Nuovo Topic generali Flashcards

(24 cards)

1
Q

Nesso di causalità

A

Quando si verifica un evento dannoso, il diritto penale deve determinare se quell’evento sia stato causato da una determinata condotta umana in modo da stabilire se una persona possa essere ritenuta responsabile penalmente (art. 40 CP). L’art. 40 continua stabilendo che non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Quando una persona si trova in una posizione di garanzia la sua omissione di un’azione che avrebbe potuto prevenire un danno è considerata rilevante dal punto di vista del nesso causale.
Il nesso causale, quindi, consiste nel collegamento tra un’azione e il suo effetto, cioè tra la condotta di una persona e l’evento dannoso o criminoso che ne deriva. Affinché una condotta sia considerata causa di un evento, deve rispettare due condizioni: deve precedere l’evento (antecedente) o deve essere con l’evento in un rapporto eziologico, deve essere necessaria e sufficiente a determinare l’evento.
Nella realtà non esiste quasi mai una causa unica, ma più concause che insieme determinano un evento. Esistono due principali teorie che cercano di spiegare il concetto di concausa:
- La Teoria dell’equivalenza delle cause, vigente nel nostro ordinamento, stabilisce che ogni condizione necessaria al verificarsi di un evento è considerata una causa equivalente alle altre che hanno contribuito. Questa teoria si basa sul principio “sine qua non” (condizione senza la quale): se un evento non si fosse verificato senza una certa condizione, è da considerata una causa.
- La Teoria della causalità adeguata, applicata in altri ordinamenti, stabilisce che una condotta può essere considerata causa giuridicamente rilevante solo se è la concausa predominante e statisticamente più significativa. Questa teoria si basa sul principio del “quod pleurumque accidit” (ciò che accade di solito).

La teoria condizionalistica si esplica nel nostro ordinamento mediante lart. 41 del CP il quale stabilisce l’approccio penale nei confronti del concorso di concause: il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute non esclude il nesso causale tra l’azione dell’agente e l’evento dannoso. In altre parole, se un evento dannoso è causato da più fattori, tra cui la condotta di una persona, il nesso causale non viene interrotto solo perché altre cause hanno contribuito all’evento. Tuttavia, se una causa sopravvenuta è sufficiente da sola a determinare l’evento, il nesso causale si interrompe.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
2
Q

Nesso di causalità: criteri medico-legali

A

I criteri medico-legali sono fondamentali per stabilire se una condotta o una situazione specifica sia responsabile di un danno, e quindi il nesso causale. I principali criteri utilizzati sono:
Il criterio della possibilità scientifica, consiste nell’analizzare se, in generale, una condizione o un evento possa scientificamente causare un altro evento, indipendentemente dal caso specifico. In altre parole, il criterio non si concentra su cosa è accaduto nello specifico ma si chiede se una situazione simile, in linea generale, può produrre l’effetto in questione, se è quindi scientificamente possibile. Il criterio esplora quindi concetti come possibile, certo, impossibile, probabile, verosimile.
Dopo aver stabilito che l’evento è possibile in linea generale, si passa alla valutazione del caso concreto utilizzando il criterio di causalità individuale. Questo criterio si basa su 4 aspetti principali:
- Il criterio cronologico, ovvero l’analisi temporale degli eventi, quindi si deve stabilire se l’evento dannoso è avvenuto nel tempo giusto rispetto alla condotta (se il danno si verifica troppo lontano nel tempo rispetto all’evento causante, il nesso causale potrebbe essere escluso)
- Il criterio topografico analizza la localizzazione anatomica del danno quindi valuta la correlazione tra l’area in cui è avvenuto l’evento e la manifestazione della patologia
- La continuità fenomenologica esamina se ci sono una serie di altri eventi che porterebbero alla manifestazione del fenomeno in assenza della condotta umana.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
3
Q

Concetto di imputabilità

A

Cos’è l’imputabilità?
In diritto penale, per imputabilità si intende l’idoneità di un individuo ad essere ritenuto colpevole di un reato. Se una persona è considerata imputabile, significa che può essere ritenuta penalmente responsabile per i reati che ha commesso e può quindi essere soggetta a un processo penale e a eventuali sanzioni previste dalla legge.
Il concetto di imputabilità viene normato dall’art. 85 del CP il quale stabilisce che “nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se, nel momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. E’ imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere. Secondo questo articolo, dunque, i requisiti indispensabili per essere ritenuti imputabili sono rappresentati dalla capacità di intendere e di volere, che devono sussistere congiuntamente nel momento in cui l’individuo realizza la condotta illecita. Se l’individuo non ha capacità di intendere e/o di volere, non viene considerato imputabile in quanto non comprenderebbe il motivo per cui viene punito e automaticamente non potrebbe essere rieducato.

Cosa si intende per capacità di intendere e capacità di volere?
- Capacità di intendere
Ci si riferisce all’attitudine di rendersi conto delle azioni compiute, di comprenderne i motivi, il significato e il rapporto con il mondo esterno e quindi a prevederne le conseguenze (morali, giuridiche e fattuali). Chi è capace di intendere possiede una cognizione critica del proprio operato che impiega per valutarne l’appropriatezza. La persona con capacità di intendere è in grado di discernere se le sue azioni siano: buone o cattive (valore morale), lecite o illecite (valore giuridico), utili o dannose all’interesse comune (valore sociale).

-Capacità di volere
Si intende la facoltà di autodeterminarsi, di decidere e dirigere le proprie azioni in modo consapevole e intenzionale, resistendo a impulsi che potrebbero portare a mettere in atto comportamenti indesiderati o illegali. La volontà, infatti, può avere una manifestazione esteriore (il fare, compiere un’azione nella consapevolezza del fine da raggiungere) ed una interiore (il non fare, inibizione di un’azione anche essendo libero di farla).

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
4
Q

Cause di esclusione dell’imputabilità

A

Il codice penale individua alcuni casi in cui l’imputabilità è esclusa. Si tratta della minore età (infans), dell’infermità di mente (amens), del sordomutismo, dell’ubriachezza e dell’azione di stupefacenti. Le circostanze che determinano un’esclusione dell’imputabilità sono distinguibili in fisiologiche, ovvero legate all’età, e patologiche, cioè attinenti a stati di infermità.

  • Cause fisiologiche: INFANS
    L’art 97 del CP stabilisce che “non è imputabile chi al momento in cui ha commesso il fatto non aveva compiuto 14 anni”. Il legislatore ha così fissato una presunzione assoluta di non imputabilità del minore di 14 anni. L’art. 98 del CP sancisce, inoltre, che “è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto aveva compiuto i 14 anni, ma non ancora 18, se aveva capacità di intendere e di volere”. Dunque, nel caso dei minori la cui età sia compresa tra i 14 e i 18 anni, l’imputabilità viene invece giudicata caso per caso (viene valutata la maturità intellettiva/psicologica e il contesto sociale in cui il minore è cresciuto e vive).
  • Cause patologiche: AMENS
    In merito alle cause patologiche di esclusione dell’imputabilità, il nostro ordinamento fa specifico riferimento al vizio di mente, all’intossicazione da alcol e stupefacenti ed al sordomutismo.

1) Vizio di mente → Il codice penale distingue il vizio totale di mente e il vizio parziale di mente.

Art. 88 del CP – Vizio totale di mente
Secondo tale articolo “non è imputabile chi, al momento in cui ha commesso il fatto era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere”. Il vizio di mente si definisce totale quando determina la completa abolizione della capacità di intendere e di volere del soggetto al momento della messa in atto della condotta criminosa. Altro requisito indispensabile per la configurabilità del vizio totale di mente è la dipendenza dello stesso da uno stato di infermità da intendersi come quella condizione patologica fisica o psichica, che si deve dimostrare sussistente al momento del fatto, in grado di determinare una sensibile riduzione della capacità di intendere o di volere del soggetto. Dunque, questo approccio consente dal punto di vista giuridico di non dover identificare con certezza la malattia, dal momento che il termine infermità è molto ampio: ci si concentra sull’effetto che quell’infermità ha sullo stato di mente del soggetto.

Art. 89 del CP - Vizio parziale di mente
Secondo tale articolo, rientra nel vizio parziale di mente “chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, risponde del reato commesso ma la pena è diminuita”. Il vizio di mente si definisce parziale nel caso in cui determini una significativa compromissione, ma non abolizione, della capacità di intendere e di volere del soggetto al momento della messa in atto della condotta criminosa. Vale anche in questo caso la condizione per la quale lo stato di adulterazione delle capacità volitive debba essere conseguente ad una infermità. Il vizio parziale si distingue da quello totale in base ad un criterio quantitativo e non qualitativo in quanto ciò che rileva è il grado dell’alterazione mentale e non la sua estensione.

