obesità Flashcards

1
Q

Obesità definizione

A

L’obesità è una condizione, che presenta una componente clinica caratterizzata da eccesso di peso corporeo legato ad un accumulo abnorme di tessuto adiposo, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute.
L’obesità rappresenta un importante e crescente problema di salute pubblica sia per le complicanze mediche che spesso l’accompagnano (diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari e respiratorie,
cancro ) sia per le complicanze psicologiche e l’effetto negativo sulla qualità della vita.
E’ una malattia cronica in quanto gli interventi terapeutici, quali dieta dimagrante e modificazione dello stile di vita, difficilmente danno un miglioramento stabile, infatti spesso, col tempo, il paziente ritorna alle sue
vecchie abitudini cancellando i risultati ottenuti: c’è quindi quasi sempre una RECIDIVA.

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2
Q

Epidemiologia obesità

A

Ha una prevalenza molto elevata, tanto da indurre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ad utilizzare la definizione di” pandemia “_ Si tratta di una malattia a eziologia multifattoriale.
Soprattutto, questa condizione morbosa è un fattore di rischio elevato per le malattie metaboliche, quindi per il diabete, e dunque si accompagna a un aumentato rischio di morbidità e mortalità.

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3
Q

Definizione e quantificazione obesità

A

Ci sono varie formule per quantificare Pobesità. La formula più semplice è quella di Broca:
~ Per il maschio si calcola: Altezza (in cm) - 100
- Per la femmina si calcola: Altezza (in cm) - 104
Son chiaramente delle formule approssimative.
Poi abbiamo la formula di Lorentz, ma quella che viene più utilizzata, di routine, sia nella clinica sia negli studi epidemiologici, è quella che ha un’utilità pratica immediata che è il BMl (Body Mass Index).

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4
Q

BMI

A

ll BMl calcola l’indice di massa corporea e si ottiene:
Peso (kg)/ altezza (m2)
Tramite questa formula si ottengono delle classi per cui:
0 un soggetto normale ha un BMl compreso tra 18 e 24,9
I un soggetto sovrappeso ha un BMl compreso tra 25 e 29,5.
I un soggetto che presenta valore risultante dalla formula minore a 18 è sottopeso.
0 Un soggetto obeso presenta un BMI superiore a 30, chiaramente nel caso in cui si abbia un BMI
corrispondente a 40 ha un’obesità molto grave.
Quindi abbiamo delle classi con andamento vario: moderato, elevato, molto elevato.
ll BMl si può applicare nella clinica, in gran parte delle situazioni, ma la determinazione del BMl NON la
possiamo fare: in gravidanza, negli stati edematosi, di scompenso cardiocircolatorio, nei culturisti, in quanto verrebbero dei valori sballati dati da un aumento della massa magra e non di quella grassa.

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5
Q

Ulteriore parametro nella quantificazione dell’obesità

A

L’altro parametro utilizzato nella quantificazione dell’obesità è rappresentato dalla circonferenza della vita,calcolata tramite un semplice metro da sarto. Anche qua ci sono dei cut-off che sono 80 cm nelle donne e 102 cm nel maschio (sono stati abbassati in seguito).

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6
Q

Perchè si misura la circonferenza della vita?

A

Perché la misurazione è un surrogato del grasso viscerale, per cui maggiori sono questi valori, maggiore è l’entità del grasso viscerale. ln genere il tessuto adiposo è maggiormente rappresentato nella femmina, dove corrisponde a circa il 30% del peso corporeo normale, mentre nel maschio si aggira intorno al 20%. Questi son criteri adottati che poi prenderemo quando si parlerà delle sindromi metaboliche.

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7
Q

Classificazione dell’obesità in base alla distribuzione del grasso,

A

che ha valore sulla prognosi. In un soggetto normale, che è concretamente ‘fit’, in ottima salute, il tessuto adiposo contribuisce per il 20% al peso corporeo, nel maschio, mentre nella femmina per il 30%, ed è sempre stato, specialmente nella femmina un elemento estetico importante (sl. 11).

