PEDAGOGIA DELL'INFANZIA Flashcards
(109 cards)
Da che cosa nasce la provocazione artistica di Kikito del 9 settembre 2017?
Quando pensiamo al periodo dell’infanzia pensiamo sempre a momenti sereni e positivi, ma non sempre è così. Una provocazione artistica è proprio la gigantografia di Kikito, un bambino disegnato in bianco e nero dall’artista francese JR che si affaccia su una palizzata molto alta che divide il confine tra Stati Uniti e Messico. Questa provocazione artistica nasce dall’annuncio dell’amministrazione Tramp di mettere fine al programma iniziato da Barack Obama per proteggere dall’espulsione di immigrati irregolari entrati negli Usa da bambini, i cosidetti Dreamers.
Parla delle condizioni dell’infanzia dell’Italia.
L’Italia si trova al nono posto del rapporto globale sull’infanzia del 2019, anche se c’è ancora molta strada da fare, per dare a tutti i bambini la possibilità di costruirsi un futuro, considerando che oltre un milione di minori vive in povertà assoluta e che quasi 1 su 3 è a rischio povertà ed esclusione sociale, una delle percentuali più alte in Europa.
Qual è il ruolo dell’educatore di fronte alle diversità dei bambini?
La povertà non è un male che influisce sulla sviluppo dei bambini, anche se certe condizioni di povertà lo possono fare. Allora l’impegno dell’educatore è certamente quello pedagogico ma anche culturale: deve promuovere le forme dell’educazione e dell’accoglienza nel rispetto delle diversità.
Un pensiero importante lo ha proposto anche Maria Montessori dicendo che la povertà non è un limite, ma all’interno di un contesto educativo strutturato e a misura di bambino tutti possono sviluppare quelle capacità che rendono l’infanzia un momento straordinario.
Cosa si afferma nella rivista «Pedagogia oggi» intitolato «L’infanzia tra passato e presente» del 2018?
Il saggio della rivista «Pedagogia oggi» intitolato «L’infanzia tra passato e presente» del 2018, riporta delle interessanti riflessioni sul tempo dell’infanzia e su che cosa sia stata nel corso della storia. In particolare affermano che l’infanzia è un’epoca della vita, è un tempo preciso della vita, una condizione dell’esistenza la cui specificità non è sempre stata riconosciuta (ancora oggi) e la cui «qualità», nel tempo, è stata diversamente pensata. Per molti secoli il bambino è stato considerato un homunculus, ovvero un piccolo uomo, cioè un uomo in miniatura, da studiare e da pensare semplicemente perché è un tempo di passaggio che ha l’obiettivo di arrivare, il più velocemente possibile, a quel tempo detenuto invece il tempo pieno della vita, cioè quello della vita adulta.
Lo studio della storia dell’infanzia e della pedagogia dell’infanzia relativa al passato è una lente di ingrandimento che ci permette di cogliere l’intreccio tra che cosa?
Lo studio della storia dell’infanzia e della pedagogia dell’infanzia relativa al passato è una lente di ingrandimento che ci permette di cogliere l’intreccio tra le tre diverse dimensioni del bambino:
1) dimensione fenomenica (il bambino nella sua concretezza e nei suoi contesti di vita)
2) dimensione simbolica (filtri con cui gli adulti leggono e interpretano l’infanzia del bambino)
3) dimensione pedagogica (filtro scientifico che riguarda interventi, teorie educative).
Cosa succede nel ‘700 e nel ‘900 nell’ambito dell’infanzia?
Nel ‘700 nasce il cosiddetto “sentimento dell’infanzia”, secondo Aries, in cui viene dato il riconoscimento all’infanzia di avere delle caratteristiche proprie da rispettare nell’allestimento di situazioni educative.
Il ‘900 viene riconosciuto come “il secolo del bambino” per indicare che le nuove discipline si affacciano e si affermano sulla scena culturale (compresa la pedagogia stessa).
Cosa significa ricostruire l’oggetto della pedagogia d’infanzia?
Costruire l’oggetto significa ricondurlo ad uno statuto fenomenologico: ciò comporta da un lato, di rintracciare il bambino nei luoghi e nelle istituzioni entro cui la società lo colloca e anche in cui il bambino si ritaglia; dall’altro richiede di richiedere di cogliere il bambino in una pluralità di condizioni.