2) Sordità preverbale o sordità
Art. 96 del CP – Sordomutismo
Secondo tale articolo “non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità di intendere o di volere”. Secondo quanto sancito dall’art. 96, non è imputabile la persona affetta da sordità preverbale o sordità che, nel momento in cui ha commesso la condotta criminosa, era incapace di intendere e di volere a causa della sua infermità. Affinché il sordo preverbale o sordo sia considerato non imputabile, dunque, l’eventuale abolizione della capacità di intendere e volere deve essere necessariamente secondaria alla condizione patologica di alterazione delle capacità sensoriali. Laddove la condizione di sordomutismo comporti una drastica compromissione, ma non l’abolizione, della capacità di intendere e di volere, l’imputabilità è ridotta. È esclusa quindi una presunzione di non imputabilità del soggetto sordo, la cui capacità deve formare oggetto di uno specifico accertamento giudiziale. Tale articolo viene conservato per i rari casi in cui il soggetto sordomuto, per motivi sociali, non ha avuto un’adeguata educazione quindi la possibilità di capire quali sono i concetti che regolano la vita sociale.

3) Intossicazione da alcol o stupefacenti
Partendo dal presupposto che le sostanze tossiche agiscono sulla capacità di intendere e di volere, alcuni articoli del CP stabiliscono il grado di imputabilità del soggetto in relazione al tipo di intossicazione dello stesso nel momento in cui ha commesso il reo.

Art. 91 del CP - accidentale da caso fortuito o da forza maggiore
Questo articolo stabilisce che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità di intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore. Se l’ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, la pena è diminuita”. Dunque, qualora l’ubriachezza sia accidentale e tale da abolire completamente la capacità di intendere o di volere del soggetto, l’imputabilità è esclusa del tutto. Si pensi ad esempio ad un soggetto che assume una sostanza alcolica da egli ritenuta analcolica o ad un individuo che inala accidentalmente vapori di alcol in contesto lavorativo.

Art. 92 del CP - volontaria o colposa o preordinata
Tale articolo stabilisce che “l’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce l’imputabilità. Se l’ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata”. Se l’ubriachezza è colposa o volontaria, l’imputabilità non è esclusa né ridotta. Nel caso in cui l’ubriachezza sia preordinata al fine di commettere il reato, non solo il soggetto è imputabile, ma addirittura è previsto un aumento della pena per il reo. Si pensi ad esempio ad un soggetto che si ubriaca intenzionalmente al fine di trovare coraggio necessario per portare a termine una rapina a mano armata.

Art. 94 del CP – abituale
Tale articolo stabilisce che “quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata. Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza. L’aggravamento di pena stabilito nella prima parte di questo articolo si applica anche quando il reato è commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all’uso di tali sostanze”. Dunque, porta ad un incremento della pena anche l’ubriachezza abituale, intesa come la tendenza ad un consumo smodato e costante di alcol che fa sì che il soggetto sia frequentemente in stato di ebbrezza.

Art. 95 del CP - intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti
Tale articolo stabilisce che “per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89 (rispettivamente vizio totale e vizio parziale di mente)”. La condizione definita come assunzione cronica di alcol, al contrario di quella abituale, viene di fatto equiparata al vizio di mente, imponendo dunque la riduzione o la totale esclusione dell’imputabilità. Da sottolineare come per cronica assunzione di alcol si intenda quella condizione psicopatologica caratteristica dell’etilista di lungo corso contraddistinta dalla presenza di gravi danni neurologici con riflessi sulla sfera cognitiva, perduranti anche dopo la sospensione dell’assunzione della sostanza alcolica.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
5
Q

Le declinazioni della capacità in diritto civile

A

Il Codice Civile si apre con la definizione della capacità nell’ambito del diritto civile, declinata nelle sue due principali forme: capacità giuridica e capacità di agire.

  • Capacità giuridica
    Secondo l’art. 1 del CC “la capacità giuridica si acquisisce al momento della nascita”, ciò significa che dal momento in cui una persona nasce, lo Stato le riconosce automaticamente una serie di diritti e doveri. La capacità giuridica indica una caratteristica prettamente statica e passiva dello status civile di un individuo in quanto consiste nell’attitudine ad essere titolare di diritti e doveri. La titolarità si perde con la morte della persona fisica.
  • Capacità di agire
    Secondo l’art. 2 del CC “con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non è stabilita età diversa…”. Mentre la capacità giuridica è riconosciuta indistintamente a tutti gli esseri umani dalla loro nascita, la capacità di agire è concessa solo a coloro che abbiano compiuto i 18 anni, età in cui la persona è considerata sufficientemente matura per assumere pienamente diritti e responsabilità civili.
    La capacità di agire indica una caratteristica dinamica e attiva dello status civile di un individuo in quanto, al contrario della capacità giuridica, consiste non nel mero possesso di diritti e doveri ma nella possibilità di disporne (di compiere atti giuridicamente validi). La capacità di agire si mantiene fino alla morte, a meno che non intervengano patologie di carattere neurologico e/o psichiatrico che vadano a limitare o addirittura abolire la capacità di agire. In questa evenienza il soggetto diventa per l’ordinamento una persona fragile da tutelare.
How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
6
Q

Incapacità civile, istituti giuridici: l’interdizione

A

L’incapacità civile è una condizione giuridica in cui una persona non è idonea ad esercitare autonomamente i propri diritti e doveri. Per tutelare la persona incapace, sono stati stabili degli istituti giuridici in grado di determinare rispettivamente l’abolizione, la riduzione o la limitazione della capacità di agire: l’interdizione, l’inabilitazione e l’amministrazione di sostegno.

Interdizione
Per interdizione si intende la privazione totale della capacità di agire, istituto giuridico previsto dall’art. 414 del CC il quale stabilisce che “il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare loro adeguata protezione”.
Su questa base, i presupposti clinici che devono sussistere affinché un soggetto possa essere dichiarato interdetto sono tre:
- L’infermità di mente, intesa come qualsiasi condizione patologica (psichica od organica) idonea a determinare una significativa compromissione delle capacità cognitive (alterazioni della coscienza, dell’affettività e dei poteri volitivi);
- Il carattere abituale dell’infermità stessa, che si configura quando la malattia ha prognosi di lunga durata o di cronicità, sono pertanto escluse le manifestazioni episodiche o transitorie e, inoltre, non necessariamente compromissione cognitiva deve essere continua o insanabile ma possono essere presenti intervalli di lucidità che tuttavia non escludono l’interdizione (gli intervalli lucidi, pur interrompendo la continuità dell’infermità di mente, non interrompono la continuità del pericolo di danno patrimoniale; da ciò la necessità del provvedimento e della tutela);
- La sussistenza di un pregiudizio alla capacità del soggetto di provvedere ai propri interessi (gravità, deficit prestazionale), da intendersi questi ultimi come le attività di ordine economico ed amministrativo richieste al soggetto, dunque, è necessario confrontare il grado di deficit psichico con l’effettiva rilevanza degli interessi, soprattutto patrimoniali, cui la persona deve provvedere.

Il soggetto, per poter essere definito legalmente interdetto, deve essere sottoposto ad una consulenza tecnica, volta a valutare le condizioni fisiche e psichiche della persona da interdire, che prevede:
- Una diagnosi clinica con visita medica, analisi di laboratorio, indagini strumentali, esami psico-diagnostici
- Una valutazione delle funzioni cognitive e mnesiche con analisi quantitativa (test mentali) dell’eventuale deterioramento
- Una valutazione delle capacità attentive, percettive e di calcolo

La perdita della capacità a seguito dell’interdizione è assoluta e permanente. L’interdetto è, così, incapace di compiere validamente qualsiasi atto patrimoniale, anche di limitata entità: non può fare testamento, non può contrarre matrimonio, non può riconoscere un figlio naturale; inoltre, analogamente alla gestione degli aspetti patrimoniali, non può prestare il consenso per prestazioni medico-assistenziali. La capacità di agire viene esercitata per conto dell’interdetto da un rappresentante legale detto tutore, nominato dal giudice tutelare ed autorizzato a prendere ogni decisione di rilievo civilistico in luogo dell’interdetto (ad eccezione di alcuni atti preclusi all’interdetto).

