all’ossequio che dimostra nei confronti del personaggio illustre a cui si rivolge.
Dalla lettura della fonte emerge che:
- tutto quello che è più vicino alla natura e meno artificiosamente modificato fa meno male di quello su cui i cuochi sono passati più elaboratamente;
- la chiave è la moderazione. Non va bene neanche l’eccesso nella rinuncia nei monasteri femminili;
- diversi tentativi di portare all’equilibrio le carni (come quella di castrato, ad esempio)
Le spezie nella cucina medievale
Mentre la cucina romana aveva prestato attenzione solo al pepe, nel Medioevo si affacciano sulla tavola nuove spezie, come zenzero, cannella, chiodi di garofano e galanga. Il loro impiego trasmigra, come spesso avviene, dal campo prettamente medicinale (erano menzionate già nei trattati di dietetica del VI secolo) a quello della gastronomia.
La loro presenza era attestata già nel IX-X secolo nei mercati di Italia e Fiandre. L’afflusso maggiore però si ha dall’XI secolo in poi, grazie al contatto ravvicinato dei crociati con l’Oriente, che garantisce la fortuna dei mercanti veneziani.
Perché si utilizzano le spezie?
- Non per camuffare il gusto di carni e vivande avariate o mal conservate, né per conservare la carne: i ricchi potevano permettersi il consumo di carne fresca di giornata, macellata su richiesta del cliente nelle botteghe; ancora, le spezie venivano aggiunte non a crudo, ma dopo la cottura. Inoltre, esistevano altri sistemi per la conservazione della carne (come la salagione, l’essiccazione e l’affumicatura).
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Esistono delle convinzioni medico-dietetiche: il calore delle spezie favorisce la digestione dei cibi e la loro cottura nello stomaco. Se sono calde e secche il giusto riequilibrano pasti freddi e umidi, facendo da cappa di calore per la digestione (vengono persino confezionate spezie confettate da distribuire a fine pasto, come lo zucchero, venduto dallo speziale, o spezie da camera, molte spezie finiscono nelle salse).
Aldobrandino da Siena (sec. XIII) sostiene che la cannella ha il merito “di aiutare le facoltà del fegato e dello stomaco” e di “aiutare a cuocere bene la carne”. Lo zenzero “ha capacità di aiutare lo stomaco freddo […] e aiuta a cuocere bene la carne”. I chiodi di garofano “aiutano le facoltà dello stomaco e del corpo, […] debellano la ventosità e i cattivi umori […] generati dal freddo, e aiutano a cuocere bene la carne”: cuociono quindi sia da fuori (gli alimenti nel momento della cottura) che da dentro (attraverso la loro azione nello stomaco). I costumi gastronomici sono debitrici della scienza, che viene utilizzata per supportare gusti e piaceri nuovi, in una sorta di teorizzazione post-pratica: nella scienza si cerca la rassicurante conferma per giustificare la propria ansia di novità.
* Bisogno di lusso e ostentazione: il prezzo delle spezie le rende un oggetto di desiderio; chi le utilizza sottolinea la propria posizione sociale (e sono soprattutto i borghesi, proprio perché ceto in ascesa, a volervi ricorrere). Nella sua requisitoria contro le vanità mondane, intitolata De contemptu mundi, papa Innocenzo III si era scagliato contro le ghiottonerie e le insulse passioni gastronomiche dell’uomo, scagliandosi anche contro le spezie. - Concentrano su di sé valori di sogno, quelli di cui è carico l’Oriente, che nelle raffigurazioni cartografiche era contiguo al paradiso terrestre.
Ciò che è buono fa bene
Nel procurare benessere al paziente attraverso l’arte correttiva della cucina, il cuoco si impegnerà anche a confezionare pietanze buone al gusto, perché la bontà è segnale di efficacia, di migliore nutrizione.
- Aldobrandino da Siena (sec. XIII): «come disse Avicenna, se il corpo dell’uomo è sano, tutte le cose che gli danno miglior sapore alla bocca sono quelle che lo nutrono meglio».
- Maino de’ Maineri (sec. XIV): I condimenti e le salse “coi quali sono conditi gli alimenti, hanno una non piccola utilità nel regime di salute: perché con i condimenti essi sono resi più piacevoli al gusto e di conseguenza più digeribili. Perché ciò che è più piacevole va meglio per la digestione: così con i condimenti si aggiunge bontà e si corregge la nocività”.