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8
Q

Tipi di obesitàI

A

In ogni caso, in generale l’obesità viene definita androide, ginoide o mista Il VHR è il rapporto tra vita e fianchi, utilizzato in passato e dava un’idea della disposizione del grasso. Se questo rapporto è in favore dei fianchi è chiaro che abbiamo un obesità di tipo ginoide, poi chiaramente ci sono delle situazioni intermedie. Queste obesità sono spesso legate alla diversa attività enzimatica che è presente nella donna e nell’uomo, per esempio la lipoproteinlipasi che
nella donna è maggiormente rappresentata a livello di glutei e fianchi,mentre nel maschio la ritroviamo nell’addome.

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9
Q

l_‘obesità androide

A

quella a mela-›, cioè quella centripeta, caratterizzata
dall’accumulo di grasso a livello addominale, che vediamo anche nel Cushing,
anche detta tronculare [accumulo di grasso u live/lo del tronco NdR] legata all’accumulo di grasso sottocutaneo, ma anche viscerale.

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10
Q

L’obesità ginoide, o a pera,

A

è sostanzialmente rappresentata da tessuto
adiposo sottocutaneo ed e caratterizzata dall’organizzazione del grasso a
livello della reg. gluteo femorale

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11
Q

CONDIZIONI MISTE

A

Poi, ovviamente abbiamo delle condizioni ‘intermedie’, laddove vi e
accumulo di grasso a livello gluteo femorale e addominale.

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12
Q

Da che cosa sono date le differenti distribuzioni del grasso

A

Ci son quindi differenze di genere, per quanto riguarda la distribuzione del grasso, date da:
ø Il Testosterone, ormone che fa aumentare tutto l’apparato muscolare, è una sostanza dopante se presa in eccesso. Riduce la massa adiposa, specialmente nella parte anteriore nel corpo (addome).
AZIONE DEGLI ESTROGENI Gli Estrogení, che oltre ad aumentare l’accumulo dei trigliceridi, fanno anche aumentare il numero degli adipociti nella zona gluteo-femorale.

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13
Q

dismorfismo sessuale

A

ll dìsmorƒismo sessuale si manifesta soprattutto con la pubertà ed è legato all’azione della lipoproteinlipasi, che è un enzima endoteliale, che scinde i trigliceridi in glicerolo e acidi grassi monoesterificati. Quindi questi acidi grassi vengono captati a livello della reg. gluteo-femorale e dell’addome per poi essere risintetizzati
come trigliceridi.
Quindi la funzionalità della lipoproteinlipasi, che è il principale attore dell’accumulo di grasso, è nel maschio maggiore negli adipociti addominali, nella femmina fertile è maggiore nella regione gluteo- femorale.

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14
Q

Cosa succede nella donna post menopausa

A

Nella donna, l’arrivo della menopausa, la carenza di estrogeni, comporta un cambiamento dell’attività di quest’enzima, per cui l’attività della lipoproteinlipasi è ridotta a livello del gluteo, ma aumentata a livello
dell’addome e questo anche a causa della riduzione del numero degli estrogeni.
Mentre gli estrogeni in condizione fisiologica, distruggono, antagonizzano i recettori degli androgeni, nella menopausa, mancando gli estrogeni, prevale il recettore degli androgeni e questo comporta il cambiamento della morfologia del grasso.
E infatti con la menopausa il grasso nella reg. gluteo~femorale si riduce, e dawero molte donne in seguito a
menopausa ricorrono alla chirurgia estetica, soprattutto perchè c’è anche un accumulo di grasso a livello della pancia.
E’ una situazione di relativo iperandrogenismo dimostrata anche dal quadro clinico della sdr dell’ovaio policistico, caratterizzato da irsutismo, perchè c’è da parte delle ovaie ( con delle cisti periferiche che non son altro che follicoli atresici ripieni di androgeni) produzione di androgeni che awiene perchè c’è una
carenza del FSH e quindi deII’aromatasi.
In questo modo aumenta la quantità di testosterone e queste donne hanno un’obesità di tipo maschile,
addominale.

