I rischi psicosociali Flashcards

1
Q

Cosa sono i rischi psicosociali

A

Sono fattori che all’interno del contesto lavorativo o nello svolgimento del proprio lavoro mettono il lavoratore di fronte a delle difficoltà e a situazioni che lo portano ad esperire malessere.

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2
Q

Stress occupazionale

A

Lo stress in ambito lavorativo è un rischio che può aprire a un’altra serie di rischi psicosociali e al malfunzionamento dell’organizzazione, ma è quello che maggiormente può essere attenzionato e ridimensionato.

Studio delle cause, tre prospettive:
-stress come risposta non specifica (responsed-based, Seyle)
-stress come caratteristica dello stimolo ambientale (stimulus-based, Wolf e Rogers)
-stress come risultato dell’interazione tra persona e ambiente (stimulus/response relationship – transational approach, Lazarus).

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3
Q

Approccio fisiologico di Seyle

A

L’uomo è in salute e non è stressato se le sollecitazioni dell’ambiente sono proporzionate alle sue capacità di risposta. Al contrario, se le richieste dell’ambiente sono troppo onerose si verificherà un’attivazione psicofisiologica definita stress 🡪 risposta non specifica per provare ad adattarsi.

Prende anche il nome di sindrome generale di adattamento, e vede lo stress come una reazione fisiologica aspecifica.

Seyle è stato il primo ad identificare due forme di stress: ci sono situazioni in cui le richieste dell’ambiente sono sì valutate come onerose, ma non sono tali da portare malessere, anzi richiedono all’individuo di agire in modo da ripristinare una situazione di normalità che porti benessere 🡪 lo stressor crea la reazione fisiologica aspecifica che, se può essere fronteggiata da una risposta adeguata, fa sì che l’individuo sperimenti eustress e produca una performance efficace. In questo caso la richiesta è sfidante e attiva l’individuo in modo da raggiungerla diventando un fattore stimolante, uno stress positivo, che rende l’individuo efficiente a lavoro. Quando le richieste sono troppo poche o troppe per farvi fronte con le proprie abilità si parla di distress.

Seyle non connota negativamente necessariamente lo stress, ci dice solo che è una risposta psicofisiologica a delle domande dell’ambiente, ma questa attivazione può portare a due esiti: distress ed eustress.

Ci sono due casi in cui possiamo sperimentare stress negativo: quando le capacità di risposta sono particolarmente superiori alle richieste dell’ambiente, quindi non siamo adeguatamente stimolati, e quando le richieste sono elevate ma non abbiamo la forza di fronteggiarle. La relazione tra attivazione che arriva dall’ambiente e risposta dell’individuo è rappresentata come una “U capovolta”, con livelli di stress positivo che migliorano l’efficienza e livelli di stress che portano ad una situazione negativa.

[livello di attivazione 🡪 fase di allarme – fase di resistenza – fase di esaurimento 🡪 stato normale]

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4
Q

Approccio stimulus-based

A

Focalizzati sull’analisi degli stimoli presenti nel luogo di lavoro che creano stress, caratteristiche ambientali espresse sotto forma di richieste e di carico per l’individuo o di elementi di minaccia o di fattori dannosi, che hanno un effetto squilibrante: possiamo definirli stressor (cause).

Essi sono stati classificati in base al contesto ambientale (eccessivi livelli di rumore, temperature insostenibili, scarsa illuminazione), al contesto organizzativo (partecipazione e controllo della situazione, ruolo sociale, possibilità di crescita di carriera, stile di leadership, rapporto coi colleghi e tra lavoro e contesto esterno) e al contenuto dell’attività lavorativa (mezzi di lavoro, livelli di pressione temporale, carico del compito, cattiva assegnazione di compiti). Negli ultimi anni la letteratura ha individuato altri tipi di stressor:

  • tecnostress 🡪 uso delle nuove tecnologie, situazioni connesse con la flessibilità occupazionale e la flessibilità spazio-temporale, es. smartworking;
  • mobbing 🡪 violenze sistematiche su un lavoratore perpetrate da superiori e colleghi;
  • sexual harrassment 🡪 comportamenti di invadenza e minaccia a sfondo sessuale, di cui sono vittime soprattutto le donne.

Gli ultimi due sono considerati veri e propri rischi psicosociali perché mettono a rischio la salute non solo attivando lo stress ma compromettendo anche la salute mentale dell’individuo.