La qualità della persona
I trattati medici, da Ippocrate in poi, prescrivevano un’alimentazione secundum qualitatem personae. Ma la qualità, che da Ippocrate in poi era determinata dai caratteri dell’individuo e dall’ambiente in cui operava, nel basso Medioevo diviene un dato sociale.
Il contadino svolge lavori manuali, quelli più pesanti, adatti, appunto, alla parte inferiore della società. Questi lavori producono calore, quindi i contadini potranno mangiare qualsiasi cosa e la digeriranno tranquillamente, perché stanno producendo calore con il loro corpo e saranno facilitati nella digestione.
I ceti elevati, che oramai nel basso Medioevo non vanno più in guerra, svolgono invece un’attività sedentaria: il loro corpo non produce calore, quindi avranno più difficoltà a digerire; per questo motivo devono mangiare cibi leggeri, aggiungendo le spezie che facilitano il processo.
Qui è cambiato qualcosa dal punto di vista concettuale: i corpi sono corpi sociali; le ideologie e le mentalità influenzano la scienza medica.
La grande catena dell’essere
È una classificazione dell’ordine naturale che postula, quasi come una teoria scientifica, un certo parallelismo tra la società umana e la società naturale, descritte come catene verticali fatte di gradazioni (a volte alcuni animali sono intermedi, tra due livelli, come le balene e i delfini; ci sono quadrupedi che hanno le zampe a terra ma respirano aria: tra questi, il vitello è il quadrupede più apprezzato, considerato più nell’aria, mentre il maiale si rotola nel fango, quindi fa più parte dell’elemento terra).
I ricchi devono mangiare cibi preziosi, magari quelli che occupano i gradini più alti della grande catena dell’essere (es. frutta fresca, volatili come fagiani e pernici, che volano in alto); i poveri cibi rozzi e comuni (come erbe e arbusti, bulbi e radici che crescono più in basso, aglio, porri, legumi, cipolla, zuppe, cereali inferiori, cervi e cinghiali che sono più a contatto con il suolo).
È un’idea ideale di alimentazione, connessa alla ripercussione nell’universo, a un senso di ordine macrocosmico che si riflette anche da come mangiamo.
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L’alimentazione fra tarda Antichità e alto Medioevo
I romani e i greci non erano vegetariani: una questione di religione e di semplice previdenza
Esiste una certa somiglianza tra l’alimentazione romana e quella greca.
Spesso si dice che i romani erano vegetariani: non è vero; semplicemente caricavano di valore aggiunto alimenti vegetali (ovvero, ne mangiavano di più), ma si nutrivano anche di carne e prodotti animali. Oltretutto, spesso bisogna chiedersi quale sia la religione dei soggetti che andiamo a studiare: il politeismo, ad esempio, implicava la pratica di sacrifici animali, il che esclude il vegetarianismo: la divinità sente il profumo che sale dalla carne sacrificata che viene fatta arrostire, ma la carne deve poi essere consumata dagli uomini; sarebbe stato infatti assurdo non mangiarla: era come dire che non si aveva a pregio il dono offerto alla divinità).
Quelli antichi restano comunque regimi alimentari molto vari, in maniera tale da garantire approvvigionamento alimentare qualora venisse a mancare, per qualche ragione, un alimento.
La triade mediterranea: grano, vite e ulivo
La triade “mediterranea” (sebbene questo aggettivo sia da prendere con le pinze; la dieta mediterranea viene codificata in realtà nel Novecento): grano, vite e ulivo.
Elemento centrale è il pane: Omero (secc. IX-VIII a.C.) definiva gli uomini «mangiatori di pane».
L’ulivo si coltiva e dà frutti, ma non se ne abusa. L’olio di oliva serve soprattutto in medicina per guarire e nella cosmesi per realizzare unguenti (è infatti un prodotto che aiuta a illuminare). Bisogna tuttavia capire di che cosa sappia l’olio di oliva nel Medioevo: le olive erano diverse da quelle di oggi, così come le tecniche di produzione; il gusto doveva essere molto più forte (ce lo dimostrano alcuni trattati, che avvertono circa l’eccesso di olio: qui, gli autori scrivevano infatti che non bisogna condire molto, altrimenti l’alimento avrebbe avuto il sapore “di olio”).