Sebbene l’ipotesi del miglioramento o del riordinamento dello stato psichico sia stata tenuta presente dal legislatore, prevedendo la revoca del provvedimento dell’interdizione qualora intervenga la guarigione, usualmente lo stato di incapacità dell’interdetto dura fino alla morte.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
7
Q

Incapacità civile, istituti giuridici: l’inabilitazione

A

L’incapacità civile è una condizione giuridica in cui una persona non è idonea ad esercitare autonomamente i propri diritti e doveri. Per tutelare la persona incapace, sono stati stabili degli istituti giuridici in grado di determinare rispettivamente l’abolizione, la riduzione o la limitazione della capacità di agire: l’interdizione, l’inabilitazione e l’amministrazione di sostegno.

Inabilitazione
L’inabilitazione è definita come la privazione della capacità di compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione (vendita di una casa, rinuncia/accettazione dell’eredità); la persona inabilitata è affidata ad un curatore. E’ un istituto giuridico previsto dall’art. 415 del CC il quale stabilisce che “il maggiore di età infermo, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo all’interdizione, può essere inabilitato. Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Possono, infine, essere inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un’educazione sufficiente, salva l’applicazione dell’art. 414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi”.
Secondo tale articolo, possono essere inabilitate le persone che:
- Presentino un’infermità mentale, ma non tale da dare luogo all’interdizione. In questo caso l’infermità di mente deve essere abituale ma di gravità minore rispetto a quella indispensabile per procedere all’interdizione.
- Manifestino eccesso di prodigalità o facciano uso abituale di alcool o stupefacenti, esponendo sé stessi o la propria famiglia a grave pregiudizio economico. Per prodigalità si intende la tendenza a spendere eccessivamente oppure a regalare i propri benni agli altri, da cui deriva il grave pregiudizio economico per sé o per la famiglia. Nel secondo caso, per poter inabilitare la persona, il comportamento di uso abituale di alcool o stupefacenti deve tradursi in un’alterazione psichica tale da compromettere le capacità del soggetto di provvedere ai propri interessi, ovvero, da indurlo a compiere atti economici pregiudizievoli per sé o per la famiglia.
- Siano sordomute o cieche dalla nascita o dalla prima infanzia e non abbiamo ricevuto un’educazione sufficiente

Il soggetto inabilitato vede la propria capacità di agire ridotta, essendogli preclusa la possibilità di compiere atti giuridici eccedenti l’ordinaria amministrazione, ma restando nella piena facoltà di provvedere autonomamente gli atti giuridici ordinari. La capacità di agire relativamente agli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione viene esercitata per conto dell’inabilitato da un rappresentante legale detto curatore. L’inabilitato, contrariamente all’interdetto, può contrarre matrimonio, sottoscrivere un testamento e prestare il consenso all’atto medico.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
8
Q

Quali sono le differenze tra interdizione e inabilitazione in relazione agli aspetti amministrativi e applicativi?

A

La domanda di interdizione o di inabilitazione deve essere presentata sotto forma di ricorso al tribunale del luogo in cui la persona è domiciliata. Può presentare ricorso chiunque sia interessato alla conservazione del patrimonio del soggetto, ovvero, gli eredi fino al quarto grado di parentela.

Le funzioni di tutore e curatore rappresentano istituti di protezione degli incapaci ma, mentre la prima è una forma di rappresentanza legale, la seconda configura un esercizio dell’assistenza. Mentre il tutore ha funzioni di rappresentanza della persona interdetta, il curatore ha funzione di assistenza, ovvero, non di sostituire ma di integrare la volontà dell’inabilitato. L’attività del curatore consiste nel curare solo gli interessi di natura patrimoniale ed è, quindi, rilevante solo per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, al contrario dell’attività del tutore che consiste nel curare non solo la gestione del patrimonio dell’interdetto ma anche le sue necessità personali (cure mediche, assistenza sanitaria, supporto psicologico, attività quotidiane di cura, educazione, socializzazione).

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
9
Q

Incapacità civile, istituti giuridici: l’amministrazione di sostegno

A

L’istituto giuridico dell’amministrazione di sostegno viene introdotto con la legge 6/2004 in seguito alla necessità di disporre di un nuovo strumento giuridico idoneo a gestire tutte quelle situazioni che non rientravano completamente nelle previsioni dell’interdizione e dell’inabilitazione. L’amministrazione di sostegno è normata dall’art. 404 del CC il quale stabilisce che “la persona che, per effetto di una infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio”.
Dunque, i destinatari di questo provvedimento sono coloro che, a causa di un’infermità, siano impossibilitati, del tutto o in parte, temporaneamente o permanentemente, a provvedere ai propri interessi. Questo istituto permette di limitare al minimo la capacità di agire, prevedendo che il soggetto destinatario della misura si affiancato da un amministratore di sostegno che provvede al compimento di atti giuridici in luogo dell’assistito o lo assiste nel compimento degli stessi. La nomina dell’amministratore di sostegno non solo non abolisce/limita automaticamente la capacità di agire, ma può essere temporanea, applicandosi bene a quei casi in cui il soggetto mantiene le proprie facoltà intellettive ma che si trova nell’impossibilità fisica di gestire i propri interessi. Il giudice tutelare specifica quali atti il beneficiario può portare a termine in autonomia, quali con la supervisione dell’amministratore di sostegno e queli invece sono totalmente preclusi, rispecchiando così la peculiare adattabilità del provvedimento al singolo caso.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
10
Q

Introduzione alle lesioni personali

A

I reati di lesioni personali sono quelli più frequentemente contestati ai professionisti sanitari in ambito penale.
Il reato di lesioni personali, distinte in base all’elemento soggettivo del reato in dolose e colpose, rientrano, insieme al reato di percosse, nei delitti contro l’incolumità individuale.
- Il reato di percosse, normato dall’art. 581 del CP, è contestato a chiunque eserciti un’azione violenta ai danni di terzi, a patto che tale atto non comporti l’insorgenza di una malattia psicofisica nella vittima. Per percosse si intendono atti violenti, cioè gesti idonei a determinare una locale sensazione dolorosa destinata alla scomparsa spontanea nell’arco di breve tempo. Sempre secondo tale articolo, la procedibilità del reato è a querela della persona offesa.
- Il reato di lesioni personali dolose e colpose è normato dagliart. 582 e 590 del CP. Nel caso delle lesioni dolose, il reato è contestato a chiunque cagioni a qualcuno una lesione personale psicofisica da cui deriva una malattia psicofisica, in modo volontario; nel caso delle lesioni colpose, il reato è contestato a chiunque cagioni a qualcuno una lesione personale per colpa, ovvero senza intenzione, ma per negligenza, imprudenza o imperizia.

Dunque, è evidente come ciò che differenzia le percosse dalle lesioni personali è che da queste ultime deriva malattia. Per “malattia” si intende una modificazione peggiorativa dello stato anteriore a carattere dinamico/evolutivo, che si manifesta con un disordine funzionale apprezzabile e che determina una effettiva limitazione della vita organica e di relazione, richiedendo un intervento terapuetico. Il carattere dinamico indica che la malattia derivata dalla lesione inizia immediatamente dopo la produzione della lesione e può concludersi con la guarigione (restitutio ad integrum), con la morte o lasciando degli esiti a carattere permanente.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
11
Q

Lesioni personali: classificazione

A

Le lesioni personali sono classificate in quattro gradi di gravità in base alla durata della malattia e alla presenza o meno di aggravanti, secondo l’art. 583 del CP. Sono, dunque, suddivise in:
- Lievissime quando determinano una malattia di durata inferiore o uguale ai 20 giorni in assenza di aggravanti biologiche;
- Lievi quando determinano una malattia superiore ai 20 giorni e inferiore o uguale ai 40 giorni in assenza di aggravanti biologiche;
- Gravi quando determinano una malattia o incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di 40 giorni o, indipendentemente dalla durata della malattia, quando sono presenti una o più aggravanti biologiche previste dall’art. 583 del CP (malattia che pone in pericolo di vita la persona offesa e indebolimento permanente di un senso o di un organo, che verranno discusse in un’altra flashcard);
- Gravissime quando determinano una malattia certamente o probabilmente insanabile o caratterizzata dalla presenta di una o più aggravanti biologiche previste dall’art. 583 del CP (perdita di un senso/organo, perdita di un arto o mutilazione che renda l’arto inservibile, perdita della capacità di procreare, permanente e grave difficoltà della favella, deformazione o sfregio dell’aspetto mediante lesioni permanenti al viso).

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
12
Q

Lesioni personali: aggravanti biologiche delle lesioni gravi

A

L’art. 583 del CP stabilisce le pene in base alla gravità delle conseguenze delle lesioni personali, descrivendo le specifiche aggravanti biologiche delle lesioni gravi e gravissime.