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15
Q

Quantificazione obesità

A

Cosa fare quando si ha obesità in un paziente?
1, innanzitutto calcolare il BMI,
Z, valutare la disposizione del grasso e la presenza di comorbidità
3. laddove possibile valutare l’eziologia di questa obesità.
Come si può quantificare l’obesità oltre che con il BMI?
Ci sono altre metodiche utilizzabili, ma più utilizzate nella ricerca che nell’epidemiologia, come:
0 la plicometria, che calcola lo spessore delle pliche cutanee. In genere queste pliche vengono calcolate nel tricipite, nella regione soprascapolare e iliaca. Lo spessore della plica cutanea è un indice di entità dell’accumulo adiposo, tuttavia è un esame operatore dipendente e ci possono essere degli errori grossolani.
0 L’altra metodica che viene utilizzata è una bioimpeclenzometria nel senso che si basa sul principio che la massa magra è un miglior conduttore della corrente rispetto alla massa grassa, quindi misurando la resistenza al passaggio di una corrente debole si può tramite formule calcolare la
quantità del grasso semplice. Si tratta di una metodica abbastanza semplice , però è difficilmente riproducibile ed è poco accurata nel grosso obeso.
0 Altre metodiche sono rappresentate dal DEXA, si tratta dello stesso apparecchio atto a misurare la densità ossea, che dà una stima di quella che è la massa grassa e magra nei vari distretti corporei,
quindi oltre a darci l’entità della massa grassa ci disegna la disposizione topografica.
I Il Gold Standard sarebbe la TC e la risonanza. Anche perchè esiste una correlazione diretta tra la crf della vita e il grasso viscerale dimostrato dalla TAC. E quindi questa semplice misura ci dà una indicazione abbastanza precisa dell’entità del grasso viscerale, e vedremo che sarà un parametro introdotto nella definizione della sdr. Metabolica. Però si tratta di metodiche dispendiose e non applicabili nella routine.

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16
Q

Fisiologia e fisiopatologia deii’accumulo di grasso

A

ln condizioni normali la bilancia rimane costante se all’apporto energetico corrisponde un uguale consumo, in questo ambito va controllata la genetica e il tipo di dieta a cui chiaramente vanno aggiunti esercizio fisico, metabolismo basale e termogenesi.
I Metabolismo basale corrisponde a circa il 66% e SP8-ta E”e’“““°a 2’“”’ l°°’l
sono le varie calorie usate dalle cellule per svolgere le proprie attività fisiologiche.
Termogenesí è il dispendio energetico determinato dall’assunzione degli alimenti, specialmente proteine, e dall’esposizione al freddo, infatti abbiamo ancora delle vestigia di grasso bruno, il dìsaccoppiamento, quindi produzione di calore
anziché ATP (14%) Termogenesi freddo, Influenze E
(=. 14%) psichiche, sostanze termogenetiche Attività fisica, che dipende dalla durata e dal tipo di esercizio fisico.Fermo restando che il metabolismo vitale e più meno o fisso e che la % del dispendio energetico indotto dagli alimenti è piccolo, il 20% è legato ad attività fisica per cui si capisce benissimo che quando vi è uno
sbilancio, uno ingrassa.

