ANNA BELLAVITIS Flashcards

1
Q

QUAL E’ L’OBIETTIVO DI ANNA BELLAVITIS?

A

Restituire dignità e visibilità alla storia del lavoro delle donne in età moderna, alla loro presenza nel mondo del lavoro, una presenza sia ufficiale, riconosciuta, sia nascosta, sommersa, clandestina, ma spesso tollerata dalle autorità

Lo fa smantellando prima il quadro dalla presenza di alcuni pregiudizi, in particolare due:
- quello secondo cui le donne non avrebbero mai lavorato in età moderna
- e quello secondo cui, qualora avessero lavorato, lo avrebbero fatto solamente all’interno delle mura domestiche

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
2
Q

QUALI DOMANDE SI PONE NEI PRIMI CAPITOLI?

A

1) Cosa ha rappresentato il lavoro per le donne nell’età moderna? Quali lavori hanno svolto?
2) Quali sono state le grandi cesure storiche?
3) Quali sono stati i diritti delle donne nel mondo del lavoro? Come le normative, i codici legislativi hanno condizionato le loro attività?

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
3
Q

QUALI SONO COMUNQUE GLI ELEMENTI DI CONTINUITA’ CHE POSSONO ESSERE INDIVIDUATI NELLA STORIA DEL LAVORO DELLE DONNE IN ETA’ MODERNA, nonostante sia impossibile tracciare un quadro uniforme e fornire un modello universalmente valido?

A

1) il lavoro delle donne è stato sempre condizionato dal corpo; le donne hanno lavorato con il corpo, i loro lavori sono spesso stati lavori di assistenza e di cura di corpi altrui (lavori di “care”); ma lo svolgimento delle loro attività è stato sempre condizionato dal rilevantissimo evento biologico e culturale che è la maternità
2) La storia del lavoro delle donne in età moderna è sempre stata la storia di una grave e perdurante disparità salariale

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
4
Q

CHE LAVORI HANNO SVOLTO LE DONNE IN ETA’ MODERNA?

A

Hanno svolto molteplici lavori
- A.B. tenta infatti di depurare il campo dalla presenza di radicati pregiudizi
- le donne hanno dimostrato di avere agency

Lavori tradizionalmente considerati femminili, ma che erano gestiti da uomini (il balio era il marito della balia con cui la famiglia del neonato prendeva accordi), lavori tradizionalmente considerati femminili, ma che in origine non lo erano (il settore della lavorazione della seta è stato un settore in cui la presenza delle donne è stata rilevante sin dal Medioevo, ma è stato sottoposto a un processo di femminilizzazione dal Settecento in poi, si veda il caso di Venezia e di Bologna), lavori tradizionalmente considerati maschili, ma che in origine non lo erano (le donne lavorarono attivamente alla fabbricazione delle calze a maglia, prima della meccanicizzazione del processo di tessitura che determinò l’esclusione delle donne dal settore; hanno svolto lavori da uomini (lavori di fatica, lavori in miniera, lavori di scavo, di trasporto di materiali da costruzione anche molto pesanti); artigianato, servizio domestico, commercio ambulante e al dettaglio, sono state dipendenti di istituzioni statali (come estimatrici per gli inventari post-mortem) oppure dipendenti di istituzioni ecclesiastiche (le suore spesso lavoravano nei conventi, nel tentativo di arginare la cronica crisi di liquidità dei monasteri, anzi, spesso la loro produzione entrava in concorrenza con quella autorizzata delle corporazioni),

e hanno svolto:
1) lavori artistici e intellettuali
2) lavori di stampo commerciale, artigianale e mercantile

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
5
Q

QUALI SONO I DUE PREGIUDIZI DA SMANTELLARE PRIMA DI PROCEDERE ALL’ANALISI, secondo l’autrice?

A

1) Le donne non avrebbero mai lavorato in età moderna –> in realtà hanno sempre lavorato e anche molto, spesso anche fino alla vecchiaia, contribuendo in maniera attiva ad arricchire il mondo produttivo di età moderna, un mondo attraversato da trasformazioni (avvio della produzione protoindustriale, espansione del capitalismo, inaugurazione di un mercato mondiale). Sono riuscite, nonostante la presenza di molti limiti, a inserirsi negli interstizi delle norme municipali, a sfruttare a loro vantaggio le ambiguità normative, ad agire nonostante la presenza di quei limiti (hanno dimostrato di avere agency)

2) Quello secondo cui le donne avrebbero svolto quasi sempre e solo mansioni domestiche –> no, le donne hanno lavorato a casa come fuori casa, ovunque, ovviamente ci sono state delle differenze a seconda sia delle varie epoche storiche che prendiamo in esame, delle varie realtà geografiche che prendiamo in esame (i contesti hanno assegnato in maniera diversa dei profili all’uomo e alla donna, hanno esercitato una certa pretesa definitoria, spesso collocando l’uomo nella sfera delle relazioni pubbliche e sociale e la donna in quella privato-domestica

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
6
Q

QUALI SONO I MESTIERI DA DONNE?

A

Si riferisce con quest’espressione a cinque tipologie di mansioni che le donne hanno svolto e
1) hanno coinvolto il corpo delle donne-lavoratrici, spesso anzi il corpo è indispensabile per esercitare il mestiere
2) coinvolto il corpo di altri, un corpo di cui prendersi cura, proteggere e salvaguardare (le donne hanno svolto lavori di “care”)

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
7
Q

CHE COSA HA RAPPRESENTATO IL LAVORO PER LE DONNE IN ETA’ MODERNA?

A

Non ha fornito un’identità professionalizzante, un’identità in grado di strutturare l’intero essere di una persona, ma è stata spesso una scelta di sopravvivenza, una scelta obbligata.

Le donne non definivano se stesse utilizzando il verbo essere + nome della professione che esercitavano, a parte qualche eccezione. Spesso, come nel caso delle operaie dell’Arte della Seta di Venezia si riferivano a se stesse ricorrendo al nome del lavoro del marito. Oppure, come ha messo in luce una ricerca svolta dall’università di Uppsala (“far contare i verbi”) si riferivano a se stesse utilizzando verbi che denotavano lo svolgimento di un’azione (“io spazzo”; “io lavo i panni”, “io faccio la serva”, “io lavo i panni per conto di”, visto che spesso accanto ai tradizionali lavori domestici le donne svolgevano lavori domestici anche per conto di altri, ma non venivano considerati produttivi, si sovrapponevano gli spazi del lavoro e gli spazi della vita quotidiana)

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
8
Q

QUALI SONO STATE LE GRANDI CESURE STORICHE?

A

A) TESI DEL DECLINO DELLA PRESENZA DELLE DONNE nel mondo del lavoro e, più nello specifico, nelle corporazioni in età moderna avanzata: una tesi spesso disattesa da diverse studiose, che hanno fornito interpretazioni anche abbastanza diverse tra loro
B) la stessa età moderna ha rappresentato in questo senso una rivoluzione: è un’età attraversata da grandi trasformazioni (inaugurazione di un mercato globale, avvio di un tipo di produzione protoindustriale, espansione del capitalismo)

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
9
Q

COSA SI CHIEDE L’AUTRICE INVECE NEI CAPITOLI SUCCESSIVI?

A

Si chiede quali sono stati i diritti delle donne nel mondo del lavoro? Come le normative presenti e i codici legislativi hanno influenzato le loro attività?

(Già M.W.H. nel primo capitolo affermava che il mondo del diritto risente delle variabili temporali e geografiche; codici legislativi e normative sono stati influenzati dalla presenta di rappresentazioni fortemente misogine e ostili alle donne.
Il mondo del diritto non ha avvantaggiato le donne; la loro capacità di azione è sempre stata fortemente limitata dal sistema successorio ed ereditario, dal matrimonio, dalla presenza di forme di tutela patriarcale e di genere, ma le donne hanno sempre dimostrato di possedere agency.
Sono riuscite quindi a inserirsi negli spazi di contraddizione tra norma teorica, misogina e patriarcale e le necessità della vita reale (nelle città portuali le donne spesso approfittavano dell’assenza dei mariti e stipulavano contratti di apprendistato, le fonti notarili rivelano anche casi di donazioni reciproche tra donne nubili maggiorenni

  • diritto di agire e di possedere –> in che misura le donne sono state proprietarie e hanno potuto avviare un’impresa?
  • cosa ha rappresentato la dote
  • quali sono stati i diritti nelle corporazioni, nelle imprese artigiane e commerciali
How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
10
Q

QUALI SONO STATI I DIRITTI DELLE DONNE NEL MONDO DEL LAVORO? COME HANNO INFLUENZATO LE LORO ATTIVITA’ LE NORMATIVE E I CODICI LEGISLATIVI PRESENTI?