La lesione personale è grave:
- Se dal fatto deriva una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni;
- Se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa → si riferisce a lesioni che, per la loro gravità, compromettono una delle tre funzioni vitali (cardiocircolatoria, respiratoria, nervosa) in maniera tale da costituire un pericolo concreto ed attuale per la sopravvivenza della persona offesa, con alta probabilità che si verifichi il decesso, mentre non è sufficiente che il pericolo di morte, per quanto giustificabile in base alla lesione, sia solo ipotetico e non si sia concretizzato nella realtà (es. recisione di una grande arteria o la rottura della milza);
- Se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo → si riferisce alle lesioni che, dalla malattia che ne è conseguita, residua una diminuzione funzionale di entità apprezzabile ma comunque il senso o l’organo sono ancora parzialmente funzionanti. Nel caso dell’indebolimento permanente siamo di fronte ad una situazione ormai stabilizzata e destinata a perdurare nel tempo senza modificazioni sostanziali per tutta la vita. E’ importante chiarire che per organo, diversamente dal concetto anatomico, si intende una parte del corpo o un complesso di parti che svolgono una determinata funzione che ha rilevanza nella vita vegetativa e non è sostituibile da parte di altri organi. In caso di organi pari o di un organo unico che però non possiede peculiarità ma si integra in un apparato anatomo-funzionale più complesso, dunque, la perdita di uno di tali componenti non realizza la perdita d’organo intesa in senso penalistico ma un indebolimento in quanto la funzione, alla quale si deve far riferimento, è ridotta ma non abolita. La riduzione funzionale che dà luogo all’indebolimento deve essere di entità apprezzabile in quanto una lievissima compromissione impercettibile nel contesto di vita vegetativa potrebbe non essere considerata tale da costituire un indebolimento;
- Se la persona offesa è una donna incinta e dal fatto deriva l’acceleramento del parto

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
13
Q

Lesioni personali: aggravanti biologiche delle lesioni gravissime

A

L’art. 583 del CP stabilisce le pene in base alla gravità delle conseguenze delle lesioni personali, descrivendo le specifiche aggravanti biologiche delle lesioni gravi e gravissime.

La lesione personale è gravissima se dal fatto deriva:
- Una malattia certamente o probabilmente insanabile → una malattia si dice insanabile quando è un processo patologico destinato a durare tutta la vita (ovvero quando il processo patologico in atto diventa cronico, essendo la possibilità di guarigione nulla o inferiore a quella di non guarigione), a differenza dell’indebolimento permanente che invece è caratterizzato dai postumi della malattia;
- La perdita di un senso, o la perdita di un arto o una mutilazione che renda l’arto inservibile, o la perdita dell’uso di un organo → la perdita anatomica o funzionale di un senso o di un organo dotato di una funzione specifica rende la lesione gravissima. La perdita di un arto si può realizzare sia per menomazioni anatomiche che per lesioni neurologiche che ne impediscono totalmente il suo utilizzo; nel caso in cui la mutilazione o la lesione nervosa riducano parzialmente la funzionalità dell’arto, senza annullarla del tutto, saremo nell’ambito dell’indebolimento permanente e cioè delle lesioni personali gravi;
- Grave e permanente difficoltà della favella → questa aggravante è stata prevista in quanto il linguaggio assume grandissima rilevanza nella vita di relazione. La grave compromissione di tale funzione, che può derivare sia da lesioni nervose centrali che da lesioni dell’apparato fonatorio, costituisce una lesione personale gravissima anche se non si verifica la perdita totale della funzione;
- Perdita della capacità di procreare → può verificarsi in condizioni diverse nell’uomo e nella donna. Nel sesso maschile tale situazione può verificarsi per impossibilità al coito (impotenza coeundi) o per sterilità (impotenza generandi). Nel sesso femminile la perdita della capacità di procreare può essere determinata da impossibilità al coito, a concepire, a condurre a termine una gravidanza o a partorire per le vie naturali (impotenza parturiendi).
- Sfregio permanente e deformazione del volto → si tratta di due tipi di menomazione estetica precedentemente inseriti nell’ambito dell’art. 583 del CP e per le quali la legge 69/2019 ha riservato uno specifico nuovo articolo nel CP. Per definizione di legge, lo sfregio o la deformazione si localizzano limitatamente al volto, cioè la porzione corporea delimitata in alto dalla linea di impianto dei capelli, lateralmente dai padiglioni auricolari ed inferiormente dal profilo della mandibola. Qualunque altra lesione estetica che non interessi il volto non realizza l’aggravante in esame.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
14
Q

Interruzione volontaria di gravidanza: introduzione alla legge 194/78

A

L’IVG è disciplinata dalla legge 194/78, la quale garantisce alle donne la possibilità di scegliere in modo consapevole e sicuro riguardo la propria salute e il proprio futuro, rappresentando quindi un pilastro fondamentale nella tutela della salute e dei diritti delle donne. Tuttavia, questa legge è stata portata più volte davanti alla Corte Costituzionale perché alcuni ritenevano e ritengono ancora che vada ad incidere su due diritti costituzionali: l’art. 30 e 31. L’art. 30 stabilisce il dovere e il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli sottolineando l’importanza della responsabilità genitoriale e della protezione dei diritti dei figli; l’art. 31 sottolinea l’impegno dello Stato nel sostenere le famiglie e nel promuovere la maternità.
Proprio in conformità con questi diritti costituzionali, la legge 194/78 rappresenta un equilibrio tra la tutela del diritto alla vita del concepito e la tutela del diritto delle donne di prendere decisioni autonome riguardo la propria salute. Con la legge 194/78 viene sancita la legittimità dell’IVG, qualora questa sia eseguita rispettando i tempi e le modalità previste dalla legge stessa, abrogando l’intero titolo X del CP (Dei delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe, trattava di reati legati all’aborto e alla procreazione). In conclusione, la legge 194 si fonda proprio sul bilanciamento tra l’interesse alla vita del nascituro e l’interesse della donna a disporre liberamente del proprio corpo, entro i limiti stabiliti dalla legge.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
15
Q

Legge 194/78, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’IVG: commento agli art. 1-2-3 sulla tutela sociale della maternità

A

I primi 3 articoli sono dedicati alla tutela sociale della maternità.
- L’art. 1 stabilisce i principi fondamentali della legge, garantendo il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio; inoltre, specifica che l’IVG non deve essere utilizzata come mezzo di controllo delle nascite.
- L’art. 2 descrive il ruolo dei consultori familiari, ovvero di assistere le donne in stato di gravidanza fornendo informazioni sui diritti, sui servizi sociali e sanitari disponibili e attuando interventi speciali quando necessario, con l’obiettivo di aiutare le donne a superare le cause che potrebbero indurle a interrompere la gravidanza.
- L’art. 3 riguarda il finanziamento dei consultori familiari stabilendo un fondo previsto per garantire l’adempimento dei compiti.
Questi primi articoli, dunque, pongono le basi per una legge che mira a tutelare la salute delle donne e a garantire un supporto adeguato durante la gravidanza.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
16
Q

Legge 194/78, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’IVG: commento agli articoli sull’IVG

A

Dall’art. 4 in poi si parla di IVG.
Trattandosi di una legge sull’IVG, risulta chiaro come sia particolarmente difficile tutelare contemporaneamente i diritti alla vita e alla salute della madre e il diritto alla vita del concepito. In questo contesto, il legislatore ha individuato in una visione cronologica della gravidanza una modalità di compensazone dei diversi diritti in gioco. Secondo tale approccio, nella prima parte della gravidanza prevale in maniera significativa il diritto alla salute e alla vita della madre rispetto al diritto alla vita del concepito, diventando quest’ultimo progressivamente più rilevante con il proseguimento della gravidanza. Nello specifico, vengono individuati tre momenti fondamentali: i primi 90 giorni della gravidanza dal concepimento, dopo i primi 90 giorni di gravidanza e il momento in cui il feto sviluppa la capacità di vita autonoma al di fuori dell’utero. Questo ultimo momento non viene individuato in maniera precisa dalla legge ma usualmente esso è collocabile tra le 22 e le 24 settimane di gestazione. Le motivazioni e le modalità con cui si può procedere all’IVG nei tre diversi periodi sono differenti.