Già Plutarco associò insieme questi prodotti: già li associa insieme: i giovani ateniesi giurano fedeltà alla patria, in cui “crescono il grano, la vite e l’ulivo” (dalla Vita di Alcibiade). Dalle Metamorfosi di Ovidio (secc. I a.C.-I d.C.): “Ogni cosa che le mie figlie toccavano si trasformava in grano, o in vino puro, o in oliva” (chi parla è Anio, re e sacerdote di Delo).
L’esistenza di questa triade, tuttavia, non impedisce a questi prodotti di coesistere con orticoltura e pastorizia, soprattutto ovina.
Il valore della misura e della moderazione in età romana (+ fonti nelle quali si evince)
Tutto è ammesso nella cultura alimentare greca e romana, ma tutto va consumato con misura e moderazione, tantoché l’eccesso alimentare dei barbari, soprattutto della carne, sarà notato come un elemento negativo; anche la varietà è nociva, perché vuol dire che si mettono in tavola tante cose diverse.
Fonte: Orazio (Satire), I sec. a.C.
«Ascolta, adesso: parliamo dei vantaggi che comporta il vivere frugale […]. In primo luogo, un’ottima salute. Non credi che la varietà del vitto sia nociva all’uomo? Ricòrdati allora di quel cibo genuino che un giorno si lasciò tranquillamente digerire; mentre, mescolando l’arrosto col bollito, i frutti di mare con i tordi, tutte queste squisitezze passeranno in bile, ed un muco vischioso metterà lo stomaco in subbuglio. Non vedi come ognuno, da una cena varia, imbarazzante, s’alzi pallido?».
Fonte: Svetonio (Vita dei Cesari), I-II sec. d.C.
Svetonio scrive una biografia di Augusto, ma potrebbe non aver detto la verità. Ci parla, infatti, dei valori della società romana, ottimamente distillati nella figura dell’imperatore Augusto.
[Augusto] «Spesso interveniva ai banchetti in ritardo e se ne andava in anticipo, in modo che gli invitati cominciavano a cenare prima del suo arrivo e rimanevano dopo la sua partenza. Offriva di solito una cena di tre portate e, quando la voleva molto abbondante, una di sei, senza eccessiva spesa ma con estrema cordialità. […] Gli piaceva particolarmente il pane di seconda qualità, i pesciolini piccoli, il formaggio di mucca, premuto a mano, e i fichi secchi primaticci e settembrini».
Le culture romana e barbara si guardano (+ fonti da cui ciò si evince)
Succede nella prima metà del III secolo (ma anche prima), quando nuovi popoli vengono alla ribalta entro gli spazi dell’impero.
Tra gli scrittori latini, ciò incoraggia a ribadire con forza il carattere romano delle scelte alimentari, come nelle biografie degli imperatori contenute nella Historia Augustae, una raccolta di biografie d’imperatori realizzata da diversi autori nel IV secolo. È una fonte preziosa perché ci dicono quali erano i valori romani privilegiati (come la misura e la moderazione) e in che modo fossero distillati nelle figure dei vari imperatori, che li hanno fatto propri secondo gradi e modalità diverse.
I personaggi che si vuole rappresentare in chiave positiva sono anche eccellenti portatori dei valori alimentari romani più significativi, mentre i personaggi che si vogliono screditare sono spesso o di estrazione germanica, come Massimino il Trace, o imperatori che hanno assimilato un modo di nutrirsi accostabile al modello barbarico.
Fonte: Cesare (De bello gallico), I sec. a.C.
I germani “non praticano il lavoro dei campi e la maggior parte del loro vitto consiste in latte, formaggio e carne”.
Fonte: Tacito (Germania), I-II sec. d.C.
[i Germani] «come bevanda hanno un liquido ricavato dall’orzo o dal frumento, fermentato in modo analogo al vino; i più vicini alla riva del Reno commerciano anche il vino. Il loro cibo è semplice: frutti selvatici, selvaggina appena cacciata, latte cagliato; riescono a soddisfare la fame senza elaborati preparativi e senza ghiottonerie. Nei confronti del bere non sono ugualmente temperanti: se li si asseconda nella propensione a ubriacarsi offrendo loro quanto vino vogliono, si lasceranno vincere più facilmente dal vizio che dalle armi».