A

Anna Bellavitis se lo chiede nei capitoli centrali del testo.

1) Hanno avuto le donne diritto di agire e di possedere in età moderna? Ovvero il diritto di essere proprietarie e di avviare delle imprese?
A.B. prende in esame alcuni statuti presenti nell’Europa del Nord (Inghilterra) di tradizione normanna e validi secondo il regime di common law; sono emerse varie definizioni giuridiche in grado di descrivere la condizione, lo statuto giuridico e l’attività esercitata dalle donne
- feme sole
- feme coverte
- mercantessa pubblica

2) Che cosa ha rappresentato la dote nel mondo moderno? Che cosa era?
3) Quali diritti hanno avuto le donne all’interno delle corporazioni, nelle imprese commerciali e artigiane?

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
11
Q

I DIRITTI NELLE CORPORAZIONI, NELLE IMPRESE ARTIGIANE E COMMERCIALI

A
How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
12
Q

QUALI SONO GLI STATUTI/DEFINIZIONI GIURIDICHE PRESENTI NELL’EUROPA DEL NORD E VALIDE SECONDO IL REGIME DI COMMON LAW?

A

Ne parla quando si chiede quali sono stati i diritti delle donne nel mondo del lavoro e come le normative vigenti, i codici legislativi hanno influenzato le loro attività lavorative?

A.B. si chiede se le donne hanno avuto diritto di agire e possedere in età moderna e le forme di questo diritto.
Prende in esame alcuni statuti presenti nell’Europa del nord (Inghilterra) di tradizione normanna e validi secondo il regime di common law; sono emerse varie definizioni in grado di descrivere la condizione, lo statuto giuridico e l’attività esercitata dalle donne

  • feme sole
  • feme coverte
  • mercantessa pubblica
How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
13
Q

DIRITTO DI POSSEDERE E DI AGIRE = diritto di essere proprietarie e di avviare un’attività

A

Anna Bellavitis si chiede se le donne hanno avuto diritto di agire e possedere in età moderna e le forme di questo diritto.

A.B. prende in esame alcuni statuti presenti nell’Europa del Nord (Inghilterra) di tradizione normanna e validi secondo il regime di common law; sono emerse varie definizioni giuridiche in grado di descrivere la condizione, lo statuto giuridico e l’attività esercitata dalle donne
- feme sole
- feme coverte
- mercantessa pubblica

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
14
Q

TESI DEL DECLINO DELLA PRESENZA DELLE DONNE NEL MONDO DEL LAVORO (=nelle corporazioni) IN ETA’ MODERNA AVANZATA: le varie interpretazioni delle studiose

A

E’ considerata una grande cesura nella storia del lavoro delle donne in età moderna. Secondo questa tesi, le donne sarebbero state progressivamente escluse dal mondo del lavoro e delle corporazioni in età moderna, ma alcune studiose hanno disatteso tale tesi o comunque hanno fornito interpretazioni più approfondite e spesso anche molto diverse tra loro

  • Alice Clark, 1919: le donne sono state escluse dal mondo del lavoro nel momento in cui la produzione artigianale si è spostata dalle case alle manifatture
  • Ivy Pinchbeck, 1930: sostiene invece il contrario. La massiccia immissione delle donne nelle manfiatture inglesi durante la rivoluzione industriale ha offerto loro maggiori possibilità di emancipazione
  • Judith Benneth, anni ‘80: pone invece l’accento sul fatto che le donne, presenti o non presenti, sono state sempre pagate meno degli uomini, e che c’è ben poco quindi da gioire
  • Martha Howell: ha messo in luce come le donne siano state escluse dalle corporazioni nel momento in cui si sono trasformate in soggetti politici con ruoli di governo nelle città
  • Angela Groppi parla invece di un “movimento a fisarmonica”: per le donne ci sono state fasi di espansione e fasi di contrazione delle possibilità lavorative, ma se in fasi di difficoltà economica l’accesso delle donne al mondo del lavoro è stato fortemente limitato perché (M.W.H. la crescita demografica cinquecentesca ha spinto a restringere l’accesso ai privilegi corporativi agli uomini) non è detto che poi queste limitazioni fossero rispettate (nel Seicento a Londra le corporazioni di nuova fondazione come scrivani, carrai, orafi accolsero sin da subito uomini e donne, dal 1754 le donne a Venezia poterono diventare maestre delle botteghe facenti parte dell’Arte della Seta)
How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
15
Q

FEME SOLE

A

Secondo la common law, era il titolo giuridico per definire una donna nubile oppure vedova, divorziata, non legalmente e giuridicamente subordinata al marito, che poteva commerciare ed essere perseguita per i propri debiti; era uno statuto per certi versi simile a quello di mercantessa pubblica

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
16
Q

FEME COVERTE

A

secondo la common law, il titolo giuridico con cui si indicava una donna sposata, quindi legalmente subordinata al marito e giuridicamente dipendente da questi; l’esistenza “legale” della donna aveva fine una volta contratto il matrimonio in nome dell’unità coniugale, i due costituivano un’unica entità;

la coverture non permetteva che una donna sposata fosse citata in giudizio o potesse citare in giudizio senza il consenso del marito, e, a meno che non fosse stata stabilita una certa separazione dei beni, la donna non aveva il controllo della sua proprietà

Però sappiamo che spesso le donne sposate lavoravano e contribuivano alle entrate famigliari, anche se le loro attività erano poco registrate dalle fonti fiscali e spesso erano le stesse donne a definirsi ricorrendo al nome della professione del marito (venditrici ambulanti, impiegate nel settore tessile, nella stampa, ecc)

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
17
Q

MERCANTESSA PUBBLICA

A
  • donne sposate che esercitavano un mestiere diverso da quello del marito; lo status di mercantessa permetteva loro di aggirare il problema del consenso maritale o consenso parentale (la donna infatti non aveva l’autorità legale di agire nel mondo commerciale senza il consenso o del marito, del padre o del fratello); attraverso lo status di mercantessa, avrebbe potuto assumere la responsabilità delle proprie azioni legali e quindi di fare negozi e affari
  • definizione rara nella storiografia, forse una condizione di fatto, non formalmente riconosciuta sul piano giuridico

oppure donne nubili che accettavano il rischio di fare affari per mare affidando delle merci da vendere al capitano di una nave per costruirsi una dote in caso di bei profitti

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
18
Q

LA SECONDA CESURA STORICA: LA STESSA ETA’ MODERNA è una cesura, perché è in questo momento che si assiste all’espansione degli scambi commerciali e un inedito impulso al commercio su scala globale

A

Si allinea alla tesi di M.W.H. secondo cui le donne hanno arricchito il mondo economico e produttivo di età moderna, nonostante la presenza di limiti.