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17
Q

Eziopatogenesi obesità

A

L’obesità è una malattia che ha una componente genetica circa del 30- 40%, e questo è dimostrato dal fatto che se mettiamo due gemelli monocoriali, tutti e due poi tendono ad ingrassare, se sono predisposti; il resto è legato a fattori ambientali:
I sedentarietà, “ la presenza di zii, nonne ecc. che iniziano dai primi anni di vita del bimbo a rimpinzarlo, e ne fanno aumentare non solo il volume, ma anche il numero
degli adipociti. E avremo quindi un’obesità iperplastica, che nasce nel bimbo, mentre quella ípertrofica è più tipica dell’adulto. Però è anche vero che nelle grosse obesità gli adipociti possono riprodursi e dunque esistono delle forme miste.
Esiste la teoria che tra i vari individui esista l’adipostato, che è il set-point, probabilmente legato alla leptina, in base al quale il centro della sazietà viene attivato a livelli diversi; e questo è un fatto genetico che non può essere modificato.
Nel soggetto obeso, però, spesso c’è una leptino-resistenza per cui il set-point, lo soglia, è alterato e spostato verso l’alto, ciò vuol dire che l’introito alimentare dev’essere maggiore rispetto a quello di una
persona normale per sentire la sensazione di sazietà.
A livello centrale questo si traduce, una volta alterato l’adipostato, con una stimolazione da parte del nucleo arcuato di vari neurotrasmettitori che agiscono o stimolando il centro della fame 0 inibendo il centro della sazietà,
Gli stimolatori dell’appetito son rappresentati essenzialmente dal neuropeptide y, glucocorticoidi, oppioidí,
GABA, grelína, mentre gli inibitori sono rappresentati da serotonina, leptina, catecolammine e dalla CCK
ma non entriamo nel merito.
Quindi quando mangiamo e siamo in condizioni fisiologiche, da stomaco, intestino, eccetera si liberano
questi ormoni, sostanze oressígene o anoressigene che vanno a stimolare il nucleo arcuato causando i loro
effetti. Da ricordare è che quelle stimolanti l’appetito sono in particolare quelle che riguardano il recettore
perla proopiomelanocortina.
In sintesi, l’effettore terminale è sazietà o fame e il risultato è dato dal bilanciamento o dallo sbilanciamento
di tutte queste sostanze, che può esser dovuto oltre che a stress nervosi, anche a stimoli che arrivano dalla
periferia, quindi da stomaco, da ormoni gastrointest, ecc.

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18
Q

Genetica obesità

A

Parlando delle forme di obesità:
I la maggior parte sono poligerliche, nel senso che possono essere causate da polimorfismi, alterazioni, mutazioni geniche come ad esempio mutazioni del recettore 63 adrenergico, il quale riduce la quantità di grasso in quanto impegnato nella stimolazione della lipolisi. Son state riscontrate, poi, anche mutazioni del gene della termogenina, che è quello del grasso bruno. Son diversi quindi,i geni che son stati studiati. Tutti questi fattori sono implicati nella regolazione dell’assunzione degli alimenti, del dispendio energetico. Su questo pabulum sarà poi l’ambiente a dare il colpo di grazia.
Le forme di obesità associate a sindrome sono associate alla sdr del Prader Willí, polìfagia, alla sdr. di Klinefelter ecc..
I Esistono forme monogeniche dell’obesìtà, rarissime, che son rappresentate da:
> deficit di leptina (mancanza agente sintetizzante la leptina o mancanza del recettore) per cui la leptina non agisce a livello del nucleo arcuato e non viene
conseguentemente inibito il senso della sazietà, causando polifagia e poi c’è il ritardo
della pubertà. In questo caso, l’utilizzo della leptìna ricombinante può modificare il qu.clinico.
> quelle causate da mancanza della COMT oppure alterazioni del recettore delle MC4R sul quale agisce l’MSH, che è un fattore inibente. La propiomelano-
cortina agisce sul centro oressigeno, essendovi una mutazione riguardante il suo recettore, manca lo stimolo al centro della sazietà.
Son forme rare, ma sono le uniche documentate da carenza del gene.
Le forme MONOGENICHE son rarissime,le altre son poligeniche, e poi
chiaramente abbiamo le forme legate ad abitudini alimentari.