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5
Q

Approcci transizionali e di interazione

A

Si concentrano sulla qualità della relazione persona-ambiente; sono attenti non soltanto a quali sono i possibili stressor o all’attivazione di risposte da parte dell’individuo, ma all’intero processo.

Con il termine “stress” adesso ci si riferisce all’intero processo che si attiva nel momento in cui l’individuo viene posto davanti ad una certa situazione, le valutazioni che fa, la risposta che dà, l’interazione con il contesto e il rientro della situazione stressante. Lo stressor fa parte del processo di stress.

Lo strain è la risposta psicologica, fisiologica e comportamentale che l’individuo in interazione con l’ambiente dà agli stressor.

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6
Q

L’approccio interazionale di Karasek

A

Riconosce l’importanza dello scambio individuo-ambiente nell’identificazione di un processo di stress. Egli afferma che il fatto che persone diverse reagiscono in maniera diversa a caratteristiche del lavoro simili dipende dalle percezioni 🡪 l’individuo percepisce le richieste che arrivano dall’ambiente a partire dalle caratteristiche del suo lavoro e rispetto ad esse si pone di fronte ad una serie di valutazioni che hanno a che fare con la domanda, cioè le richieste poste al lavoratore e con il controllo, in termini di possibilità di prendere decisioni sui compiti e ampiezza delle competenze possedute.

A seconda di come si combinano questi due elementi il lavoro sarà percepito come più o meno stressante. Lo strain maggiore si avrà nei casi in cui l’alta domanda si incontra con basso controllo.

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7
Q

Sostegno sociale

A

Uno dei fattori individuati come fattori di protezione nella diminuzione della discrepanza tra domanda e controllo è il sostegno sociale percepito, che non riguarda la rete di relazioni costruite a lavoro, ma quanto quelle relazioni vengano percepite come sostegno, ed è un fattore in grado di influenzare le conseguenze indotte dalla percezione della minacciosità ambientale.

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8
Q

Classificazione di tipologie lavorative secondo Karasek

A
  • lavori ad alto strain sono quelli che prevedono alta domanda e basso controllo, creano alta tensione psicologica dovuta all’elevato carico di lavoro e si manifestano con ansia, depressione, vari disturbi psicosomatici
  • lavori attivi generano eustress piuttosto che distress in quanto prevedono alta domanda e alto controllo, la persona può esprimere pienamente le sue potenzialità
  • lavori a basso strain prevedono bassa domanda e alto controllo, non creano tensione psicologica e possono essere definiti rilassanti. I lavoratori sono soddisfatti, ma non sono lavori sfidanti, non li mettono alla prova 🡪 sul lungo periodo possono diventare noiosi e poco soddisfacenti
  • lavori passivi in cui c’è bassa domanda e basso controllo vanno particolarmente attenzionati perché creano tensione psicologica, la persona non ha possibilità di esprimere le proprie capacità (ci può essere fatica mentale anche con basso carico mentale, skills che non possono essere sfruttate) 🡪 a lungo andare diminuiscono le abilità e le capacità di apprendimento e il lavoratore percepisce stress da deprivazione e un abbassamento della qualità della vita lavorativa, che per lo spillover ricade anche sulla qualità della vita in generale.
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9
Q

Modello transazionale di Lazarus

A

Va oltre la percezione del contesto da parte degli individui, vede lo stress come risultato di un processo continuo e costante di scambio e di interazione tra individuo e ambiente e quindi considera le caratteristiche individuali che regolano il processo di stress, ma tenendo conto del fatto che l’individuo interagisce e scambia con il contesto una serie di elementi.

Lazarus e Folkman provano a rispondere alla questione del perché persone che lavorano nello stesso ambiente percepiscono le domande come più o meno stressanti?

Gli individui, nel momento in cui portano avanti questo continuo e costante scambio con l’ambiente, mettono in atto una serie di valutazioni cognitive rispetto alle richieste: la prima valutazione cognitiva, detta primary appraisal, ha a che fare con la valutazione e l’attribuzione di significato alla situazione (quali sono le conseguenze per il benessere?); dopodiché si attiva una seconda valutazione, detta secondary appraisal, che implica la percezione del soggetto di possedere le strategie di coping per fronteggiare la situazione avversa 🡪 se ciò avviene, allora il processo di stress terminerà in maniera positiva, al contrario se la persona valuterà di non essere nelle condizioni di rispondere alle richieste del contesto allora esso si complica.

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10
Q

Strategie di coping

A

Un elemento importante introdotto dagli autori è quello di strategie di coping, cioè strategie di difesa nei confronti dello stress che richiedono una riflessione su quali siano le più giuste da utilizzare.