  • L’art. 4 regolamenta l’IVG entro i primi 90 giorni di gravidanza dal concepimento → questo articolo stabilisce che la donna può richiedere l’IVG quando essa ritiene che la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica in relazione al suo stato di salute, alle sue condizioni economiche, sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito. Il “serio pericolo” per la salute fisica o psichica della donna non deve essere dimostrato in alcun modo ma, al contrario, è sufficiente la rappresentazione dello stesso per la donna. La donna può rivolgersi ad un consultorio pubblico, ad una struttura sociosanitaria abilitata o ad un medico di fiducia.
  • L’art. 5 stabilisce le procedure che devono essere seguite quando la donna richiede l’IVG → prevede che il consultorio o la struttura sociosanitaria, oltre a garantire gli accertamenti medici necessari, debbano: esaminare con la donna e il padre del concepito (se la donna lo consente) le possibili soluzioni ai problemi che la portano a richiedere l’aborto; aiutare la donna a rimuovere le cause che la spingono a scegliere l’IVG; informare la donna sui suoi diritti e sugli interventi di carattere sociale disponibili; offrire tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza che dopo il parto. Tale articolo esplicita, inoltre, la procedura da seguire in base alla condizione di urgenza o non urgenza: se il medico riscontra condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente un certificato di urgenza che permette alla donna di presentarsi in una delle sedi autorizzate per l’IVG; se non viene riscontrata l’urgenza, il medico rilascia un documento attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, invitando la donna a soprassedere per 7 giorni al seguito dei quali potrà presentarsi in una delle sedi autorizzare per l’esecuzione dell’IVG. L’art. 5 ha l’obiettivo di garantire che la decisione di IVG sia presa in modo consapevole e informato da parte della donna.
  • L’art. 6 disciplina le condizioni in cui è possibile praticare l’IVG dopo i primi 90 giorni di gestazione → essendo ritenuta progressivamente più importante la tutela del diritto alla vita del nascituro, in questa fase l’IVG è consentita solo se sussistono due distinte condizioni: quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; quando siano accertati processi patologici, come rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. In questo caso, dunque, è richiesta necessariamente la presenza di una condizione che ponga concretamente a grave rischio la vita, la salute fisica o psichica della donna, condizione che deve essere verificata tramite idioneo accertamento medico al termine del quale viene rilasciata la certificazione.
  • L’art. 7 stabilisce le procedure per l’IVG in caso di processi patologici che configurino i casi previsti dall’art. precedente → i processi patologici devono essere accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell’ente ospedaliero in cui deve essere praticata l’IVG. Il medico certifica l’esistenza delle condizioni patologiche e fornisce la documentazione necessaria al direttore sanitario della struttura per l’intervento immediato. Se l’IVG è necessaria per un imminente pericolo per la vita della donna, l’intervento può essere praticato senza seguire le procedure standard e al di fuori delle sedi autorizzate (art. 8); il medico è tenuto a darne comunicazione al medico provinciale. Quando esiste la possibilità di vita autonoma del feto (dopo le 22-24 settimane), l’IVG può essere praticata solo se c’è un grave pericolo per la vita della donna e, inoltre, il medico che attua la procedura ha l’obbligo di adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto.
  • L’art. 9 riguarda l’obiezione di coscienza del personale sanitario e ausiliario coinvolti nella procedura di IVG → con tale articolo, la legge 194 prevede la possibilità per il personale sanitario e ausiliario di esercitare l’obiezione di coscienza, previa presentazione di dichiarazione, che esonera gli operatori dalla messa in atto delle attività specificamente e necessariamente dirette all’IVG. Tuttavia, non li dispensa dal prestare assistenza nelle fasi precedenti e successive all’intervento di IVG e, soprattutto, l’obiezione non può essere invocata quando l’intervento del personale è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. L’obiezione di coscienza può essere revocata in qualsiasi momento. Inoltre, gli enti ospedalieri e le strutture autorizzate devono comunque garantire l’espletamento delle procedure e degli interventi di IVG richiesti. In conclusione, tale articolo cerca di bilanciare il diritto del personale sanitario all’obiezione di coscienza con il diritto delle donne ad accedere ai servizi di IVG: la legge garantisce che, nonostante l’obiezione, le strutture sanitarie siano comunque in grado di fornire i servizi necessari, assicurando che le donne non siano private del loro diritto.
  • L’art. 12 stabilisce che la richiesta di IVG deve essere fatta personalmente dalla donna; se la donna è minorenne, è richiesto l’assenso di chi esercita la potestà o la tutela su di lei. Nei primi 90 giorni, se ci sono seri motivi che impediscono o sconsigliano la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, o se queste rifiutano il loro assenso o esprimono pareri discordanti, il consultorio o la struttura sociosanitaria o il medico di fiducia espletano i compiti previsti all’art. 5 e rimetto entro 7 giorni dalla richiesta una relazione al giudice tutelare il quale, entro 5 giorni può autorizzare o meno la donna minorenne all’esecuzione dell’IVG. Se il medico accerta l’urgenza dell’intervento a causa di un grave pericolo per la salute della donna minorenne, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà o la tutela e senza rivolgersi al giudice tutelare, certifica l’esistenza delle condizioni che giustificano l’IVG. Tale certificazione permette di ottenere l’urgenza all’intervento. Per l’IVG dopo i primi 90 giorni, si applicano anche alla donna minore le procedure dell’art. 7, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà o la tutela.
  • L’art. 19 prevede diverse sanzioni a seconda delle circostanze in cui avviene l’IVG, mira infatti a garantire che l’IVG avvenga nel rispetto delle procedure legali e sanitarie stabilite, proteggendo così la salute della donne e prevenendo pratiche illegali e pericolose.
17
Q

Norme contro la violenza sessuale

A

La legge 66/96 ha riformato profondamente la disciplina sui reati sessuali, abrogando l’intero titolo IX del CP che trattava dei “Delitti contro la moralità pubblica e il buon costume”, e introducendo nuove norme sotto il titolo “Dei delitti contro la libertà personale”. Questa legge ha portato significative modifiche al CP con l’obiettivo di trasformare la tutela della moralità pubblica in tutela della libertà personale e dell’integrità fisica e psicologica della vittima. Le principali innovazioni riguardano:
- La ridefinizione della violenza sessuale come reato contro la persona e non più contro la moralità pubblica;
- L’eliminazione della distinzione tra violenza carnale e atti di libidine violenta, accorpandoli sotto l’unica definizione di “atti sessuali”, intendendo con questa espressione qualunque atto che abbia finalità sessuali;
- L’inasprimento delle pene e la previsione di circostanze aggravanti;
- L’introduzione di nuovi tipi di reato, tra cui la violenza sessuale di gruppo;
- Maggiori tutele per le vittime (1 anno per querelare, impossibilità di ritirare la denuncia, procedibilità d’ufficio in caso di minori).

Articoli introdotti o modificati nel CP
Art. 609-bis - violenza sessuale
Questo articolo prevede che, chiunque, con violenza, minaccia o abuso di autorità, costringe qualcuno a compiere o subire atti sessuali, è punito con la reclusione da 6 a 12 anni. Include anche l’ipotesi in cui l’atto sessuale avvenga per induzione, approfittando di una condizione di inferiorità psichica o fisica della vittima o con l’inganno.
Questa norma è stata formulata in modo ampio e inclusivo proprio per ricomprendere qualsiasi comportamento coercitivo o fraudolento del carnefice, che miri a ottenere il consenso della vittima in maniera forzata o ingannevole. Infatti, non si limita a reprimere la violenza fisica, ma considera anche forme di pressione psicologica, abuso di autorità o raggiro, riconoscendo che la libertà sessuale può essere violata anche senza un’aggressione fisica diretta. Grazie a questa formulazione, l’art. 609-bis si adatta a diverse situazioni, evitando che comportamenti manipolatori o minacciosi sfuggano alla punibilità solo perché non caratterizzati da una violenza manifesta. La tutela della vittima si basa dunque sulla considerazione che il consenso deve essere libero e autentico, non frutto di coercizione, timore o inganno.

Art. 609-ter - circostanze aggravanti
Vi è un aumento della pena se la violenza sessuale è commessa:
- Con l’uso di armi o sostanze narcotizzanti
- Da un ascendente, genitore, tutore o convivente
- Su minori di 18 anni o su persone con disabilità
- Da persona travisata o che simuli la qualità di PU o IPS
- Su persona posta a limitazione della libertà personale
La pena aumenta ulteriormente se la violenza sessuale è commessa nei confronti di minore di 14 (aumenta della metà) e 10 anni (raddoppia).