La storia del lavoro delle donne è una storia contrassegnata più da tristi continuità che da radicali e positivi cambiamenti (perdurante disparità salariale, limiti all’accesso delle donne alle cariche corporative, mancanza di un’identità professionale, ecc)

ma le donne sono state
1) PRODUTTRICI e LAVORATRICI PER IL MERCATO COLONIALE (impiraresse di perle di Murano o le lavoratrici scozzesi di lana) che hanno anticipato forme di protoindustrializzazione
2) CONSUMATRICI dei nuovi generi alimentari provenienti dalle colonie e attente curatrici di prodotti di lusso provenienti dal Nuovo Continente, che ha portato a: a) formazione di leggi suntuarie (visto che con gli scambi si è affermata anche l’immagine di donne consumatrici frivole, sensibili alle sollecitazioni delle mode); b) affermazione di industrie del lusso e manifatturiere nell’Italia del Rinascimento (le donne erano modiste, sarte e merciaie)

18
Q

IL RUOLO DELLE CORPORAZIONI

A

associazioni che divennero il principale strumento di organizzazione della produzione e di controllo della lavorazione; nascono per regolamentare e tutelare le attività degli appartenenti ad una stessa categoria professionale; disciplinavano minuziosamente tutto ciò che riguardava la loro attività: stabilivano i prezzi, i salari e le condizioni di lavoro dei sottoposti e si occupavano della formazione del personale, degli apprendisti

19
Q

IL PROBLEMA DEI DEBITI PER LE DONNE IN ETA’ MODERNA

A

Visto che le donne in realtà lavoravano e potevano/riuscivano a lavorare nonostante la presenza di numerosi limiti (hanno mostrato agency), potevano anche indebitarsi, come accadeva spesso alle mercantesse pubbliche.

(definizione di status di mercantessa pubblica)
ma spesso decidevano di dichiararsi feme coverte (donne coniugate) perché sapevano che in caso di debiti i creditori avrebbero potuto decidere di rivalersi dei beni del marito.

Ma cosa fare se si voleva proteggere i capitali di entrambi i coniugi? Si poteva ricorrere al dispositivo della separazione dei beni, sia per
a) proteggere i capitali dell’uno dai creditori dell’altro
b) sia (e questo era il caso delle donne) impedire una gestione sconsiderata della dote da parte del marito

20
Q

I DIRITTI DELLE DONNE NELLE CORPORAZIONI, NELLE IMPRESE ARTIGIANE E COMMERCIALI

A

Le donne hanno fatto parte delle corporazioni di mestiere, spesso erano mogli e figlie che svolgevano diverse attività nelle botteghe

  • sia perché provenivano da famiglie storicamente specializzate nel settore
  • o perché si erano sposate con uomini che svolgevano un mestiere affine (a volte capitava che il matrimonio fosse un’occasione per creare una solida alleanza, una nuova dinastia artigianale in cui mettere a profitto anche le competenze della donna)

Infatti:
a) tenevano la contabilità
b) vendevano
c) potevano ereditare la bottega in assenza dei fratelli maschi
d) trasmettere il privilegio ai futuri mariti

ma non avevano accesso alle cariche (non potevano diventare maestre): poi qualcosa cambiò (nel 1754 a Venezia l’Arte della Seta aprì alle donne la possibilità di diventare maestre di bottega)

IL CASO DELLE VEDOVE:
Già M.W.H. nel capitolo 2 dedicato al ciclo di vita della donna parlava della vedovanza come di una condizione spesso particolarmente felice perché apriva alle donne possibilità inedite, dal punto di vista economico e lavorativo

a) spesso la vedova era autorizzata, nel caso avesse già lavorato nella bottega prendendo parte a una sorta di partenariato con il marito, a continuare il lavoro del marito, soprattutto se aveva dato al marito dei figli (in quel caso era una cinghia di trasmissione di conoscenze e competenze dal padre ai figli)
1) questo dimostrava che il maestro era stato un buon pater familias, aveva garantito la propria successione e aveva protetto i suoi sottoposti; 2) dall’altra parte erano donne pericolosamente autonome, che gestivano in maniera completa gli affari e i beni dell’azienda

b) collaboravano con figli e nuore, incorporando la dote delle nuore nel capitale dell’impresa e utilizzando i figli come dei soci itineranti che per conto loro si spostavano per riscuotere crediti o per vendere merci anche in territori molto lontani

Allora vennero posti dei limiti all’esercizio dell’attività delle vedove
1) no risposarsi con uomo estraneo alla corporazione (a volte infatti le vedove editrici e stampatrici non si risposavano per non perdere il diritto di appartenere alla corporazione)
2) gestire gli affari solo per un periodo limitato di tempo
3) divieto di assumere nuovi apprendisti
4) non potevano insegnare il mestiere agli apprendisti
5) manteneva solo la gestione degli acquisti della materia prima ma non era personalmente a capo della bottega, a eccezione del caso della stampa

Spesso però le vedove si appellavano ai tribunali, spiegavano alle autorità che avevano bisogno di lavorare per non finire sul lastrico, per non darsi a infamie et peccati, che avevano dei figli da mantenere.

21
Q

COS’E’ LA DOTE

A

La dote era una parte dell’eredità paterna che, in base alla tradizione di diritto romano, veniva assegnata alle donne al momento del matrimonio in qualità di contributo.
Era
- di entità variabile a seconda dell’estrazione sociale della donna e della famiglia di provenienza (beni mobili, pochi capi di vestiario, denari, terre, telaio)
- poteva essere guadagnata anche dalle stesse donne, che lavoravano per accumulare la propria dote, spesso lavoravano anche vent’anni, in istituti convenzionati. Svolgevano generalmente lavori di cucito, di tessitura, ma potevano anche lavorare come domestiche
- dal Trecento vennero messe in piedi delle forme di beneficenza dotale per fornire alle fanciulle più bisognose una somma con cui sposarsi: dietro queste iniziative si nascondevano sia motivazioni di tipo demografico (ripopolare le città dopo la peste trecentesca supportando e finanziando le unioni coniugali, sia per motivazioni di natura meramente esibizionista (i donatori facevano sfoggio della propria capacità materiale e della propria magnanimità)

C’erano delle differenze su come veniva intesa la dote nell’Europa del Nord e nell’Europa centrale e meridionale

  • Nord: era proprietà del marito
  • Centro e Sud (Italia): la proprietà formale rimaneva alla donna, ma la gestione era affidata all’uomo.
    Un capitale della dote doveva essere bloccato affinché potesse essere restituita, un giorno, alla moglie, ragione che spesso inibiva l’utilizzo della dote per eventuali investimenti economici, a meno che non si ricorresse a un particolare dispositivo chiamato “alienazione dotale” per sbloccare la dote e utilizzarla
22
Q

LAVORI ARTISTICI E INTELLETTUALI

A

Qui Anna Bellavitis segue la linea tracciata da M.W.H.

[L’età moderna è un’età di generale rinnovamento del mondo delle arti e della cultura: laicizzazione della cultura, nascita di una sensibilità autoriale, suddivisione delle arti in categorie, divario tra cultura dotta e cultura popolare]

  • PITTRICI: spesso erano figlie d’arte avviate all’attività dal padre che potevano limitare o interrompere del tutto l’attività una volta sposate. Alcune iniziarono a vivere con i proventi di artista, in particolar modo dal Seicento, quando l’attività iniziò a essere riconosciuta come un lavoro
  • MUSICISTE: la musica è un campo irto di contraddizioni (da una parte un’attività scoraggiata perché la musica prodotta da donne compositrici o cantanti avrebbe ammaliato gli uomini, inibito le loro difese, sfidato la loro capacità di autocontrollo: sono attività che mettono in scena il corpo e possono essere fonte di disonore per le donne che le esercitavano in luoghi pubblici, motivo per cui a Roma fino al XX secolo i ruoli femminili furono ricoperti da castrati e le voci femminili dovevano provenire da dietro le grate).
    Sono figlie d’arte, ma ricevono anche un tipo di formazione pubblica (nei monasteri, negli orfanotrofi, negli Ospedali grandi, nei comuni.
    Frequentarono meno generi musicali rispetto agli uomini, ma furono attive nella messa a punto del melodramma nel Seicento. Usavano anonimato per diffondere canzonette e musichette popolari che ricordavano un clima domestico (ninnananne)
    Divieti di esibirsi in pubblico con il concilio di Trento e Innocenzo XI nel 1686, ma ignorati o aggirati
  • SCIENZIATE: donne potevano essere intellettuali, autrici, poetesse, filosofe della natura, sia docenti che discenti.
    Ma la medicina/lavori di ambito medico sono lavori che si collocano a cavallo tra la presenza di un sapere medico teorico ufficiale, riconosciuto, accademico e una pratica che traeva spunto dall’esperienza quotidiana, domestica e informale. (Esistevano donne infermiere), ma la loro attività fu spesso sottoposta a limiti sia dal punto di vista della FORMAZIONE che di quello della PROFESSIONE (il loro sapere entrò in collisione con il sapere medico ufficiale, non potevano avere accesso a corsi di formazione universitaria, non potevano ottenere titoli, certificati, attestati che riconoscessero le loro competenze, perché c’è ostilità nel riconoscere pubblicamente il merito)

ma ci furono donne titolari di insegnamenti universitari, come Anna Morandi Manzolini, che lavorò praticando dissezioni e sviluppando modelli anatomici in cera assieme al marito presso lo studium bolognese