Gli individui scelgono le strategie di coping a seconda della situazione (richieste e risorse) in cui si trovano ad agire, per cui esse non sono legate a caratteristiche stabili di personalità ma si tratta di un processo dinamico che cambia nel tempo al variare delle situazioni.

E’ possibile classificarle in adattive, che consentono di far fronte allo stress in maniera adeguata e farlo rientrare a livelli accettabili di omeostasi, e disadattive:

  • centrate sul problema 🡪 adattive, vuol dire che ci aiuta a tenere sotto controllo lo stress e quindi ritornare a una situazione pre stress – azioni di problem solving finalizzate ad affrontare in maniera diretta e specifica le richieste e le difficoltà ambientali, esse portano ad alti livelli di benessere e bassi livelli di strain percepito;
  • centrate sulle emozioni 🡪 azioni e riflessioni finalizzate alla riduzione delle conseguenze emotive date dallo stressor (componente emotiva dello strain) – sia adattive che disadattive a seconda di come viene gestita la situazione (in ambiente lavorativo sono disadattive);
  • evitamento 🡪 azioni per non pensare al problema – sia adattive che disadattive, anche se implicano un discostamento totale dalla richiesta (sono a favore del sé) se momentanee possono portare alla soluzione del problema.

In ambito lavorativo bisogna arrivare alla soluzione del problema. In generale lo scopo delle strategie di coping è far tornare l’individuo in una condizione di pre strain, far rientrare l’attivazione.

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11
Q

Le conseguenze dello stress occupazionale`

A

Le conseguenze dello stress occupazionale per l’individuo sono tante:
- sul piano fisiologico (alterazioni del normale funzionamento del sistema cardiovascolare con sintomi quali l’aumento di pressione sanguigna, diabete, sindromi metaboliche, obesità),
-sul piano psicologico (insoddisfazione, ansia, disturbi dell’umore)
-sul piano comportamentale

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12
Q

Variabili di mediazione tra stressor e strain

A
  • caratteristiche di personalità: come agiscono sulla percezione di uno stressor. Le persone con modelli comportamentali di tipo A esperiscono significativi livelli di stress (rabbia e ostilità in particolare), mentre i modelli di tipo B più orientati alla collaborazione e alla cooperazione tendono a mostrare livelli più bassi di stress rispetto ai primi;
  • affettività negativa: caratterizzata da bassa autostima e stati emotivi negativi, porta a percepire più elevati livelli di strain;
  • self-efficacy: alti livelli di autoefficacia riducono le conseguenze dello stress;
  • autostima: le persone che hanno un giudizio positivo di sé stesse, quindi alta autostima, sono meno sensibili all’azione negativa degli stressor.
    [Variabili tipiche del contesto lavorativo che fungono da fattori di protezione]
  • controllo sulle situazioni avverse e sugli eventi: la partecipazione, la possibilità di mantenere il controllo su una parte del proprio lavoro tiene sotto controllo lo stress, aumenta l’autoefficacia e consente di scegliere quali sono le strategie di coping più adatte a risolvere la situazione;
  • commitment: qualità del legame di appartenenza ad un’organizzazione, positivamente associato alla soddisfazione lavorativa e negativamente ai livelli di stress percepito;
  • supporto sociale: elemento importante nella promozione della salute e prevenzione dello stress poiché non soltanto influenza le cause dello stress (agisce sugli stressor con effetto preventivo), ma è anche un rimedio (effetto curativo) e modera l’azione delle conseguenze dell’attivazione dello strain soprattutto in riferimento ai superiori, a chi si riconosce come più esperto (effetto buffering) 🡪 a livello organizzativo, questa è la prima variabile da tenere in considerazione quando si vuole intervenire sullo stress.
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13
Q

Valutazione dello stress occupazionale

A

Per la valutazione dello stress si distinguono: misure soggettive, quali strumenti self-report, questionari (validati in tutte le lingue e per molti contesti lavorativi), strumenti più qualitativi che permettono di approfondire il significato soggettivo; misure oggettive, cioè strumenti per rilevare lo stress lavoro correlato tramite misurazione di parametri fisiologici come cortisolo, adrenalina, frequenza cardiaca.

Solitamente combinare misure soggettive e oggettive nello studio dello stress dà risultati migliori.

Tali strumenti consentono di analizzare adeguatamente e precocemente i segnali di stress organizzativo.