Tacito fa una sorta di complimento ai germanici (“senza ghiottonerie”). Infatti, non ama la sua civiltà, Roma, che sta ricercando troppo il lusso. Inoltre, anche i costumi sociali sembrano essere in declino, tantoché nella Roma di età imperiale viene varata una legge, la quale prevede che se si ha il sospetto che una donna abbia bevuto, un suo parente ha il diritto di baciarla per controllare lo stato dell’alito. La donna era ritenuta più vicino alla natura e meno in grado di controllarsi (il serpente si era rivolto ad Eva…). Il vino aveva una forza paragonabile a quella maschile; se veniva ingurgitato da una donna era perché questa desiderava il seme maschile, ma non quello del marito, pertanto il consumo di vino era associato all’adulterio.
Fonte: Procopio (De bello gothico), sec. VI
I lapponi “non bevono vino e non ricavano alcun cibo dalla terra […] ma si dedicano solamente alla caccia, uomini e donne”.
Fonte: Jordanes (Gotica), sec. VI
I goti minori conoscono il vino ma preferiscono il latte; vi sono popoli scandinavi “che vivono solamente di carni”; gli unni esercitano la caccia come unica attività; i lapponi “non ricercano cibo dai grani della terra, ma vivono di carni selvatiche e delle uova degli uccelli”.
“Ricercare il cibo dai grani della terra” significa essere collocati in un contesto di civiltà, dove i grani devono essere rielaborati: infatti, ancora Procopio scrive, parlando dei mauri, che si nutrono sì di cereali (frumento e orzo) ma “senza farli cuocere e senza ridurli in farina”, mangiandoli “allo stesso modo degli animali”. (passo “l’invenzione del cibo”).
L’immaginario greco/latino e quello barbarico
IMMAGINARIO GRECO/LATINO
Fonte: Esiodo
Ai tempi di Crono “gli uomini vivevano come dei […] e la fertile terra dava spontaneamente molti e copiosi frutti”.
L’agricoltore è visto colui che con l’aratro e il vomere va a ferire la madre terra, quindi il suo gesto, sebbene ci permetta di raccogliere il cibo dalla terra, è intrinsecamente violento.
Fonte: Varrone
I primi animali addomesticati furono le pecore.
Fonte: Pitagora
L’universo ha inizio dal pane.
IMMAGINARIO BARBARICO
Fonte: l’Edda poetica (raccolta di carmi mitici ed eroici messa per iscritto nell’alto Medioevo norreno, che raccoglie gli usi quotidiani di uomini e dei)
* «Andhrimnir fa in Eldhrimnir / Saehrimnir bollire, / la migliore delle carni; e questo ben pochi sanno: / con che cosa si nutrano gli “scelti”», dove Andhrimnir è il cuoco e Eldhrimnir il grande paiolo.
* «Heidhrun si chiama la capra che sta ritta sulla casa di Herjafodhr / e bruca le fronde di Laeradhr; / il recipiente riempirà, lei, del nettare splendente: / quel bere non può mancare».
Nell’Edda ciascun essere (anche animale) può avere un nome.
Il Saehrimnir viene chiamato da Montanari “Il grande maiale”. Il prefisso “Saehr” richiama il mare; potrebbe fare riferimento a un animale marino. Ma il fatto che Snorri abbia dato la spiegazione di un maiale fa pensare che all’epoca dovesse apparire come un maiale. Sta di fatto che è una carne eterna che non finisce mai.
Se si accettano le spiegazioni del secondo passo fornite dall’Edda di Snorri (dove sono presenti spiegazioni dell’Edda poetica), si scopre che quel recipiente «è così grande che tutti gli eroi si ubriacano».
Anche Heidhrun continua a produrre il nettare splendente: forse si sta facendo riferimento al latte fermentato (kumis)?
La popolazione nomade che si sposta continuazione potrebbe anche non essere in sicura di trovare il suo cibo, motivo per cui scatta il desiderio di avere delle certezze.
Le biografie degli imperatori: un genere interessante…
Le biografie degli imperatori romani sono una fonte preziosa perché ci dicono quali erano i valori romani privilegiati (come la misura e la moderazione) e in che modo fossero distillati nelle figure dei vari imperatori, che li hanno fatto propri secondo gradi e modalità diverse.
Fonte: La Historia Augusta
È una raccolta di biografie d’imperatori realizzata da diversi autori nel IV secolo. È una fonte che, ovviamente, parteggia per i romani.