  • GIORNALISTE: a partire dal Settecento il giornalismo costituì per le donne colte una fonte di reddito, ma rimase a lungo l’interrogativo su quale fosse il tipo di giornalismo più adatto alle donne. Molti giornali nascevano con l’intenzione di far politica e di fare da grancassa all’esigenza di promozione della condizione femminile, salvo poi virare rotta e diventare periodici per signore, come accadde al Journal Des Dames e al Female Tatler
  • ATTRICI: gli Stati italiani compresero subito il POTENZIALE SEDUTTIVO DEL CORPO FEMMINILE, e diverse compagnie di teatro erano frequentate da attrici donne, e nel Settecento Goldoni diede nuova centralità alla figura femminile; mentre in Inghilterra le donne poterono esibirsi in ruoli teatrali solamente prima a corte e poi con la Restaurazione nei teatri pubblici
23
Q

LAVORI DI STAMPO COMMERCIALE, ARTIGIANALE E MERCANTILE: la fase dell’APPRENDISTATO e della FORMAZIONE PROFESSIONALE

A

1) si parte sempre da una forma di APPRENDISTATO

a) nelle BOTTEGHE delle CORPORAZIONI DI MESTIERE: generalmente erano poco frequentate dalle donne, perché l’apprendistato era quasi sempre legato alle corporazioni di mestiere, pertanto spesso riservato ai maschi, ma nel caso di Bristol, che l’autrice cita, molte donne c’erano e apprendistato/lavoro artigianale e mansioni di tipo domestico si confondevano nei compiti dell’housewifery (alle apprendiste veniva chiesto di servire gli altri apprendisti, di spazzare per terra);
Come si evince dalla lettura di alcuni contratti di apprendistato, questi venivano stipulati presso notai anche da artigiane che non avevano il titolo di maestre, come nel caso delle sarte di Parigi nel ‘500 (prima del 1665)
Iniziava sin dalla più tenera età per le bambine, che venivano avviate a una vera e propria carriera professionale in ambito tessile con i contratti ad agucchia, diffusi soprattutto nell’Italia settentrionale con l’impiego di manodopera minorile sfruttata per la fabbricazione di calze a maglia, rimanendo spesso vittime di abusi sessuali e di violenze fisiche da parte dei maestri;
potevano ricevere un compenso, soprattutto nelle città industriali italiane (=SALARIATE) oppure pagare il maestro per contribuire alle tasse (=MESTIERI PRESTIGIOSI dove era più importante la RELAZIONE PEDAGOGICA), soprattutto nelle città come Londra o Parigi.

Nel Seicento furono escluse dall’apprendistato formalizzato come conseguenza dell’aumento demografico che creava concorrenza tra lavoro maschile e lavoro femminile

b) nelle ISTITUZIONI RELIGIOSE e CARITATIVE (nei ricoveri/istituti di accoglienza/conservatori dove venivano accolte giovani fanciulle spesso di bell’aspetto e che magari non potevano procurarsi una dote affinché non si dessero a “infamie et peccati”): soprattutto lavori di ago e cucito, sia per bambini che per bambine, ma quest’ultime erano avviate a una carriera professionale, mentre i bambini poi avviati a un altro apprendistato presso artigiani (es: es: Conservatorio romano delle mendicanti; Ospedale parigino della Trinité, Scuola delle figlie di Sant’Agnese)

24
Q

SERVIRE (LAVORO DOMESTICO)

A

E’ un’attività che A.B. fa rientrare entro la categoria dei cosiddetti “mestieri da donne”, ovvero mansioni tradizionalmente considerate femminili, consone all’esser donna e all’agire come donna, e che spesso coinvolgono il corpo, sia il corpo delle lavoranti (a volte l’utilizzo del corpo era indispensabile per svolgere un’attività, come quella del meretricio), sia il corpo degli altri, nei lavori di “care”.

E’ un’attività che nell’età moderna venne sottoposta a un processo di femminilizzazione.

  • Chi erano le domestiche? –> ragazze giovani, vergini (maid), uscite magari da orfanotrofi oppure da istituti/ricoveri/conservatori che accoglievano fanciulle particolarmente avvenenti che potevano più facilmente perdere il loro onore e la loro integrità morale, giovani escluse dall’eredità. Spesso erano anche immigrate (per esempio dalla Svezia) che erano costrette a mettersi a servizio per non essere accusate di vagabondaggio e finire in prigione; spesso le migranti erano acquistate, e possiamo parlare di vere e proprie «schiave domestiche» che venivano messi in vendita sul giornale attraverso degli annunci in cui si faceva riferimento alle origini della fanciulla, alla sua etnia e alla sua religione (“schiava mulata”, schiava negra”, “schiava cristiana”).
  • Dove svolgevano servizio: nelle case, nelle dimore signorili, ma anche nei monasteri, dove ricevevano vitto e alloggio, dove spesso diventavano le converse personali di suore che provenivano dal ceto aristocratico (in età moderna assistiamo a una progressiva aristocratizzazione dei monasteri). Dopo il concilio di Trento inoltre aumentò la necessità di personale, a causa della clausura che impose la fine di contatti con il mondo esterno.
  • Come venivano assunte? –> esistevano degli uffici di reclutamento che incaricavano delle donne intermediarie di trovare fanciulle di buona reputazione magari nelle campagne. M.W.H. parla di assunzione informale: molto spesso i contratti venivano stipulati verbalmente e suggellati attraverso una piccola somma di denaro davanti alla bancarella di un mercato cittadino
  • Che tipo di rapporto si veniva a creare con i loro padroni? –> di grande stima, affetto, rispetto e di grande vicinanza. C’è stata sempre una certa prossimità corporea tra padroni/e e i loro domestici: M.W.H. scrive che molto spesso dormivano nella stessa stanza. Le domestiche si lamentavano di avere poco tempo libero a disposizione, spesso non arrivavano a sposarsi mai perché vivevano per tutta la vita nella casa dove prestavano servizio.
    Da un esame dei loro inventari, si evince che i padroni e le padrone spesso lasciavano alle loro domestiche degli abiti smessi, ma capitava che anche gli stessi domestici testassero a favore dei loro padroni (risparmi, restituzione di prestiti), per ricompensarli del fatto di aver ricevuto una sorta di pensione (a volte nei testamenti i signori scrivevano che intendevano versare una quota mensile alla propria massara).
    Ma alcuni rapporti potevano anche tradursi in abusi sessuali, spesso le domestiche erano violentate dai loro padroni, rimanevano gravide e i loro figli sarebbero andare a infoltire le fila di figli «di padre ignoto» negli orfanotrofi, ma alcune avevano il coraggio di prendere la parola, di denunciare la violenza e di chiedere forme di contrattazione e di risarcimento (es: Maria Guidetti violentata da Tomasso)
25
Q

CURARE (INFERMIERE)

A

E’ un’attività che A.B. fa rientrare entro la categoria dei cosiddetti “mestieri da donne”, ovvero mansioni tradizionalmente considerate femminili, consone all’esser donna e all’agire come donna, e che spesso coinvolgono il corpo, sia il corpo delle lavoranti (a volte l’utilizzo del corpo era indispensabile per svolgere un’attività, come quella del meretricio), sia il corpo degli altri, nei lavori di “care”

E’ stata un’attività a cavallo tra attività accademica/sapere ufficiale formalizzato e pratica quotidiana, domestica e informale.