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14
Q

Modalita’ di intervento per lo stress occupazionale

A

Di fronte allo stress lavoro correlato ci sono tre modalità di intervento possibili:
- primari – di livello organizzativo: finalizzati alla riprogettazione delle attività lavorative, ristrutturazione dei ruoli, clima cooperativo allo scopo di ridurre gli agenti in grado di sollecitare stress. Per questo motivo sono quelli più consigliati dagli psicologi alle organizzazioni e sono molto efficaci, anche se costosi (raramente messi in atto);

  • secondari – rivolti agli individui: finalizzati a modificare le reazioni verso gli stressor occupazionali (lo psicologo del lavoro è chiamato spesso ad intervenire a questo livello, aiutare le persone a capire meglio come far fronte alle richieste del contesto e quali strategie mettere in atto). Sono piuttosto efficaci e poco costosi, quindi visti più di buon occhio dalle organizzazioni in termini di risorse economiche, e sono affiancati a biofeedback e tecniche di rilassamento che abbassano anche lo strain, cioè la reazione allo stress;
  • terziari – rivolti agli individui stressati: portati avanti da psicologi clinici, in quanto finalizzati alla cura e alla riabilitazione del lavoratore che manifesta effetti derivanti dallo stress. Sono abbastanza efficaci (difficili da valutare) e mediamente costosi.
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15
Q

Burnout

A

Lo stress è il genere e il burnout è una specie, ovvero una particolare forma di risposta a certe condizioni di stress.

Il burnout può essere inteso come una sottocategoria dello stress con antecedenti correlati e conseguenze differenti, esso costituisce un possibile esito dello stress con conseguenze più gravi soprattutto nei casi in cui lo stress non è mediato, si è stressati senza via d’uscita, senza elementi di moderazione e senza sistemi di sostegno.

Il burnout è definito in base a due approcci: la situazione di stato si focalizza sui sintomi, considerato come la manifestazione di un disagio e la situazione di processo concepisce il burnout come un fenomeno che si sviluppa in diverse fasi.

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16
Q

Definizione di burnout di Maslach (di stato)

A

La manifestazione di un disagio di un lavoratore che si esprime secondo tre macro dimensioni:
-la più importante, che maggiormente consente di capire se un lavoratore è in burnout, è l’esaurimento emotivo che esprime il disagio relativo alla sensazione di essere continuamente in uno stato di tensione, in una fase di strain, mette il lavoratore nella condizione di sentirsi sempre allo stremo delle forze;

-la depersonalizzazione è una risposta di distacco da parte dell’operatore nei confronti degli utenti oppure subentra la dimensione del cinismo in quei lavori che non hanno un utente da gestire, ciò significa che si prendono le distanze dal lavoro stesso. È proprio un distacco al lavoro, una demotivazione dal lavoro

-L’ultima dimensione è la mancanza di realizzazione professionale e personale, è una sensazione di incompetenza nell’affrontare il proprio lavoro, che però non è un abbassamento di autoefficacia percepita bensì la sensazione di non avere le risorse per affrontare quel lavoro, realizzare degli obiettivi.

-

17
Q

Definizione di Edelwich e Brodksy (di processo)

A

La definizione di processo più condivisa è quella di Edelwich e Brodksy, per i quali il burnout si sviluppa in diverse fasi:
1. entusiasmo idealistico 🡪 prima fase di valutazione delle risorse e delle richieste del contesto caratterizzata da aspettative di successo (non sempre realistiche) e miglioramento del proprio stato;
2. stagnazione 🡪 col passare del tempo tale entusiasmo si incontra e scontra con le transizioni legate alle circostanze, alle skills, alle risorse messe a disposizione dal contesto ecc. e i risultati dell’impegno cominciano ad essere percepiti come incerti;
3. se la stagnazione si prolunga nel tempo diventa frustrazione 🡪 sentimento di impotenza, sentire di non avere le risorse e che le proprie azioni non portano ai risultati sperati;
4. apatia 🡪 fase in cui il burnout si conclama caratterizzata da una totale chiusura in sé stessi, perdita del desiderio di aiutare gli altri.