- Didio Giuliano: Chi si è fatto servire “ostriche, pollame e pesci” è venuto meno a quel precetto che suggerisce di non mescolare le cose.
- Gordiano: È “goloso” di valori romani, quali verdura e frutta fresca.
- Settimio Severo: La carne non veniva caricata di alcun tipo di valore. Ciò vuol dire che nel IV secolo l’equazione barbaro = carne è già diffusa.
- Clodio Albino: Questo passo su Clodio Albino è la prova che il biografo non sta dicendo la verità. È un romano con valori romani, ma è un usurpatore: non può quindi essere rappresentato coe un moderato.
- Gallieno: va contro natura e stagionalità.
- Massimino il Trace: idem con Massimino il Trace, attraverso la cui descrizione viene documentata la personalità del barbaro. Lui, infatti, è il primo barbaro che arriva e mangia così.
La fusione tra culture alimentari romane e barbariche: i valori romani non si estinguono
Se il vincitore (il “barbaro”) porta con sé e tende a imporre la propria cultura, anche in senso alimentare (carne), tuttavia i valori del vinto (il Romano) non si estinguono.
Il fenomeno è reso possibile dal prestigio della tradizione antica e dalla presenza di un terzo elemento, ovvero il cristianesimo, che si basa sì su quel grano, quel vino e quell’olio che caratterizzavano la cultura greca e romana, ma è onnivoro e non proibisce tutto. Infatti:
**Fonte: Girolamo di Stridone (IV-V sec.) **
Nel 395 Girolamo di Stridone, uno dei Padri della Chiesa latina, indirizza una lettera alla vedova Furia, esortandola a rinunciare a nuove nozze e a mantenere la castità.
La vedova è giovane e calda: meglio che beva acqua fredda (per raffreddarsi), ma se ce la fa beva pure il vino; in fin dei conti ciò che è importante è la moderazione.
Fonte: Possidio (Biografia di Agostino), IV-V sec.
Erbaggi: mangiare alla romana.
Era un amico e un seguace di Agostino.
Il discorso conviviale è importante. Se sta pranzando con qualcuno che ha bisogno di carne perché questa è ricostituente, allora Agostino la mangerà con lui.
In questo passo è visibile l’antitesi/conflitto con cultura ebraica.
**Fonte: La regola di Benedetto da Norcia (prima metà VI sec.) **
È la principale regola monastica, destinata a grande fortuna nei secoli successivi.
Non è previsto che si saltino i pasti (anche eccesso in moderazione).
È proprio in questo periodo che viene codificato il peccato di gola. È il primo peccato compiuto da Adamo ed Eva? O è la lussuria? La superbia? Ma il cristianesimo è onnivoro, quindi non si può dire che si è compiuto peccato perché si è mangiata una determinata cosa: il peccato di gola sussiste nell’eccesso rispetto alla necessità (nella quantità, negli orari, nell’eccessiva varietà, nel mangiare quando non serve).
Ma quando è il corpo che richiede di mangiare? Non si può chiedere a tutti l’astensione: tutti sono diversi. Infatti:
La cultura dei vincitori e la vittoria della carne: un alimento per tutti ma con qualche riserva
A poco a poco, valori alimentari barbari e romani si affiancano:
- i boschi (soprattutto nelle zone a dominazione longobarda) iniziarono a venir misurati nel loro impatto reale a livello produttivo (ad esempio, quanti ettari di bosco erano necessari per mettere in piedi un consistente allevamento di maiali, che necessitano di ghiande e altri frutti per ingrassare?). Si tratta di un calcolo analogo a quello per i campi (misurati in grano), per le vigne (in vino), per i prati (in fieno);
-
tutti possono usufruire dello spazio incolto, sia perché l’allevamento è prevalentemente allo stato brado, nei boschi e nei pascoli naturali, sia perché la caccia è aperta a tutti. Lo spazio alimentare è ancora aperto e non recintato. Ognuno riesce, quindi, a integrare la carne nella propria alimentazione (ad esempio il contadino, che mette la trappoletta per la lepre).
Di conseguenza, la carne diventa per tutti un cibo quotidiano, un valore “normale”.
Ma c’è carne e carne: anche se tutti la mangiano, nella dieta aristocratica il ruolo della carne è speciale, perché il signore è di mestiere un guerriero, e la carne è ritenuta lo strumento alimentare della forza fisica. Simbolo del potere è soprattutto la selvaggina grossa, status-symbol alimentare del guerriero: cinghiali, cervi, orsi.