Art. 609-quater - atti sessuali con minorenne
Punisce chi compie atti sessuali con un minore di 14 anni, anche se consenziente. Se il minore ha tra i 14 e i 16 anni, il reato sussiste solo se l’autore è un ascendente, genitore, tutore o persona a cui il minore è affidato. Secondo il nostro ordinamento, la libertà sessuale si acquisisce al compimento del 14esimo anno di età. Perciò non è, invece, punibile il minorenne che compie atti sessuali consensuali con un minore di anni 13, qualora la differenza di età non superi i 4 anni. Questo perché l’intendo della norma è di proteggere i minori dagli abusi, non di criminalizzare i rapporti tra coetanei.

Art. 609-quinquies - corruzione di minorenne
Punisce chi compie atti sessuali davanti ad un minore di anni 14 per al fine di farlo assistere, o chi fa assistere il minore di 14 anni ad atti sessuali al fine di indurlo a compiere o subire atti sessuali. Prevede anche un aumento della pena in presenza di circostanze aggravanti: reato commesso da più persone insieme, pericolo di vita per il minore, colpevole rappresentato dall’ascendente/tutore/convivente. Questo articolo mira a colpire i comportamenti predatori degli adulti nei confronti dei minori ma anche di proteggere i minori dagli effetti psicologici negativi di un’esposizione prematura alla sessualità.

Art. 609-sexies - ignoranza dell’età della persona offesa
Secondo questo articolo, l’errore sull’età della vittima non esclude la responsabilità penale, a meno che l’errore non sia incolpevole (inevitabile anche con normale diligenza). Questa norma impedisce che un adulto possa giustificarsi dicendo di pensare che la vittima fosse maggiorenne. Tuttavia, se l’errore è assolutamente incolpevole (documenti falsi), il giudice potrebbe considerarlo come esimente.

Art. 609-septies - querela della persona offesa
Questo articolo prevede che la violenza sessuale è punibile a querela della persona offesa, cioè solo se la vittima denuncia entro un anno dall’accaduto. Ma, se la vittima è un minore di 14 anni o se ci sono aggravanti, il reato è perseguibile d’ufficio. L’idea di lasciare la denuncia alla vittima è legata al rispetto della sua volontà e alla delicatezza della materia. Tuttavia, nei casi più gravi il reato viene perseguito automaticamente per evitare che la vittima subisca pressioni per non denunciare.

Art. 609-octies . violenza sessuale di gruppo
Tale articolo prevede che, se più persone insieme compiono violenza sessuale su una vittima, la pena è di 8-14 anni di reclusione. Questo articolo riconosce la gravità psicologica della violenza di gruppo. Inoltre, l’effetto di disinibizione collettiva tra gli aggressori rende il reato particolarmente pericoloso. La norma non richiede che tutti i soggetti compiano atti sessuali diretti sulla vittima; è sufficiente che più persone partecipino attivamente al contesto di violenza, anche solo collaborando nel rendere impossibile la difesa della vittima.

Art. 16 della legge 66/96
Questo articolo stabilisce che chiunque sia stato condannato per i reati sopracitati è obbligato a sottoporsi a test di laboratorio per la ricerca di malattie sessualmente trasmissibili. Questo articolo è stato introdotto per tutelare la salute della vittima di violenza e per prevenire la diffusione di malattia sessualmente trasmissibili.

18
Q

Referto e denuncia di reato: qualifiche giuridiche del professionista sanitario

A

Il professionista sanitario è tenuto, per il particolare ruolo che riveste all’interno della società, ad una attività informativa verso la pubblica autorità, sanitaria e/o giudiziaria, rispetto a fatti e notizie appresi nell’esercizio della professione, di cui è obbligato per legge a riferire. Tale attività informativa avviene attraverso atti scritti, ciascuno dei quali è previsto da una specifica legge che ne indica il destinatario e le modalità con cui deve essere redatto. Tra questi rientrano in particolare il referto e la denuncia di reato all’Autorità Giudiziaria.
In base alla qualifica che assume il professionista sanitario all’interno del contesto in cui si trova ad esercitare la professione, egli assume posizioni differenti di fronte alla legge da cui derivano differenti obblighi. Nello specifico, le qualifiche assumibili dai professionisti sanitari nell’esercizio delle proprie funzioni sono sostanzialmente 3:
- Pubblico ufficiale → l’art. 357 del CP definisce la nozione di pubblico ufficiale stabilendo che sono considerati pubblici ufficiali coloro che esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. I professionisti sanitari possono essere considerati pubblici ufficiali quando esercitano funzioni con poteri autoritativi e certificativi che rientrano nella definizione di pubblica funzione amministrativa come ad esempio i medici ospedalieri, direttore sanitario di un ospedale pubblico, medici convenzionati con le ASL, medici legali, gli ispettori sanitari, coordinatore infermieristico.
- Incaricato di pubblico servizio → l’art. 358 del CP definisce la nozione di persona incaricata di pubblico servizio, ovvero colore che, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Questo include le attività disciplinate nelle stesse forme della pubblica funzione ma senza i poteri tipici di quest’ultima (deliberativi, certificativi, autoritativi). Assumono questa qualifica i medici di medicina genrale, i medici che lavorano per le case di cura convenzionate e altri professionisti sanitari non medici dipendenti pubblici.
- Esercente un servizio di pubblica necessità → l’art. 359 del CP definisce le persone che esercitano un servizio di pubblica necessità. Tale articolo stabilisce che la qualifica di ESPN è riferita ad un privato cittadino che esercita una professione forense o sanitaria o altra professione il cui esercizio prevede l’obbligo di un’abilitazione, di cui il pubblico sia tenuto per legge ad avvalersi della sua opera. Su questa base, un professionista sanitario possiede questa qualifica quando esercita la propria professione come libero professionista.

19
Q

Il referto e la denuncia di reato: generalità e caratteristiche

A

L’attività informativa nei confronti dell’AG rappresenta un tema di centrale importanza per il professionista sanitario. Di frequente infatti il professionista sanitario entra in contatto con dati e informazioni che possono indirizzare a delitti perseguibili d’ufficio e richiedenti, pertanto, una tempestiva comunicazione all’AG, in mancanza della quale l’azione giudiziaria potrebbe non essere avviata. Per questo motivo, nel nostro ordinamento sono inserite alcune norme che obbligano gli esercenti una professione sanitaria a procedere alla segnalazione all’AG di tali reati, secondo disposizioni differenti a seconda della qualifica assunta dal professionista nello specifico contesto nel quale egli è venuto a contatto con il fatto.
Il mancato rispetto di tale dovere configura esso stesso un reato per il quale sono previste sanzioni penali sottoforma di ammenda e di interdizione dalla professione per una durata non inferiore ad un mese.

Referto
Il referto è l’atto scritto con il quale l’esercente una professione sanitaria riferisce all’AG di aver prestato la propria assistenza od opera (cura diretta o tecnica) in casi che possono presentare i caratteri di un delitto procedibile d’ufficio. L’omissione di referto è disciplinata dall’art. 365 del CP.
Sempre secondo l’art. 365, è prevista una deroga, ovvero la non punibilità del sanitario che omette di presentarlo. Il referto non è infatti obbligatorio qualora questo esponga la persona assistita a procedimento penale. Con tale disposizione viene riconosciuta la priorità di tutelare la salute dell’assistito, ritenuta prevalente rispetto all’interesse dello Stato di individuare e perseguire penalmente gli autori di un delitto. Il fine dell’esenzione è quello di evitare che una persona ferita o bisognosa di cure decida di non ricorrere all’assistenza sanitaria necessaria, mettendo così a rischio la propria salute o vita, nel timore di dover rendere conto di un eventuale delitto compiuto.

L’art. 334 del CPP stabilisce come deve essere strutturato il referto e il termine di presentazione. Chi ha l’obbligo di referto deve farlo pervenire entro 48 ore al PM o a un ufficiale di polizia giudiziaria. Il referto deve includere informazioni dettagliate sulla persona assistita, le sue generalità, il luogo e le circostanze dell’intervento e qualsiasi altra informazione utile a identificare la persona e a stabilire le circostanze del fatto.

Denuncia di reato
Nel caso in cui il sanitario svolga la propria attività come pubblico dipendente, quindi in veste giuridica di PU o IPS, gli articoli di riferimento del CP 361 e 362 dispongono che anche per tali soggetti sussiste l’obbligo di informare l’AG dell’esistenza di reati, mediante la trasmissione di una denuncia di reato limitatamente ai reati perseguibili d’ufficio. Per i pubblici dipendenti, a differenza dei liberi professionisti, l’obbligo di denunciare un reato sussiste anche se il dipendente è semplicemente venuto a conoscenza del fatto, cioè non è indispensabile che abbia prestato direttamente o materialmente la propria opera o assistenza.
Da segnalare, infine, che nel caso di denuncia di reato, non è prevista la facoltà concessa al sanitario in caso di referto circa la possibilità di non informare l’AG di un reato commesso dalla persona assistita per evitarle conseguenze penali.