L’infanzia va colta nella sua ecologia, nei suoi plurimi ambienti di vita e nei contesti in cui i bambini si trovano ad affrontare e partecipare.
A chi dobbiamo il primo pensiero di riconoscimento dei diritti dei bambini?
Il primo pensiero di riconoscimento dei diritti dei bambini è stata opera di Eglantyne Jebb, una delle Dame della Croce Rossa e successivamente fondatrice di «Save the Children» nel 1919 (una delle principali organizzazioni umanitarie mondiali dedicate alla protezione e al benessere dei bambini)
Che cos’è la «Carta dei diritti del bambino»?
Eglantyne Jebb, nel 1923, ha scritto la prima «Carta dei diritti del bambino» detta anche «Dichiarazione di Ginevra» dal luogo in cui è stata firmata e approvata dalla cosiddetta allora Società delle Nazioni (ora ONU) il 26 settembre 1924. Questo documento si tratta di un documento fondamentale che delineava i diritti fondamentali di tutti i bambini mettendo al centro il tema della dignità del bambino: ad ogni bambino bisogna dare risposta nei bisogni che manifesta.
Chi era Eglantyne Jebb?
Eglantyne Jebb era una signora nobile, una dama di carità, proveniva da una famiglia piuttosto benestante dove ha avuto la possibilità di ricevere un’educazione di alta qualità. Possiamo dunque vedere che le prime azioni nei confronti dell’infanzia sono di natura caritatevole.
Cosa afferma Eglantyne Jebb nella «Carta dei diritti del bambino»?
Jebb nella «Carta dei diritti del bambino» afferma che «il futuro è nelle mani dei bambini. Che ogni bambino affamato sia nutrito, ogni bambino malato sia curato, ad ogni orfano, bambino di strada o ai margini della società sia data protezione e supporto», dato che da poco si era conclusa la prima guerra mondiale.
Che cosa comporta la «Carta dei diritti del bambino» di Jebb?
La «Carta dei diritti del bambino» era servita come base per la «Convenzione sui diritti dell’infanzia», approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge del 27 maggio 1991. Questi diritti sono rivolti a tutti quelli che, per la legge Italiana, hanno un’età inferiore ai diciotto anni.
Perchè e quando nascono i primi luoghi dedicati all’infanzia?
I primi luoghi per l’infanzia nascono verso la fine del 700 / inizio dell’800, in Inghilterra. Queste strutture nascono dal momento in cui si fa sempre più forte l’esigenza delle donne di entrare nel mondo del lavoro. Così i bambini venivano lasciati liberi di giocare per le strade sporche e malsane mentre i genitori erano a lavorare.
Come si chiama la prima struttura dedicata all’infanzia?
La prima struttura dedicata all’infanzia nasce in Inghilterra, in particolare la Dame School, ovvero luoghi dove i bambini venivano lasciati a delle dame (donne analfabete) che avevano solo l’impegno di custodire i bambini, mentre i genitori andavano a lavorare.
Cosa comportarono in Italia le Dame School?
Da queste Dame School, iniziano a nascere, soprattutto in Italia, le prime cosiddette «Sale di custodia» o «Scolette» (piccole scuole). Ma diversa è la nascita delle «Sale di custodia» in Italia: di solito, era il padrone dell’industria a mettere a disposizione quello che noi oggi chiameremo asilo aziendale. In Italia, invece, le «Sale di custodia» hanno con un interno custodialistico, ma è più paternalistico, tant’è che le prime esperienze nascono sulla scia di esperienze religiose e di benefattori molto ricchi che riescono a togliere i bambini dalle strade e inserirli nei luoghi dove possano trovare ricovero e cura.
Perchè le «Sale di custodia» in Italia nascono con un intento filantropico?
Le prime «Sale di custodia» nascono con un intento filantropico per evitare una sorta di devianza giovanile a cui sicuramente si sarebbe andata incontro, ma anche di alzare il tasso di alfabetizzazione (un operaio alfabetizzato può fare dei lavori diversi e più complessi rispetto ad un operaio analfabeta) e inoltre anche aumentare la disponibilità lavorativa delle operaie, ancora una volta, dato che non sono costrette a badare ai bambini, possono lavorare per dodici ore senza alcuna difficoltà.