La caccia è l’immagine e la rappresentazione della guerra: - in senso tecnico: armi, uso del cavallo, strategie. Iniziazione dei giovani;
- in senso simbolico.
Eginardo e La vita Karoli (IX sec.)
Nel IX secolo, il fedele Eginardo scrive la biografia di Carlo Magno. Ne esce il ritratto di un sovrano pio, difensore dei valori e degli interessi della cristianità, che potremmo definire il primo sovrano «europeo». Dietro la patina cristiana e dietro l’immagine classicheggiante dell’incoronazione imperiale, emergono valori legati alla concezione germanica del potere.
È quindi una biografia tendenziosa, quasi agiografica.
- “senza essere sproporzionato”: senso della misura;
- è un uomo che si adatta;
Negli ultimi anni della sua vita iniziò a soffrire di gotta.
“Più di tre volte”: tanto il vino era sempre annacquato.
Liutprando da Cremona, L’ambasceria a Costantinopoli (sec. X)
Mentre in Occidente i valori “barbari” dilagano, in Oriente si trova un custode dei valori classici e cristiani: si tratta dell’imperatore d’Oriente, descritto attraverso gli occhi di un ambasciatore orientale.
Da giovane, Liutprando si trova a servire il re Berengario, che ha bisogno di mandare un ambasciatore a Costantinopoli senza spendere troppo denaro (in un’ambasciata precedente a questa cui ci riferiamo). Liutprando deve sottoporsi quindi a un corso intensivo di greco; una volta tornato dall’ambasciata, sebbene sia convinto che sarà accolto con tutti gli onori, viene invece messo da parte. Questa profonda mancanza di rispetto se la legherà al dito. Sarà rivalutato sotto la dinastia Ottoni, sotto la quale redige la lettera che prendiamo in esame, nella quale sono contenute le sue osservazioni circa la sede degli imperatori d’Oriente.
Questa ambasciata non è stata per lui una bella esperienza; ha persino litigato con l’imperatore ed è stato trattato come l’ultimo degli individui.
- definisce ubriachi loro mentre è lui ad essere di origine barbara;
- “unta di olio e aspersa di liquido di pesci”: noi pensiamo che il liquido in questione sia il garum. Ma sembra che non lo conosca neppure, nonostante esso continui ad essere importato in Occidente, sebbene non per usi alimentari: forse vuole distanziarsi da quella cucina? O non lo conosce davvero? Ma Liutprando ha letto molta letteratura latina: sarebbe strano. Quindi, o non vuole mostrare di conoscerlo perché non gli sembra affatto una prelibatezza, o non lo conosce davvero. Forse, invece, non lo menziona perché vuole deprivare di romanità i bizantini.
- l’imperatore attinge a uno stereotipo dei barbari. Nell’insulto c’è implicito anche che i romani sono loro (i bizantini). Questi occidentali agli occhi degli orientali sono evidentemente imbarbariti.
“nenie”: nonostante Liutprando sia un vescovo.
Aglio, cipolla, porri: alimenti da contadini. Eppure, sono anche alimenti da romani: vuol dire che in Oriente sono rimasti indietro di secoli oppure che, volendo aggrapparsi alle radici della romanità, hanno continuato a mangiare alla maniera romana?
Inoltre, nel passo non si capisce molto se Liutprando sia sarcastico o meno. Forse sta enfatizzando solamente alcuni aspetti.
La nuova identità dei barbari (e, di contro, le apparenti rimanenze di quella romana) è più visibile da fuori perché emerge maggiormente dallo scontro di cultura.
Produzione alimentare in campagna: l’esempio dell’azienda curtense
Un’idea di Europa si è formata anche attraverso gli scambi di idee, che circolano insieme agli uomini. Una delle testimonianze più notevoli è costituita dall’organizzazione della produzione agricola, nella quale si susseguono modelli simili in quasi tutto l’Occidente.
I contratti agrari sono infatti fonti fondamentali per la storia dell’alimentazione.
Il modello dell’azienda curtense e della contrattualistica agraria nasce tra la Loira e il Reno, ma da lì comincia a diffondersi come una “buona idea” anche, ad esempio, in Inghilterra. Essa è espressione del dialogo che caratterizza il mondo occidentale.