Dovevano spesso dare prova attraverso una licenza di poter esercitare professioni di tipo medico attraverso delle lettere di raccomandazione delle autorità locali. Le donne erano generalmente indicate per l’assistenza a poveri e a malati, e l’esercizio pubblico di questo genere di mansione era percepito come un’estensione nella sfera pubblica di attività di cura esercitate dalle donne in privato.
In Spagna le donne che ricevevano le elemosine dalle autorità municipali per occuparsi dei malati negli ospedali e nelle prigioni erano chiamate beatas.

  • Contrassegnata da limiti: nonostante siano esistite donne infermiere (ospedali della Germania protestante erano molto frequentati da personale femminile) nei regolamenti delle corporazioni dei barbieri-chirurghi vennero apposti dei limiti all’esercizio della loro attività: non potevano praticare interventi chirurgici se non magari in relazione al parto, fare diagnosi (definirsi quindi “medici”, perché “medico” era un titolo che nel Cinquecento veniva assegnato a un uomo che aveva frequentato dei corsi universitari di medicina il cui accesso era precluso alle donne) o somministrare medicine (fare farmacia) anche se nell’Ospedale di Santiago de Compostela lo facevano, né la loro attività poteva essere riconosciuta attraverso attestati/certificazioni —> c’è un problema del mancato riconoscimento sociale e pubblico del merito.

Salari: Generalmente meno pagate degli uomini. Nell’Ospedale reale di Santiago de Compostela le infermiere recepivano un salario misto che aumentò nel corso del tempo contrastando efficacemente l’inflazione, anche perché non dipendeva dai meccanismi del mercato. Nonostante la disparità salariale, la capoinfermiera aveva diversi vantaggi: mestiere vitalizio, ereditario, diritto di percepire una pensione.
Anche la governante degli esposti vide il proprio salario aumentato nel corso del tempo.

26
Q

NUTRIRE (BALIE)

A

E’ un’attività che A.B. fa rientrare entro la categoria dei cosiddetti “mestieri da donne”, ovvero mansioni tradizionalmente considerate femminili, consone all’esser donna e all’agire come donna, e che spesso coinvolgono il corpo, sia il corpo delle lavoranti (a volte l’utilizzo del corpo era indispensabile per svolgere un’attività, come quella del meretricio), sia il corpo degli altri, nei lavori di “care”

Chi erano: donne che avevano partorito da poco o che avevano ancora a disposizione del latte. Generalmente si diffidava di donne che avevano figli ancora in vita a cui potevano far succhiare ancora il loro latte; oltretutto eventuali figli in vita potevano anche non godere di ottima salute (circostanza che le balie si premuravano di occultare) e che avrebbero fatto loro una cattiva pubblicità.

E’ un’attività che venne sottoposta a una forma di controllo sociale perché coinvolgeva il corpo femminile che in età moderna rappresentava un nodo problematico rilevantissimo. Ha attivato una soglia di attenzione di tipo biopolitico: le autorità e le stesse famiglie si chiedevano in che stato fossero i figli naturali della balia, quanto fosse vecchio il loro latte ecc

  • Diversi tipi di baliatico:
    a) balia vicina, del circondario,
    b) balia nelle loro case, consuetudine che si diffonde soprattutto nell’Ottocento per non costringere i bimbi a viaggi sfiancanti. Provocava ingenti movimenti migratori di balie verso le città;
    c) balia che abitava lontano. La scelta di una o dell’altra alternativa rispecchiava la presenza di convinzioni pseudo-scientifiche (alcuni credevano che l’aria di campagna che il figlio avrebbe respirato mentre era affidato a una balia lontana avrebbe giovato alla sua salute) e la presenza di discriminazioni di genere: erano le bambine a essere più spesso inviate lontano
    d) balia negli istituti di assistenza: accoglievano bambini abbandonati e mettevano a disposizione balie interne (che allattavano i bimbi appena raccolti alla ruota, magari le stesse madri che avevano abbandonato il neonato alla ruota) oppure balie esterne (magari mogli di artigiani) che allevavano i bambini nei villaggi attorno alla città fino all’età di 7 anni. Quando il baliatico si diffonde anche tra il ceto artigiano (poiché le donne dovevano riprendere il più rapidamente possibile l’attività lavorativa) nacque anche la possibilità per cucitrici, lavandaie, stiratrici e operaie a Torino di affidare il proprio figlio a una balia “convenzionata” con l’Ospedale di Carità.
  • Come venivano assunte: esistevano degli uffici di reclutamento che incaricavano donne intermediarie di trovare una balia su richiesta delle famiglie (recommandaresses = (coloro che davano alloggio alle balie che andavano a prendere i bambini con certificato di buona condotta sottoscritto dal parroco. Dovevano accertarsi anche delle condizioni della casa della balia che doveva possedere una culla) o meneurs = (coloro che accompagnavano le balie in città quando andavano a prendere i bambini).
27
Q

METTERE AL MONDO (LEVATRICE)

A

E’ un’attività che A.B. fa rientrare entro la categoria dei cosiddetti “mestieri da donne”, ovvero mansioni tradizionalmente considerate femminili, consone all’esser donna e all’agire come donna, e che spesso coinvolgono il corpo, sia il corpo delle lavoranti (a volte l’utilizzo del corpo era indispensabile per svolgere un’attività, come quella del meretricio), sia il corpo degli altri, nei lavori di “care”

Era un’attività soggetta a un forte controllo morale e che a sua volta esercitava una forma di controllo morale; le levatrici erano spesso chiamate ad avviare “indagini di polizia”. A loro era chiesto di giurare davanti alle autorità che non avrebbero mai praticato aborti e infanticidi, a loro era chiesto di scoprire chi fosse il padre delle puerpere nubili, motivo per il quale sollecitavano la gravida anche a urlare il nome del padre durante il parto. Potevano essere chiamate in tribunale in caso fossero state testimoni di casi di gravidanza che coinvolgevano coppie accusate di rapporti sessuali pre–matrimoniali.

Il ruolo pubblico delle levatrici: somministrare il battesimo: Dovevano somministrare il battesimo se credevano che la vita del neonato fosse in pericolo (come nel caso dell’ordinanza di Monaco di Baviera, 1468) e in area protestante dovevano imparare il modo corretto di somministrarlo dal pastore della chiesa locale, così come nelle aree cattoliche post–tridentine. Ma dal 1688 a Strasburgo le levatrici dovettero iniziare a chiedere l’autorizzazione alle autorità urbane prima di somministrare un battesimo, anche se in situazione emergenziale: si tentò, quindi, di limitare progressivamente il ruolo pubblico delle levatrici.

  • Chi erano: Chi erano?
    1) donne già esperte (matrone o comari in Francia)
    2) APPRENDISTE, che venivano valutate al momento di ottenere una licenza (venivano valutate le loro competenze tecniche, la loro esperienza e la loro integrità morale, in Spagna gli esaminatori erano insegnanti di anatomia, ma erano le donne («onorate donne» del patriziato urbano) a sondare la loro reputazione in Germania.
    A Londra per ottenere una licenza di levatrice dalla corte vescovile nel ‘600 dovevano provare di aver esercitato un apprendistato, presentare una dichiarazione di competenze supportata da testimonianze di altre donne che accertavano le competenze della candidata, assieme alle testimonianze di parroci che ne confermavano la buona moralità e la buona condotta: veniva attivato un sistema di sorveglianza che nasconde un’ansia di tipo morale.

Con il passare degli anni alle levatrici venne chiesto anche di saper leggere e scrivere nelle nuove scuole di ostetricia, come in Francia con Madame du Coudray o a Venezia (da semplice donna esperta a professionista del settore), con la Scuola ostetrica, dove dal 1770 il compito di formare le levatrici fu affidato a insegnanti chirurghi uomini.

  • Controllo che la scienza medica esercitava sulla loro formazione e sulla loro professione
    a) (FORMAZIONE) il loro sapere pratico e le loro competenze entrarono IN COLLISIONE CON IL SAPERE MEDICO TEORICO cui gli uomini (ostetrici maschi) potevano avere accesso all’università
    b) (PROFESSIONE) non potevano praticare la manipolazione del feto, i tagli cesarei e la somministrazione di medicine

Gli spazi di autonomia: rimangono spazi di contrattazione e di autonomia professionale, come a Braunschweig (città tedesca) e in Olanda. Qui si costituisce un corpo professionale, patentato e preparato di levatrici che interveniva anche nei parti più difficili e che cercò di adeguarsi alle richieste delle istituzioni, seguendo corsi di anatomia e di ostetricia e un periodo di formazione di 4 anni. Anche quando era proibito loro di usare arnesi chirurgici riuscivano a farlo ottenendo speciali autorizzazioni o assumendo il titolo maschile di “ostetricio”.

