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Flashcards in Lezione P Deck (11)
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0
Q

Cosa può indurci a sceglier il più adeguato campione biologico da prelevare per poter studiare un determinato virus ?

A

Per studiare i virus bisogna prima di tutto raccogliere il campione biologico dove si presume possa essere contenuto, evitando eventuali contaminazioni esterne, previa identificazione della provenienza del campione stesso. Molto funzionale a questo tipo di indagine risulta essere l’associazione del virus alla relativa sintomatologia, in quanto virus diversi sono causa di malattie diverse.

1
Q

Che caratteristiche deve avere una cellula affinché possa essere colonizzata da un determinato virus ?

A

La cellula deve essere sensibile e permissiva. Questo significa che riferendosi alla sensibilità il virus deve possedere sulla propria superficie l’antigene che deve essere riconosciuto dalla cellula considerata. Gli antigeni possono essere glicoproteine se si considera un virus che possiede envelope oppure proteine se si considera un virus che possiede solo il capside.
Affinchè un virus infetti una determinata cellula essa deve essere permissiva, tale evento cellulare si manifesta durante la fase S del ciclo cellulare in quanto sono presenti vari fattori trascrizionali che catalizzano una serie di modificazioni post-traduzionali e post-­trascrizionali (modifica di mRNA e proteine) grazie ad eventi che ne modificano le cariche elettriche (fosforilazione/ deforilazione).

2
Q

Che differenza c’è tra l’Rna polarità positiva e polarità negativa di un virus ?

A

L’RNA presente all’interno del capside virale può essere a polarità positiva: ossia avente capping 5’ (necessario per l’assemblaggio delle sub unità ribosomiali) e coda di Poli-­A 3’ (avente funzione protettiva nei confronti delle RNasi cellulari e la cui lunghezza riflette la vita dell’mRNA stesso) e direttamente traducibile.
L’RNA virale a polarità negava non presenta né capping né coda di Poli-­A, ciò genererebbe la degradazione dopo il processo di uncoatig. Dunque un virus a polarità negava deve contenere nel proprio capside una RNA polimerasi RNA-­dipendente che replichi immediatamente l’Rna a polarità negativa prima e affinché non venga degradato.

3
Q

Quale tecnica microscopica consente di apprezzare le caratteristiche strutturali dei virus ? Che particolarità presenta il virus Ebola ?

A

Il microscopio è quello elettronico che utilizza un fascio di elettroni e avente un potere risolutivo capace di visualizzare anche i virus, ovviamente non tramite un obbiettivo bensì tramite un monitor. Infine la microscopia elettronica è utile ad identificare la morfologia, la localizzazione e particolari strutture (capside,menvelope,mecc…).
Il virus Ebola è uno dei virus che esula dalle consuete strutture del capside (elicoidale ed icosaedrica) in quanto presenta una struZura complessa.

4
Q

Come si studiano le caratteristiche biologiche e metaboliche dei virus ? Che cosa sono le “colture primarie” ?

A

L’osservazione semplice del virus ci consente di comprenderne sia la morfologia che la struttura, ma non il metabolismo virale, per fare ciò bisogna che essi vengano coltivarlo su colture cellulari.
Le colture possono essere “colture primarie”, ovvero costituite da cellule provenienti da tessuti; i limiti di queste cellule sono la specializzazione cellulare, la mortalità, la dipendenza dai fattori di crescita, l’inibizione da contatto mediate dalle giunzioni cellulari e l’apoptosi.
Un’altra tipologia di coltura cellulare si avvale, invece, di linee cellulari che derivano da cellule tumorali o, più in generale, da cellule immortalizzate, non dipendenti dai fattori di crescita e da inibizioni da contatto che possono essere conservate per lunghi periodi. I terreni di coltura utilizzati sono contenuti in vasche, dove è presente siero fetale di vitello a scopo detossificante, ed hanno lo scopo, quindi, di mantenere in vita la cellula ospite, sono ricchi di nutriente, hanno un pH di 7,4 e sono immersi in soluzioni isotoniche, tutte condizioni necessarie al metabolismo cellulare. Una volta preparato il terreno di coltura si inocula il materiale biologico contenente il virus, successivamente esso verrà incubato a 37°C e 5% di anidride carbonica per 24-­48 ore, in seguito si osserverà l’effetto citopatico prodotto dal virus stesso, discriminando virus citolitici (infezioni acute) da virus persistenti (infezioni croniche). In alcuni casi le cellule infette possono formare dei sincizi, evitando l’apoptosi con il conseguente arresto del ciclo cellulare in fase S, in altri casi, invece, la vera e propria trasformazione cellulare (che spesso evolve in cancerogenesi).

5
Q

Che relazione c’è tra la sintomatologia clinica di un virus e la reazione del sistema immunitario ? Cosa hanno in comune le tecniche serologiche e le indagini in microscopia ottica nello studio dei virus ?