18
Q

Antecedenti e cause del burnout

A

Aabbiamo per questo diversi approcci. Abbiamo i modelli dinamici, per i quali le cause del fenomeno sono soprattutto a livello individuale, come l’individuo valuta gli aspetti legati al suo lavoro e come questi divengono antecedenti del burnout. Ma noi sappiamo che quando parliamo di stress e rischi psicosociali non considerare il contesto ci mette sempre a rischio di non considerare elementi importanti. Per cui i modelli basati sulla competenza\efficacia affermano che l’insorgenza del burnout dipende dalla percezione della propria capacità di intervenire sull’ambiente. Possiamo identificare da una parte i fattori interni (aspettative, percezione di competenza, potere e controllo) e dall’altra i fattori esterni (adeguatezza delle risorse, divisione dei ruoli, feedback sui risultati); il modo più appropriato per studiare la genesi del fenomeno è combinare gli elementi su cui si focalizzano i modelli precedenti in un’integrazione proposta dal modello ecologico, che vede il comportamento umano in termini di adattamento della persona alle risorse e alle circostanze che il lavoro gli mette davanti (interscambio).

19
Q

Job Demand-Resources model

A

Per valutare e riconoscere l’importanza di questo modello, del fatto che ogni ambiente di lavoro richiede all’individuo una valutazione delle sue skills e delle risorse a disposizione e così via, nasce il Job Demand-Resources model che riconosce l’unicità di ogni ambiente di lavoro che possiede sue specifiche caratteristiche le quali sono a loro volta responsabili dell’insorgenze del burnout dei lavoratori.

Nell’analisi degli antecedenti bisogna andare a vedere anche la contingenza del momento, oltre che le componenti individuali.

Tra le cause del burnout sono stati individuati:
- fattori individuali (le persone rispondono in maniera diversa alle situazioni stressanti) particolarmente sensibili al burnout quali tratti di personalità es. tipologia A, introversione, mete di carriera 🡪 persone che si pongono obiettivi troppo elevati possono mitizzare il significato del lavoro, ed esperienze precedenti possono essere una risorsa perché coloro che hanno già vissuto una situazione stressante sanno gestirle meglio rispetto a chi si trova a dover costruire strategie e competenze per farvi fronte a partire da zero. Maggiormente a rischio burnout sono coloro che si trovano all’inizio o alla fine di una carriera;
- fattori organizzativi sono i ruoli lavorativi 🡪 distribuzione dei compiti e degli impieghi incompatibili con le capacità e i valori, struttura di potere 🡪 struttura gerarchica che non permette l’espressione individuale e il controllo sugli eventi organizzativi, e il clima relazionale 🡪 la qualità dei rapporti incide sulle capacità di tollerare e affrontare il disagio (un buon clima tutela dal burnout).

20
Q

Valutazione del burnout

A

Strumenti utilizzati nella valutazione del burnout: Maslach Burnout Inventory, tipico delle professioni di aiuto, consente di rilevare le dimensioni di esaurimento emotivo, depersonalizzazione, ridotto senso di riuscita professionale; partendo dal fatto di voler considerare il burnout un job burnout si è passati all’Organizational Checkup System, che vale per tutte le professioni e prende in considerazione aspetti individuali e anche organizzativi.

21
Q

Interventi per il burnout

A
  • livello individuale 🡪 durante l’assunzione, ovvero revisionare i sistemi di reclutamento, inserimento lavorativo e formazione (analisi delle motivazioni personali) e in itinere, tramite una supervisione orientata al potenziamento delle risorse individuali (counseling psicologico con l’obiettivo di potenziare motivazione, autostima, autoefficacia);
  • livello sociale 🡪 orientati alla costruzione di sostegno sociale percepito e a rafforzare la coesione di gruppo, la quale ha un effetto buffering dal burnout;
  • livello organizzativo 🡪 raramente messo in atto in quanto costoso, analisi adeguata dell’organizzazione che incida su quegli elementi legati al burnout come caratteristiche del clima, stili di management, funzionamento dei gruppi di lavoro, cultura organizzativa.
22
Q

Mobbing

A

Oltre ad essere stato individuato tra i tipi di stressor, viene considerato un particolare comportamento controproduttivo (richiede la volontà da parte di un lavoratore di agire nei confronti di qualcuno o qualcosa per danneggiare l’organizzazione e il suo funzionamento).

Aggressione e altri sono elementi importanti per la comprensione di quali sono le concause del fenomeno.

l mobbing scaturisce da una situazione di conflittualità in cui una persona diviene oggetto di azione persecutorie da parte di una o più persone;

23
Q

Differenza tra conflitto e mobbing

A

La diagnosi del mobbing e differenziarlo dalla conflittualità è alquanto difficile: esiste se c’è continuità nell’aggressione, se perdura nel tempo, deve verificarsi regolarmente e ripetutamente; ci deve essere intenzionalità nell’esercitare la vessazione; è un processo progressivo, cioè si intensifica nel tempo; una persona deve trovarsi necessariamente in situazioni di inferiorità, ovvero in una relazione asimmetrica.