Salari:
* levatrici comunali: salari inferiori rispetto a farmacisti e chirurghi.
* levatrici indipendenti: avrebbero potuto pretendere salari maggiori, anche se il fatto che affermassero che esercitavano il mestiere solo saltuariamente affiancandovi altre attività dimostra che non permetteva loro di vivere. Spesso ricevevano anche compensi in natura come grano o legna o doni da parte delle famiglie delle partorienti (Parigi)

28
Q

PROSTITUIRSI (MERETRICIO)

A

E’ un’attività che A.B. fa rientrare entro la categoria dei cosiddetti “mestieri da donne”, ovvero mansioni tradizionalmente considerate femminili, consone all’esser donna e all’agire come donna, e che spesso coinvolgono il corpo, sia il corpo delle lavoranti (a volte l’utilizzo del corpo era indispensabile per svolgere un’attività, come quella del meretricio), sia il corpo degli altri, nei lavori di “care”

CHI ERANO LE PROSTITUTE?

• povertà (epoca di crisi, scarsità di raccolti e devastazione nelle campagne in caso di guerra);
• presenza di lavori saltuari che non permettevano un adeguato sostentamento. Molte donne dichiaravano di esercitarlo solamente occasionalmente.
• mestiere delle immigrate (a Firenze provenivano dalle zone dell’impero, Olanda, nord Italia)
- mestiere diffuso soprattutto nelle aree portuali, dove l’industria della seta che dava lavoro a molte donne conobbe la concorrenza dei traffici atlantici (anche molte suore nei conventi, che lavoravano la seta, che non riuscirono più a sostentarsi e le difficoltà economiche dei monasteri si tradussero nell’impossibilità da parte di questi di assorbire quella fetta di popolazione femminile eccedente rispetto al mercato matrimoniale). Inoltre nelle aree portuali come Amsterdam, il costante afflusso di viaggiatori e mercanti e l’assenza degli uomini del posto costituivano condizioni favorevoli all’esercizio dell’attività.

  • ATTIVITA’ SIA TOLLERATA: il meretricio era generalmente tollerato dalla Chiesa sin dal Medioevo, perché limitava il disordine sessuale a una parte circoscritta della popolazione, combatteva l’omosessualità e non metteva a repentaglio l’onore delle donne nubili o sposate
  • ATTIVITA’ SIA OSTEGGIATA: con la RIFORMA PROTESTANTE si impose un nuovo ordine morale che doveva passare per la chiusura dei postriboli, delle ex latrine morali (A lezione abbiamo parlato del nuovo ordine ricercato dal mondo protestante, un ordine sociale basato su filogamia, sulle unioni matrimoniali, sulla famiglia);
    ma anche dal mondo cattolico, che iniziò a perseguire il meretricio come un crimine, poiché si sentiva il dovere di promuovere l’educazione religiosa e morale delle prostitute (a Roma i papi della Controriforma come Clemente VIII la limitarono in alcune parti della città espellendola dai quartieri centrali verso Trastevere e Campo Marzio, a mo’ di ghetto. Anche a Firenze le prostitute furono confinate in alcuni quartieri.)

L’ORGANIZZAZIONE DEL MERETRICIO NELLE CITTA’:
• registrarsi presso gli uffici comunali (come l’Ufficio delle Bollette di Bologna). Ma rimaneva comunque un’attività altamente stigmatizzata.
• pagare una tassa a mo’ di licenza per l’esercizio del mestiere che si aggiungeva ad altri tributi (“giulio” a Roma che veniva versata a favore della Camera Apostolica) che spesso andavano a beneficio di quelle istituzioni che si occupavano di raccogliere le prostitute pentite (Convento delle Convertite di Firenze, in cui spesso si registravano giovani povere che si spacciavano per ex prostitute al solo scopo di ottenere la dote erogata nel monastero) o nelle casse dello stato. I controlli severi cui era sottoposta la prostituzione non erano tanto finalizzati alla repressione, ma a stanare le prostitute per obbligarle a pagare le tasse e a registrarsi;
• venire controllate da medici che nei postriboli si accertavano del loro stato di salute
- i bordelli venivano istituiti in case di proprietà delle autorità civili e date in gestione a pubblici ufficiali (padres) che a loro volta le affittavano a prostitute. Questi gestori spesso percepivano una percentuale delle entrate, ma a volte alle prostitute rimanevano solo i doni dei clienti.
Erano sottoposte a ritmi di lavoro intensissimi e le giovani donne dovevano rimborsare ogni giornata di lavoro perduta integrando i compensi con altre attività svolte, come la filatura, e se entravano in un circolo vizioso di indebitamento con il gestore potevano diventare merce di scambio da un bordello all’altro.
Le mezzane erano donne più vecchie (35/40 anni) spesso sposate che potevano prestare denaro alle prostitute, vestirle con abiti e accessori vistosi, offrire vitto e alloggio in cambio della metà dei guadagni.

DIVIETO DI PROSTITUZIONE:
in Francia fu vietata nel 1560, in Spagna nel 1632, a Londra nel 1752 con il Disorderly Houses Act e la fondazione di Magdalen Hospital; a Montpellier venne fondato l’istituto Bon Pasteur, percepito quasi come una prigionia dalle giovani donne).
La rivoluzione francese abolì il divieto ma senza regolamentare la prostituzione, che viene di fatto tollerata. Si passa da attività stagionale, saltuaria a un mestiere vero e proprio, attraverso cui le ragazze vengono rimesse sulla strada senza garanzie.

29
Q

NOMI DI PITTRICI

A

Marietta figlia di Tintoretto
Catharina van Hemessen
Judith Leyster (Olanda)
Artemisia Gentileschi
Elisabeth Vigee-Le Brun
Mary Beale

30
Q

NOMI DI COMPOSITRICI

A

Maddalena Casulana
Barbara Strozzi
Maddalena Lombardini Sirmen

31
Q

NOMI DI GIORNALISTE E DI GIORNALI

A

Aphra Behn (prima inglese a vivere della propria penna)
Female Tatler di Mrs Manley
Salomé Antonazzoni
Caterina Chracas
Elisabetta Caminer (Venezia) e influenzò la cognata Gioseffa Cornoldi Caminer
Eleonora Fonseca Pimentel
Louise de Keralìo

32
Q

NOMI DI ATTRICI

A

Donna Lucrezia di Siena (la prima di cui conosciamo il nome)
Vittoria Piissimi attiva con i Gelosi
Elisabeth Barry (fu tacciata di prostituzione)
Caterina Bresciani (donna che ebbe un ruolo di rilievo nel teatro riformato di Goldoni

33
Q

SECONDA GRANDE CESURA DELL’ETA’ MODERNA PER IL LAVORO DELLE DONNE: IL LAVORO FEMMINILE NELL’ETA’ DELL’ESPANSIONE DEGLI SCAMBI E DI UN RINNOVATO IMPULSO AL COMMERCIO SU SCALA GLOBALE –> IL LAVORO PROTOINDUSTRIALE

A

[da MWH: le donne hanno arricchito la dimensione economica e produttiva dell’età moderna]

Sono state produttrici, lavoratrici e consumatrici per il mercato coloniale.

Diffusione della proto-industria e della produzione domestica (modello formulato negli anni ‘70 da Frank Medels e chiamato “rivoluzione industriosa” da de Vries ) per il mercato coloniale soprattutto nelle aree europee nord-occidentali: la diffusione nelle campagne europee di attività manifatturiere organizzate da mercanti-imprenditori provenienti dalle città, e che è a cavallo tra produzione domestica per l’autoconsumo e la rivoluzione industriale.