A

La sintomatologia clinica è data dall’interazione del microrganismo con il sistema immunitario che innesca una serie di cascate enzimatiche. Parlando di reazioni sierologiche, non tutti i virus posseggono la capacità di provocare un effetto citopatico, pur replicandosi all’interno delle colture cellulari, né ad occhio nudo né mediante l’uso di microscopi ottici. Il microscopio o]co, nel caso in cui il virus presentasse effetto citopatico, non consentirebbe di osservare il virus bensì di visualizzare i danni provocati a livello intracellulare (“osservazione del virus indiretta”).
Il medesimo evento si verifica per quanto concerne le reazioni sierologiche, in quanto anch’essa è una ricerca indiretta del virus poiché lo scopo di tale reazione consiste nell’evidenziare un movimento anticorpale, ovvero di un anticorpo specifico all’interno del paziente rivolto verso un determinato microrganismo. Grazie alle reazioni sierologiche, inoltre, è possibile ricercare gli antigeni virali all’interno delle colture cellulari.

6
Q

Se si vuole individuare un virus che non ha effetto citopatico a cosa si può ricorrere ?

A

Tra le reazioni sierologiche si può utilizzare l’immunofluorescenza per la ricerca di antigeni di quei virus che non hanno effetto citopatico ma che presentano appunto l’antigene sull’envelope o sul capside. Se vengono utilizzati anticorpi specifici verso questi antigeni, la loro interazione genererà la fluorescenza, osservabile mediante un microscopio ottico a fluorescenza (metodica utilizzato per i virus che non presentano effetto citopatico).

7
Q

In che altro modo si possono usare le colture cellulari per studiare i virus ? Come si può quantificare un virus tramite colture cellulari ?

A

Per altri virus, invece, si può andare a valutare la capacità che possiedono di modificare alcune superfici cellulari, ad esempio consentire alla cellula di agglutinare globuli rossi (in questo caso si utilizza l’emoagglutinazione) evento causato dal virus influenzale. Le colture cellulari non hanno solo lo scopo di verificare o meno la presenza di un virus ma anche di quantificarlo mediante la conta delle placche di lisi, utilizzando una quantità nota di campione iniziale che si va ad inoculare, per poi contare il numero delle placche (ciò avviene per la conta dei batteri in un terreno di coltura solido, maggiore è il numero delle colonie e maggiore sarà il numero di batteri).

8
Q

Perché la variabilità del genotipo e del fenotipo richiedono tecniche d’analisi molecolari ? Quando si può parlare di “speciazione”?

A

Nel caso in cui si voglia studiare il genoma e le relative proteine codificate (proteine transattivanti e trasformanti) non bisogna analizzare il fenotipo bensì il genotipo.
Le caratteristiche fondamentali del materiale generico sono due: la stabilità, ovvero si deve trasferire stabilmente, e la variabilità (crossing over, polimorfismi) che consente la modificazione del corredo genetico originario necessaria per adattarsi (nel caso dei batteri antibiotico-­resistenza).
Il virus dell’influenza ogni anno subisce delle modificazioni a livello degli antigeni superficiali (variazioni geniche) che consentono di sfuggire agli eventuali anticorpi posseduti dall’ospite, oppure modificazioni trascrizionali (es. Streptococco Pneumoniae che non produce capsula in terreni di coltura in quanto superfluo per la mancanza della risposta immunitaria). A volte la variabilità non coinvolge singoli geni ma l’intero genoma, in questo caso si assiste alla speciazione, ovvero alla formazione di nuove specie, quindi un nuovo fenotipo. Queste informazioni si possono ottenere utilizzando tecniche di microbiologia molecolare. Le metodiche di microbiologia molecolare comprendono l’estrazione del materiale genetico presente all’interno delle colture cellulari dove il virus è stato inoculato.

9
Q

Quali sono le caratteristiche fondamentali della trascrittasi inversa ? Che tipo di attività ribonucleasica possiede ? Quale può essere considerato un analogo enzimatico umano di questo enzima ?

A

Un importante contributo a queste metodiche è stato dato dall’identificazione della trascrissi inversa, l’enzima che ha rivoluzionato il dogma centrale della biologia (DNA-­‐>RNA-­‐>proteine). Grazie a questo enzima si passa dall’RNA al DNA, all’RNA nuovamente ed infine alle proteine; un analogo di questo enzima nell’uomo è la telomerasi. Attraverso la trascrissi inversa si riesce ad ottenere il DNA, essa possiede anche l’attività ribonucleasica non di di tipo A (ovvero in grado di degradare gli RNA a singola catena) MA di di tipo H (capace di tagliare ibrido RNA-­DNA). Le prime metodiche prevedevano il taglio dell’RNA mediante enzimi di restrizione, includendole in materiale genetico plasmidico.

10
Q

Come si usano le sonde a DNA e il sequenziamento nucleotidico nell’ambito delle analisi di laboratorio ? Fino a che percentuale di variabilità genomica due virus sono considerati della stessa specie ? Che percentuale massima di variabilità genomica c’è tra due sottotipi virali ?

A

L’identificazione del materiale genetico di interesse prevedeva la creazione sintetica di segmenti di DNA complementari definiti sonde. Grazie a questi studi di microbiologia molecolare si determinano i genotipi che presentano caratteristiche patogenetiche differenti (più o meno aggressivi). Ogni genotipo possiede una variabilità generica inferiore al 30%, se maggiore si parlerebbe di altra specie. All’interno dei genotipi vi sono i sottotipi che posseggono una variabilità genomica dall’8%. al 15%. Tutte queste informazioni avvengono grazie alla genotipizzazione che avviene attraverso il sequenziamento.