Dobbiamo a Leymann il tentativo di disambiguare il conflitto dal mobbing, il quale ha identificato tre forme di comportamento tipico del conflitto ma che si possono indirizzare verso la diagnosi di mobbing: comunicazioni con la persona attaccata in cui si urla, si rimprovera, si critica; attacchi alla reputazione della persona fatti di pettegolezzi, offese, ridicolizzazioni che se esasperati possono sfociare in mobbing; manipolazione della prestazione come punizioni, compiti pericolosi o ridicoli

24
Q

Condizione zero

A

Secondo Ege, nell’analisi delle fasi del mobbing bisogna considerare il contesto socio-culturale in cui sono inserite le precedenti dinamiche: in paesi come Italia o Spagna è stato identificato nelle dinamiche relazionali di un gruppo di lavoro quella che viene definita condizione zero, cioè una conflittualità latente, fisiologica, un conflitto generalizzato dove tutti sembrano contro tutti; questa conflittualità e competizione latente in alcuni contesti sfocia in conflitto. Se la condizione zero si verifica sempre risulta complicato distinguere una situazione di mobbing da una di conflitto.

25
Q

Valutazione del mobbing

A

Per quanto riguarda la valutazione si distinguono: metodi interni (autopercezione del fenomeno, si interrogano le persone coinvolte), metodi esterni (osservazione del contesto) e metodi integrati 🡪 visione più completa del fenomeno.

26
Q

Antecedenti del mobbing

A

La letteratura ha individuato antecedenti del mobbing: individuali, che hanno a che fare con la soggettività 🡪 ipotesi disposizionale, caratteristiche di personalità dell’aggressore e della vittima; sociali 🡪 le dinamiche del gruppo influenzano natura, forma e frequenza del mobbing; situazionali (contingenza) 🡪 tra i più frequenti vi è la scorretta organizzazione lavorativa.

27
Q

Prevenzione del mobbing

A

Le organizzazioni hanno cara la prevenzione del mobbing, la quale viene messa in atto sfruttando la normativa esistente, monitorando il sistema di gestione delle risorse umane (clima, comunicazione, valutazione), promuovendo e comunicando una vision politica anti violenza (diffondere principi etici, non tollerare violenze, aggressioni e vessazioni), proponendo figure di supporto (gruppi aiuto-aiuto, counselor), formando al riconoscimento del mobbing (sentinelle soprattutto).

28
Q

Stalking occupazionale

A

Forma di aggressione/molestia messa in atto da un persecutore che irrompe in maniera ripetitiva, indesiderata e distruttiva nella vita privata di un altro individuo 🡪 ha origine nel luogo di lavoro e invade la sfera privata.

Lo stalking per definirsi tale presuppone la compresenza di tre componenti: molestatore/stalker, vittima/stalking victim, comportamenti intrusivi ripetuti nel tempo.

In generale è un rischio psicosociale molto frequente nei contesti lavorativi e organizzativi; ha delle conseguenze forti sulle vittime sia dal punto di vista fisico che emotivo (disturbi del sonno, attacchi di panico, rabbia, confusione) e anche sulla struttura lavorativa, in quanto il posto di lavoro viene percepito come insicuro.

29
Q

Traumatizzazione vicaria

A

Fonte di disagio psicologico specifica per coloro che operano in particolari settori occupazionali, ovvero professioni d’aiuto, che sono esposti ad eventi traumatici che coinvolgono l’utenza 🡪 sentirsi coinvolti nell’emergenza anche se non la si vive in prima persona, non si è la vittima.

I target di questo rischio psicosociale sono i soccorritori quali vigili del fuoco, operatori di ambulanze, in generale tutti coloro che si occupano di prestare soccorso a persone che vivono o hanno vissuto situazioni di emergenza;

Si può intervenire sul fenomeno prima di tutto conoscendolo, formando gli operatori a riguardo; interventi individuali di supporto realizzati subito dopo l’evento critico, durante i quali si ascolta come sono andati i fatti, si opera sulle sensazioni delle vittime e viene fornito loro conforto emotivo cercando poi di mobilitare le risorse necessarie per reagire all’accaduto; debriefing psicologico di gruppo per supportare gli operatori delle emergenze con l’obiettivo di prevenire risposte disfunzionali a eventi critici e incrementare il supporto sociale (rielaborazione e presa di distanza dal problema).