Ha interessato soprattutto il settore tessile, in cui sono stati impiegati per lavori di filatura, tessitura e cucito donne e bambini (=sfruttamento della forza lavoro famigliare) per rispondere all’aumento della domanda di merci provenienti dal mercato coloniale (es: le lavoratrici di lana grezza della Scozia).

Grazie alla produzione domestica le donne hanno potuto
- migliorare il proprio status e il livello di indipendenza all’interno della famiglia
- aumento della fecondità –> disponibilità di denaro e la possibilità di lavoro a domicilio permetteva alle coppie di rendersi più precocemente indipendenti dalle famiglie di origine
- i figli potevano essere coinvolti nella produzione domestica
- le famiglie salariate hanno contribuito a definire i contorni di quella che è chiamata “rivoluzione dei consumi”: inventari e testamenti dimostrano infatti una maggiore presenza di beni di consumo nelle case dei ceti medio-bassi e non solo in quelle delle elite.

La produzione domestica è stata meno significativa per l’economia delle grandi città mercantili ed industriali italiane, in cui le industrie e le botteghe cittadine si sono precocemente servite delle donne, e l’industria a domicilio era già organizzata nelle città. Era una situazione che non si risolveva nella relazione città-campagna, ma coinvolgeva una complessa e gerarchizzata rete urbana (=industrializzazione anche dei centri mijnori)

34
Q

CHE COSA VENDEVANO LE DONNE DEDITE AL COMMERCIO?

A

Cosa vendevano:
- pasti pronti, generi alimentari (Cracovia), pesce (Leida e Amsterdam)
- merci usate, libri, cuoio (Cracovia)
- birra (Nell’Europa settentrionale le donne ebbero a lungo un ruolo preponderante nella fabbricazione e nella vendita della birra: la distillazione era un mestiere femminile nella Londra medievale, ma in seguito l’evoluzione delle tecniche di produzione e i regolamenti governativi (influenzati da una rappresentazione misogina prodotta dalla letteratura popolare che rappresentava le venditrici di birra come donne dal comportamento disonesto e scandaloso) limitò l’attività femminile nel settore.
Con l’istituzione della corporazione dei birrai a Londra nel 1406 cominciò un processo di specializzazione che escluse progressivamente la manodopera femminile.)
- oppure erano merciaie (spezie, nastri di seta, articoli per la casa) che per far parte della corporazione dovevano essere cittadine e pagare la tassa di iscrizione. Nel caso fossero state sposate, non potevano entrare nella corporazione, a meno che il marito non si unisse a loro.
Molte merciaie vendevano le loro merci per strada, facendo del commercio ambulante, ma dovevano ottenere delle autorizzazioni municipali. A volte rifornivano istituzioni importanti come monasteri e consigli municipali, altre volte invece erano venditrici clandestine senza licenza né autorizzazione, che si dedicavano al contrabbando soprattutto all’interno delle mura cittadine.

35
Q

LA STAMPA

A

a metà strada tra impiego manuale e intellettuale, visto che molte donne ricevevano una solida formazione culturale, dovendo diventare spesso correttrici di bozze; altre invece di preparare le carte per la stampa.

1) un mondo in cui le donne sono sempre state TRADIZIONALMENTE PRESENTI perché spesso facevano parte di famiglie storicamente radicate nel settore (=mestiere in cui le competenze sono trasmesse a livello intrafamigliare ed è utile preservarle e trasmetterle attraverso dei matrimoni endogami e la fondazione di vere e proprie dinastie di stampatori)

2) importante il ruolo delle VEDOVE: ce ne furono molte editrici e stampatrici, che erano autorizzate a riprendere l’attività del marito anche dalle lettere patenti del re (come nel caso di Parigi) con cui avevano lavorato in una sorta di partenariato commerciale; spesso decidevano di non risposarsi per mantenere i diritti legati all’appartenenza alla corporazione, che rimanevano validi fintantoché non ci si risposava
a) Anna Bellavitis menziona i nomi di alcune donne a capo di imprese editoriali, che fecero successo nel mondo della stampa, come Charlotte Guillard (pubblicò numerosi trattati anti-protestanti e le prime edizioni in greco dei padri della Chiesa), Louise Giraud (a Lione era la moglie di Etienne Dolet che continuò l’attività del marito quando questi fu rinchiuso per eresia), Mary Simmons (pubblicò la maggior parte delle opere in prosa di John Milton nel Seicento), Antoinette Peronet, Sibille de La Porte
b) nel caso della corporazione dei librari di Barcellona addirittura la bottega e l’impresa potevano essere non solo ereditate dalle vedove, ma anche dalle figlie femmine non sposate e nel caso si fossero sposate, l’impresa avrebbe potuto mantenere il nome della donna

3) alcune addirittura utilizzavano la stampa per veicolare messaggi religiosamente e politicamente dissenzienti: o libelli protestanti o Mazarinades in Francia

4) a Rouen spesso stampatori e tipografi maschi polemizzavano contro un settore che preferiva assumere donne, anche se la presenza delle donne era associata ad alcuni limiti (non potevano essere elette alle cariche corporative, non potevano continuare l’attività se sposavano un uomo esterno al mestiere ma potevano riprenderla quando restavano vedove, le figlie illegittime non avevano alcun diritto). Ma anche qui c’erano attività clandestine: in negozi di merceria si vendevano libri

36
Q

COMMERCIO AMBULANTE O AL DETTAGLIO

A

Anche M.W.H. nel capitolo 3 parla di donne commercianti: le donne spesso provenivano dalla campagna per vendere i prodotti delle loro terre e delle loro fattorie sui mercati cittadini (generi alimentari), oppure merci usate, pasti pronti, erano merciaie (spezie, nastri di seta, bottoni e oggetti per la casa)

1) autorizzato e controllato dalle autorità: le donne dovevano spesso chiedere un’autorizzazione municipale; le autorità disciplinavano minuziosamente l’attività commerciale delle donne, scegliendo persino gli angoli delle strade in cui dovevano vendere o installare le proprie bancarelle.
Commerciavano ovunque: in casa, nelle botteghe, nelle bancarelle, alle finestre
2) sommerso e clandestino (contrabbando e vendita nelle case, che era proibita dalle corporazioni), perché sono riuscite a inserirsi tra gli angusti interstizi di norme spesso poco esplicite, riuscendo a sfruttare a proprio vantaggio le ambiguità normative [agency], hanno sfruttato ogni possibilità in nome dell’arte di potersi arrangiare

37
Q

BUSINESS WOMEN, DONNE CHE FANNO AFFARI PER MARE, DONNE INVESTITRICI, DONNE PRONTE AL RISCHIO, A CAPO DI IMPRESE COMMERCIALI

A

1) donne sposate «mercantesse pubbliche» che potevano sfruttare quella sorta di rivoluzione nei ruoli di genere in atto nelle aree portuali durante l’età moderna, un’età contrassegnata da un’espansione marittima ed economica che portava i mariti ad essere frequentemente lontani

2) oppure donne vedove di mercanti, che si mettevano in affari con i figli (soci itineranti) e con le nuore (di cui incorporavano la dote all’interno del capitale dell’impresa). Questo tipo di associazione si traduceva in certi casi in un contratto notarile definito “trattato”, “convenzione”, “associazione”.
Generalmente nelle città a vocazione mercantile/portuali dell’Europa del nord una percentuale tra il 5 e il 15% di mercanti più ricchi a capo di compagnie mercantili era composta da vedove.
—> Alcune si dedicavano al commercio negriero (Marie Geraldin), altre erano esportatrici di grano, altre di vino, sale, prodotti tessili, pesce (carichi di pesce partivano dal Portogallo) tessuti in seta via mare partivano invece dal Veneto, spezie, cereali, lana, porcellane.