20
Q

Segreto professionale

A

Tra i numerosi doveri in capo al professionista sanitario vi è anche quello di tutelare la riservatezza delle informazioni acquisite nell’esercizio della professione con lo scopo sia di garantire la fiducia tra professionista e paziente sia di proteggere la privacy (dati sensibili) delle persone coinvolte. Trattasi di un obbligo in termini non solo etici e deontologici, ma anche penali. Infatti, la violazione del segreto professionale configura un reato e la pena si applica, secondo l’art. 622 del CP, a coloro che, in ragione del proprio stato (es. studente tirocinante) o ufficio (es. sacerdote) o della propria professione o arte, rivelano un segreto senza giusta causa o lo impiega a proprio o altrui profitto. Il segreto professionale ha una valenza relazionale, ciò vuol dire che un’informazione diventa segreta nel momento in cui il paziente la condivide con il professionista.

Si tratta di un reato collocato tra i Delitti contro la persona che non riguarda esclusivamente le professioni sanitarie; in ambito sanitario l’obbligo di riserbo sussiste non solo per coloro che esercitano direttamente una professione sanitaria ma per tutte quelle persone che, in ragione del loro stato (es. studente tirocinante) o ufficio (es. sacerdote) possono venire a conoscenza di notizie riservate relative ad un paziente. La nozione di segreto riguarda qualsiasi tipo di notizia personale, non solo di tipi sanitario (dati sensibili: origine etnica, opinioni politiche, dati relativi alla salute, dati sulla vita sessuale/orientamento sessuale). La rivelazione di segreto professionale non deve essere confusa con la “trasmissione di segreto”, attività lecita e consistente nella comunicazione dell’informazione riservata ai meri fini professionali.
La punibilità è legata alla possibiltà del verificarsi di un nocumento, anche se non è necessario un suo effettivo verificarsi. Il reato ha, inoltre, luogo quando la rivelazione del segreto viene fatta senza giusta causa o ha lo scopo di trarne profitto per sé stessi o per altri.

Giuste cause di rivelazione del segreto professionale
La legge prevede delle eccezioni di non punibilità, le cosiddette giuste cause, che legittimano la divulgazione di informazioni riservate senza incorrere in sanzioni penali o deontologiche.
Le giuste cause si dividono in legali e socialmente utili.

Giuste cause legali
Sono situazioni previste dalla legge in cui il professionista è obbligato o autorizzato a rivelare il segreto. Si distinguono in:
- Imperative, ovvero i casi in cui la legge impone la rivelazione del segreto e quindi il professionista ha il dovere di riferire all’AG (es. obbligo di denuncia, obbligo di referto, segnalazione malattie infettive, collaborazione con l’AG).
- Scriminative, ovvero i casi in cui la legge giustifica la rivelazione del segreto, escludendo la punibilità del professionista, costituiti ad esempio dallo stato di necessità, legittima difesa, consenso dell’interessato, errore di fatto, errore determinato dall’altrui inganno.
- Permissive, ovvero i casi in cui la legge consente ma non impone la rivelazione del segreto quindi il professionista può scegliere se rivelarlo o meno (es. testimonianza in tribunale).

Giuste cause socialmente utili
Non derivano direttamente dalla legge ma da un principio di interesse pubblico o di solidarietà sociale. La loro liceità è valutata caso per caso e il professionista potrebbe essere comunque chiamato a risponderne in sede giudiziaria o disciplinare. Alcuni esempi possono essere:
- Prevenzione di un reato grave nel caso un professionista viene a conoscenza di una minaccia imminente potrebbe rivelare l’informazione per prevenire il crimine
- Tutela della collettività nel caso in cui un sanitario scopre che un paziente affetto da una malattia infettiva grave rifiuta di curarsi e mette a rischio altre persone, potrebbe segnalare il caso alle autorità sanitarie
- Denuncia di maltrattamenti o violenze anche in assenza di obbligo di referto (ad esempio per lesioni lievi) un sanitario potrebbe ritenere opportuno segnalare situazioni di violenza domestica per proteggere la vittima.

21
Q

Consenso informato

A

Con il disegno di legge 2801/17 sono state introdotte norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Questo disegno di legge, che si basa su principi costituzionali (artt. 2, 13, 32) e su normative europee tra cui la Carta di Nizza (artt. 1, 2, 3), ha lo scopo di tutelare il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona stabilendo che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato della persona interessata (ad eccezione nei casi previsti dalla legge).
Dunque, in questo contesto, il consenso informato rappresenta un pilastro fondamentale della medicina legale e della bioetica in quanto sancisce il diritto del paziente a essere informato e a decidere autonomamente in merito ai trattamenti sanitari, perciò si basa sull’incontro tra l’autonomia decisionale del paziente e la competenza del medico, il quale ha la responsabilità di tutelare la salute del paziente nel rispetto della sua volontà.
Il diritto all’informazione si articola nel diritto a conoscere e nel diritto a non conoscere delll’individuo in merito al suo stato di salute. Il professionista sanitario è obbligato a documentare il consenso informato in cartella clinica o nel FSE.

Chi può rifiutare qualsiasi trattamento sanitario?
Qualsiasi persona legalmente competente (maggiorenne con capacità di agire) ha il diritto a rifiutare o revocare qualsiasi trattamento sanitario, anche salvavita, inclusi nutrizione e idratazione artificiali.
Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario, di conseguenza egli è esente da responsabilità penale o civile. Allo stesso modo, il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle BPCA, perciò il professionista, di fronte a tali richieste, non ha obblighi professionali.

Minori e incapaci
Per i minori, il consenso/diniego è espresso dai genitori o dal tutore, tenendo conto del best interest del minore. Per gli interdetti, decide il tutore; per gli inabilitati, il paziente stesso. In caso di amministratore di sostegno, la decisione può spettare a entrambi o solo all’amministratore. Se il rappresentante legale rifiuta le cure necessarie, la decisione spetta al Giudice Tutelare.

Le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT)
Le DAT permettono a una persona competente di esprimere in anticipo le proprie volontà sui trattamenti sanitari nel caso in cui, in futuro, non sia più in grado di comunicare. La redazione delle DAT richiede un’adeguata informazione medica. Il soggetto può nominare un fiduciario, ovvero una persona che avrà il ruolo di garantire il rispetto delle sue volontà. Tuttavia, il medico può disattendere le DAT, in parte o in tutto, se vi sono concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita del paziente o se le circostanze cliniche sono radicalmente mutate. In caso di conflitto tra fiduciario e medico, decide il Giudice Tutelare.
Le DAT devono essere redatte con atto pubblico, scrittura privata autenticata o scrittura privata depositata presso l’ufficio dello stato civile.

Relazione annuale
Il Ministro della salute trasmette alle camere una relazione sull’applicazione della legge stessa in modo da valutare la corretta applicazione della stessa.

22
Q

Responsabilità professionale civile: responsabilità contrattuale ed extracontrattuale

A

La condotta di un professionista sanitario può dare origine a responsabilità penale, civile, amministrativa e deontologica. Pur trattandosi dello stesso evento, ogni forma di responsabilità viene valutata da prospettive diverse e ha conseguenze differenti.
La responsabilità (professionale) prevede sempre 3 fattori:
- La condotta umana, commissiva o omissiva
- Il nesso causale, ovvero la correlazione tra la condotta umana e l’evento dannoso/offensivo che viene contestato
- L’elemento soggettivo, ovvero la condotta dolosa o colposa

Responsabilità professionale civile
La responsabilità civile riguarda l’obbligo di risarcire un danno ingiustamente causato a terzi, che nell’ambito sanitario si sostanzia nel dovere da parte dell’esercente la professione sanitaria di provvedere al ristoro economico di un danno cagionato al paziente in seguito alla messa in atto di una condotta professionale non corretta o inadeguata al caso clinico. Si può essere richiamati a risarcire secondo due diversi tipi di responsabilità professionale civile:
- Responsabilità contrattuale → regolamentata dall’art. 1218 del CC, stabilisce che un soggetto, avendo assunto un obbligo mediante un contratto, il quale non esegue correttamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, salvo che provi che l’inadempimento sia dovuto ad una causa a lui non imputabile. Nella responsabilità contrattuale la responsabilità è presunta, dunque l’onere della prova è a carico del debitore che deve tentare di dimostrare di aver adempiuto correttamente ai doveri previsti dal contratto e che l’inadempimento è imputabile ad una causa estranea al suo operato. Il termine di prescrizione per promuovere una causa in ambito di responsabilità contrattuale è di 10 anni.
- Responsabilità extracontrattuale → regolamentata dall’art. 2043 del CC, stabilisce che qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno. In questo caso dunque si tratta di una forma di responsabilità che si verifica quando un soggetto arreca un danno ingiusto ad altri, senza che vi sia un precedente rapporto contrattuale tra le parti. L’onere della prova è a carico del danneggiato che deve dimostrare di aver subito un danno e che tale danno sia ascrivibile alla condotta posta in essere dal convenuto. Il termine di prescrizione per promuovere una causa in ambito extracontrattuale è di 5 anni.