Chi è e per cosa viene ricordato il pastore Oberlin?
Il pastore Oberlin è una prima figura importante da cui nascerà un certo pensiero dedicato all’infanzia. Lui lavora a Strasburgo, dove mette in piedi il primo cosiddetto «asilo infantile» (nel 1771). Questo primo asilo infantile era una struttura non solo estremamente innovativa ma anche singolare per l’epoca, che garantiva un
- arricchimento intellettuale: si cominciava ad imparare in tempi anche abbastanza prematuri: i bambini di 3 – 4 anni imparavano già a scrivere o leggere
- arricchimento spirituale –morale.
Ma l’aspetto innovativo è legato al fatto che gioco e giardinaggio venivano vissuti come metodi di insegnamento.
Come vede Pestalozzi il bambino?
Per Pestalozzi la personalità del bambino è sacra e rappresenta la premessa di una dignità interiore da considerarsi come base di ogni educazione nel bambino e del suo sviluppo come adulto. Il bambino viene visto da Pestalozzi come un seme che contiene già dentro di sé le potenzialità per diventare un adulto (non è un essere ridotto) e diventa obbligo dell’educatore prendersene cura di queste potenzialità del bambino non facendo altro che assecondare lo sviluppo della natura.
Cosa afferma Pestalozzi riguardo l’amore?
Pestalozzi afferma che l’amore è lo strumento per eccellenza dell’educazione: è una forma di amore consapevole, razionale, che conosce, studia e analizza l’identità del bambino.
Di che cosa si tratta l’Anshauung?
Pestalozzi era fortemente contrario alle modalità educative che erano in auge al tempo della sua vita e della pratica educativa. Per liberarsi dell’educazione basata sui principi astratti e sulla retorica, Pestalozzi ha sviluppato il metodo dell’Anschauung (ovvero «osservazione»): questo metodo è basato sull’osservazione concreta e diretta delle cose da considerare come contenuto e punto di partenza per l’apprendimento
Chi è la prima educatrice per il bambino, secondo Pestalozzi?
La famiglia costituisce un ruolo primario per il mondo del bambino: trovano forma le prime relazioni educative, indispensabili per la crescita sia dell’uomo sia del futuro cittadino, tanto che Pestalozzi le definisce «le prime eccellenti relazioni della natura».
Pestalozzi attribuisce un ruolo importante alla madre, ritenuta la prima educatrice e modello a cui anche un educatore deve ispirarsi. È il primo pedagogista ad aver esaltato la figura materna e attribuito a essa un ruolo non solo di accudimento, ma anche di cura educativa. Nell’ultimo dei suoi scritti a ella dedicato, «Madre e figlio. L’educazione dei bambini» (1818-1819), Pestalozzi si rivolge a lei e la invita a far dialogare il cuore con la ragione, equilibrando le due dimensioni essenziali che intervengono nella relazione educativa.
Cosa deve fare l’opera della madre secondo Pestalozzi?
L’opera della madre getta le fondamenta di quella educazione «del cuore» che poi si svilupperà nell’allargamento progressivo della cerchia di persone con le quali si contrae un rapporto di affettuosa benevolenza, fino a comprendere l’intera umanità.
Come illustra Pestalozzi la figura della madre?
Pestalozzi illustra la figura materna delicata e riflessiva, che agisce per il tramite di una comprensione del cuore, con capacità di riflettere, di applicare i suoi principi, di usare coscienza, di far uso di un amore pensoso: cioè la capacità di essere accanto, di percepire profondamente l’altro, di prendersene cura in maniera sensibile e attenta.
Quali sono le tre facoltà che Pestalozzi individua che saranno l’origine dell’impiego educativo che egli intende come integrale?
- la mente: è la forme dell’intelletto e ha inizio con la vita del bambino. Molti studiosi del tempo precedente a Pestalozzi pensavano che il bambino nascesse tabula rasa; in realtà il bambino fin dalla nascita è capace a generare delle intenzioni a partire dall’esperienza sensoriale
- il cuore: dimensione interna, animica (è la sede delle nostre emozioni). E’ legata al valore del bello e del bene e quindi a Dio
- la mano: la cui forza si esprime nell’attività pratica umana, nella capacità di lavoro, nella creatività, nell’arte dove la forza e la destrezza si uniscono alla volontà e al buon senso.