3) donne nubili, che accettavano il rischio di fare affari per mare affidando delle merci da vendere al capitano di una nave per costruirsi una dote in caso di bei profitti

(spesso erano particolarmente autonome, erano proprietarie di navi, partecipavano alla vendita del pesce (in Portogallo), esportavano tessuti in seta e lana via mare (Veneto)

4) oppure erano ebree (le donne ebree erano particolarmente attive soprattutto nel commercio dei prodotti tessili, sia da nubili che da sposate. Un gioco importante lo sfruttò il decreto di espulsione degli ebrei dalla Spagna che determinò un afflusso di ebrei o di conversos verso gli altri paesi: non potendo contare su reti di alleanze esterne nelle nuove città, erano le donne a diventare le rappresentanti di mariti che si spostavano continuamente, ma anche loro si spostavano frequentando fiere e mettendo in piedi società per proprio conto).
Anna Bellavitis cita due nomi di donne ebree attive nel commercio e negli affari: Gluckel von Hameln e Maria de Quintanadoines (versione francesizzata del nome Marie de Quintanaduenas)

38
Q

NOMI DI BUSINESS WOMEN

A
  • Gluckel von Hameln
  • Maria de Quintanadoines (era una vedova di un mercante spagnolo, attiva a ROUEN nel Cinquecento. La compagnia mercantile era domiciliata ad ANVERSA e Marie si serviva di una rete di fattori e di intermediari per comunicare con la sede centrale, però mantenne sempre il titolo di “direttore generale”. Commerciò TESSUTI e REINVESTI’ I PROFITTI NELL’ACQUISTO DI TERRE. Molte donne appartenenti a queste famiglie ebraiche iniziarono a sposarsi con uomini francesi e l’unione si tradusse per loro nell’acquisizione di titoli nobiliari: non più solamente amministratrici di aziende mercantili dunque, ma anche di castelli, terre, signorie.
  • Madame de Maraise, figlia colta di merciai di ROUEN e moglie di un socio di Oberkampf, un grande industriale francese produttore di stoffe stampate.
    Aveva avuto un’ottima preparazione contabile, ma anche letteraria, conosceva inglese e forse anche il tedesco. Aveva spiccate capacità commerciali, sin da ragazza aveva costruito una parte della sua dote attraverso i risparmi del suo commercio.
    Mentre il marito si dedicava alla caccia e alle relazioni sociali utili agli affari, lei svolgeva tutto il lavoro di ufficio, registrando nei libri contabili a partita doppia i movimenti, entrate, uscite, annotando i nomi dei debitori, l’ammontare dei crediti che lei e il marito dovevano riscuotere e si lamentava anche nella corrispondenza che intratteneva con il socio di Oberkampf dei ritardi nei pagamenti, teneva d’occhio la situazione politica (nel 1776 era probabile un intervento militare francese a sostegno degli insorti americani) per effettuare acquisti di conseguenza, centralizzava tutte le informazioni utili all’acquisto delle materia prime necessarie alla fabbricazione di stoffa.
    E’ l’esempio di una ricerca storica che rimette in discussione le identità di genere dei mestieri.
39
Q

FONTI UTILIZZATE DA ANNA BELLAVITIS

A
  • fonti fiscali, censimenti
  • testimonianze rese ai tribunali –> rif. per le donne il lavoro non forniva un’identità professionalizzante
  • atti notarili (dichiarazioni di separazione di beni, atti di compravendita, contratti di lavoro)
  • ordinazioni municipali
  • inventari (per mostrare come le famiglie salariate impiegate nella produzione protoindustriale contribuissero a definire i contorni di quella rivoluzione dei consumi che avviene in età moderna)
  • testamenti
  • corrispondenze
  • elenchi di assistiti della carità pubblica (molte vedove vi ricorrevano)
40
Q

MERCATO NERO DEL FILATO

A

MERCATO NERO DEL FILATO che entrava in concorrenza con la produzione autorizzata, come un circuito di produzione che sfugge ai controlli (=economia di espedienti e di pluriattività)

1) a volte le maestre ricevevano quantità di seta in eccesso dalle botteghe dei setaioli e le ridistribuivano a giovani incannatrici in cerca di lavoro, che fabbricavano stoffe leggere che rivendevano sul mercato e che facevano concorrenza alla produzione autorizzata di veli; a Lione addirittura le filatrici bagnavano il filato di seta grezza che avevano ricevuto e che avrebbero dovuto restituire ai maestri, per far credere che il peso fosse uguale a quello di origine

–> I consigli cittadini scelsero di regolamentare il lavoro nero delle tessitrici, permettendo loro di fabbricare e vendere prodotti che fino a quel momento erano stati di esclusivo monopolio corporativo, suscitando spesso le rimostranze delle corporazioni maschili dei tessitori, per a) garantirsi introiti fiscali; b) soddisfare i mercanti che intendevano abbassare i costi di produzione, contro invece i maestri artigiani che intendevano mantenere alti i prezzi dei prodotti finiti

41
Q

CITTA’ INTERESSATE DALLA LAVORAZIONE DELLA SETA/DOVE ERA ATTIVA LA PRODUZIONE TESSILE

A
  • Venezia
  • Bologna
  • Parigi
  • Lione
  • Rouen
42
Q

I CASI DELLE MANIFATTURE DELLA SETA

A
  • VENEZIA: tutti i processi che caratterizzavano l’attività tessile (incannatura, binatura, orditura, filatura e tessitura) erano dominati da personale femminile, ovvero da una manodopera flessibile e a basso costo (non corporativa) che veniva impiegata anche all’interno di manifatture che in un contesto di competizione internazionale insisteva sulla produzione di tessuti di qualità. Una manodopera che si cercò di proteggere dall’introduzione di processi di meccanicizzazione della filatura; eppure la maggior parte delle operaie dell’Arte della Seta si identificavano con un altro lavoro, quello del marito;
    esistevano alcuni LIMITI prima del 1754: potevano accedere alla corporazione ma senza diventare maestre né produrre in proprio facendo collaborare membri della famiglia, ma spesso le norme erano disattese e c’erano donne a capo di botteghe e di laboratori –> dal 1754 divennero maestre (senza però poter accedere alle cariche corporative), cosicché i mercanti-imprenditori potessero accedere direttamente alla manodopera femminile senza passare per i maestri tessitori

IL CASO DI BOLOGNA: nella manifattura serica apprendisti e maestri tessitori producevano drappi di seta cotta (broccati), mentre le donne erano incaricate di tessere i veli a domicilio e di riutilizzare gli scarti delle operazioni di trattura, torcitura e tessitura e di mescolarli ad altre materie prime per ottenere calze o grembiuli; dal Settecento il numero delle maestre aumentò considerevolmente (dal 7,5% al 60 e passa%) anche come conseguenza del riconoscimento assunto dalla produzione domestica, meno costosa rispetto a quella in bottega

IL CASO DI LIONE: le mogli dei lavoranti nella manifattura della seta erano autorizzate a possedere un telaio e a contribuire alla tessitura (fase più importante della produzione della seta); la Grande Fabrique (ovvero la comunità dei mastri mercanti e dei mastri operai fabbricanti di stoffe d’oro) dava lavoro a circa 35mila impiegati, tra cui numerose bambine sottopagate e sfruttate

IL CASO DI ROUEN: IL CASO DI ROUEN: esistevano maestre di botteghe (apprendiste che avevano completato il periodo di formazione o vedove che avevano ereditato dal marito il privilegio di appartenere a una corporazione).
C’erano corporazioni delle BERRETTAIE e delle FABBRICANTI DI LINO. aveva il monopolio del commercio all’ingrosso e al dettaglio dei capi di cotone e quello dei capi in lino, dal cui controllo e commercio erano esclusi i parenti maschi delle donne.

IL CASO DI PARIGI: in realtà qui non parliamo di seta; nel Seicento nacque a Parigi, per volere di Colbert che voleva l’incorporazione di tutti i non incorporati, la CORPORAZIONE DELLE SARTE DI PARIGI, per
1) promuovere l’industria tessile
2) incentivare la riscossione delle imposte sulla produzione manifatturiera.

Fu il RICONOSCIMENTO UFFICIALE DI UNA MANSIONE CHE LE DONNE AVEVANO SVOLTO IN MANIERA SOMMERSA PER MOLTO TEMPO, facendo spesso concorrenza alla stessa produzione dei sarti.
Non tutte poterono entrare per l’elevata tassa di ammissione e alcune continuarono a esercitare il mestiere in famiglia; erano presenti ancora molti vincoli: non potevano assumere lavoranti uomini e potevano confezionare abiti solo per donne