N.B. In ambito sanitario, formalmente parlando, non esiste il termine di prescrizione in quanto il paziente può richiedere il risarcimento dal momento in cui scopre che il danno che ha subito è legato ad una condotta inadeguata del professionista (che può essere anche anni dopo).

23
Q

Responsabilità professionale: la colpa professionale

A

In tema di responsabilità professionale a carico del personale sanitario, l’elemento soggettivo ricorrente nella quasi totalità dei casi è rappresentato dalla colpa. Il professionista sanitario risponde penalmente di un evento dannoso per il paziente quando nella sua condotta possono ravvisarsi i profili della colpa professionale, cioè quando l’evento dannoso per il paziente, ovviamente non voluto, era prevedibile ed evitabile, se il sanitario non avesse agito con inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica) o con negligenza/imprudenza/imperizia (colpa generica).
Quindi, la colpa specifica si realizza quando il comportamento del professionista viola senza giustificazione una norma scritta, ovvero norme predisposte da un’autorità pubblica finalizzate a regolamentare e disciplinare l’esplicazione di attività sanitarie (protocolli, raccomandazioni) o di altre disposizioni scritte.
La colpa generica, prevista dall’art. 43 del CP, si realizza quando l’erroneità della condotta del professionista non trova fondamento nella violazione di regole codificate da leggi, protocolli o altre normative, ma quando essa non è conforme al comportamento corretto che un professionista è tenuto ad adottare. La colpa generica secondo il CP può essere caratterizzata da:
- Imperizia → evidenza di conoscenze teoriche e/o abilità tecnica inadeguate, cioè al di sotto di quel livello standard di preparazione che l’infermiere, dotato di analoga qualifica ed esperienza, deve possedere.
- Imprudenza → agire con avventatezza, senza prevedere i rischi connessi al proprio comportamento e senza adottare tutte le cautele dettate dalla scienza e dalla comune esperienza, quindi avventurarsi nell’esecuzione di procedure per le quali non si possiede adeguata preparazione ed esperienza, agendo senza seguire le regole comuni di cautela nell’interesse della salute del paziente.
- Negligenza → comportamento caratterizzato da scarsa attenzione, svogliatezza, trascuratezza, che possono essere alla fonte di banali ma potenzialmente tragici errori. La negligenza rappresenta tra tutte la condotta meno tollerata e meno scusabile, in quanto non si ritiene ammissibile che il sanitario, cui compete la salvaguardia della salute dei pazienti, possa agire con superficialità nell’assolvere i propri compiti assistenziali.

24
Q

Responsabilità professionale civile: legge Gelli-Bianco (24/2017)

A

Prima dell’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, la responsabilità medica era disciplinata prevalentemente dalla sentenza 589/1999 della Cassazione che aveva introdotto il concetto di obbligazione da contratto sociale secondo cui il rapporto tra medico e paziente non era formalmente contrattuale ma derivava da un obbligo implicito del medico di fornire una prestazione adeguata.
La legge Gelli-Bianco ha introdotto nuove disposizioni in materia di sicurezza delle cure e responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie. L’obiettivo principale della normativa è garantire una maggiore sicurezza delle cure sanitarie, promuovendo la prevenzione e la gestione del rischio clinico, oltre a definire con maggiore chiarezza la responsabilità giuridica degli operatori sanitari.
In questa legge, i primi tre articoli sono dedicati alla tutela del paziente e del cittadino, mentre dal quarto articolo in poi si parla dei professionisti della salute.

L’art. 1 sancisce che la sicurezza delle cure è parte integrante del diritto alla salute e impone alle strutture sanitarie l’obbligo di attuare misure preventive per ridurre il rischio clinico. L’art. 3 prevede l’istituzione dell’Osservatorio Nazionale delle Buone Pratiche sulla Sicurezza in Sanità che consente il monitoraggio degli eventi avversi e la predisposizione di linee di indirizzo per la prevenzione dei rischi sanitari.

L’art. 4 disciplina l’obbligo di assicurazione per le strutture sanitarie e per gli esercenti le professioni sanitarie, al fine di garantire il risarcimento dei danni derivanti da responsabilità professionale.

L’art. 5 stabilisce che i professionisti sanitari devono attenersi alle linee guida validate dall’ISS e, in assenza di raccomandazioni specifiche, fare riferimento alle BPCA, introducendo così una gerarchia normativa tra le diverse fonti di riferimento per la condotta sanitaria. Da questo articolo nasce la colpa per divergenze e la colpa per aderenza in relazione alle linee guida e alle BPCA: la prima si verifica quando il professionista sanitario si discosta dalle linee guida o dalle BPCA senza un valido motivo e in modo ingiustificato, quindi può essere ritenuto responsabile per non aver rispettato gli standard previsti, a meno che non dimostri che, nel caso concreto, la scelta di non seguire le linee guida fosse giustificata da specificità cliniche del paziente; la seconda si configura quando il professionista sanitario segue pedissequamente le linee guida o le BPCA senza considerare le peculiarità del caso concreto causando così un danno al paziente, dunque questo tipo di colpa si verifica quando il professionista applica in modo meccanico e acritico una raccomandazione clinica senza valutare se sia effettivamente appropriata per il paziente specifico.

Dal punto di vista penale, l’art. 6 introduce un’importante modifica della responsabilità penale dei professionisti sanitari, inserendo il nuovo articolo 590-sexies nel CP. Il nuovo art.590-sexies stabilisce l’esclusione della punibilità per l’esercente la professione sanitaria nel caso in cui la morte o le lesioni personali derivino da un suo comportamento conforme alle linee guida o alle buone pratiche clinico-assistenziali; inoltre, stabilisce che, se l’evento lesivo deriva da imperizia del sanitario, la punibilità è esclusa se sono state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida adeguate alle specificità del caso concreto.

Dal punto di vista civile, l’art. 7 introduce una distinzione fondamentale nel regime della responsabilità civile in ambito sanitario, separando la responsabilità delle strutture sanitarie da quella dei professionisti sanitari. Tale articolo stabilisce che le strutture sanitarie pubbliche e private rispondono contrattualmente per i danni causati ai pazienti dai professionisti sanitari operanti al loro interno. Il professionista sanitario risponde invece a titolo di responsabilità extracontrattuale, salvo che abbia un rapporto contrattuale diretto con il paziente.

L’art. 9 disciplina i casi in cui una struttura sanitaria pubblica o privata può avvalersi sul professionista sanitario per ottenere il rimborso di un risarcimento pagato al paziente danneggiato. Inoltre, regolamenta la responsabilità amministrativa in caso di danno erariale delle strutture pubbliche.
L’azione di rivalsa consiste quindi nella possibilità per la struttura sanitaria pubblica o privata, condannata a risarcire un danno a un paziente, di chiedere al professionista il rimborso totale o parziale delle somme pagate a titolo di risarcimento al paziente danneggiato, ma solo nei casi di dolo o colpa grave.
Nel caso delle strutture pubbliche, l’azione di rivalsa assume la forma di responsabilità amministrativa ed è promossa dalla Procura della Corte dei Conti. Questo perché il danno determinato dalla condotta inadeguata del professionista sanitario, responsabile per dolo o colpa grave, provoca un danno erariale (danno alle casse dello Stato). Dopo che la struttura pubblica versa al danneggiato la somma del risarcimento, il direttore generale della struttura ha un anno di tempo per trasmettere alla Corte dei Conti i documenti relativi al risarcimento; dopodiché la Procura della Corte dei Conti decide se avviare o meno l’azione contro il sanitario. Nel caso in cui decidesse di avviare l’azione giudiziaria, la Corte dei Conti dovrà valutare anche le condizioni organizzative della struttura in cui il professionista sanitario ha operato.
Il limite economico della rivalsa non può superare il triplo della retribuzione annua lorda del professionista nel momento in cui si è verificato l’evento dannoso.