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19
Q

quadro clinico obesità

A

0 Maggiore incidenza delle patologie cardicwascolari, perche c’è una dislipidemia aterogena, ipertensione e quindi si ha un aumento delle cardiomiopatie ischemiche (angina, infarto, ictus cerebrale);
0 Diabete di tipo 2: in questa patologia è maggiormente implicata l’obesità viscerale.
0 Steatosi epatica: come conseguenza dell’iperinsulinismo , che è spesso associata a calcolosi della colecisti, gotta.
I Disturbi del|’umore: infatti spesso il paziente, specialmente se è donna, non è soddisfatto del proprio aspetto fisico.
I Disturbi del sonno: poiché spesso si associano apnee notturne, acidosi respiratoria.
0 Bulimia
0 Osteoartrite: abbiamo un aumento dell’incidenza di osteoartrosi da carico specialmente a livello
delle articolazioni
v Aumento incidenza delle neoplasie.
- Nella donna aumenta il rischio di carcinoma dell’utero e della mammella, in quanto le donne obese sono iper-estrogenizzate, essendo il grasso ricco di aromatasi
- mentre nell’uomo abbiamo un aumento di incidenza del cancro al colon, probabilmente dovuto alla tipologia di alimentazione.
Vecchie ricerche epidemiologiche hanno chiaramente dimostrato che nei pazienti in sovrappeso è
aumentata l’insorgenza del diabete di tipo 2, come pure un aumento della circonferenza in vita
dell’individuo è direttamente correlato a maggior rischio di sviluppare il diabete di tipo 2.
La concentrazione di NEFA è maggiore negli obesi rispetto ai soggetti normopeso.
Questi dati hanno una loro importanza perché il grasso sottocutaneo e viscerale sono due tessuti diversi dal punto di vista morfologico e funzionale, in quanto il grasso viscerale è metabolicamente più attivo di quello
sottocutaneo, ha una maggiore concentrazione di recettori B3, che sono meno sensibili all’azione anti-lipolitica dell’insulina, ciò vuol dire che il metabolismo è più attivo e hanno una lipolisi maggiore.
Questa lipolisi aumenta la liberazione di trigliceridi, che si scindono in glícerolo e acidi grassi che vanno al
fegato, e che da una parte determinano l’insulino-resistenza per cui l’insulina bypassa un po’ il fegato e
quindi abbiamo una aumento delle concentrazione di insulina nel sangue, dal|’a|tra, il fegato si trova nella condizione di doverli smaltire e quando viene saturato il meccanismo del metabolismo degli acidi grassi ([3-
ossidazione), si ha la sintesi di trigliceridi e la formazione di VLDL, ricche di trigliceridi, i quali dalla periferia
vengono poi eliminati e si formano le LDL piccole e dense che sono aterogene.
L’accumulo dei trigliceridi a livello epatico e l’insulino-resistenza comportano la steatosi epatica, ossia
l’accumulo di grasso a livello del fegato. Steatosi epatica che, nelle forme gravi, può dare steatoepatite,
quindi necrosi e anche cirrosi, chiamata cirrosi criptogenetica.

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20
Q

Quadro Metabolico obesità

A

Col tempo c’è stata una rivalutazione della funzione del tessuto adiposo, infatti non si tratta solo di un tessuto di deposito, in quanto i suoi adipociti e lo stroma costituiscono un’importante sede di produzione e liberazione di sostanze.
La più importante è la leptina, però sono almeno 250 le sostanze prodotte, che son state individuate, e molte di queste hanno un ruolo importante nello sviluppo dell’arterosclerosi e di altre patologie
cardiovascolari.

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21
Q

ostanze coinvolte nella patogenesi dell’obesità

A

Alcune di queste sono:
-Citochine: parliamo per esempio della il-6,
responsabile della PCR e quindi nella flogosi
subclinica che si osserva nei cardiopatici con
obesità.
«Adiponectina: si tratta di un ormone protettivo,
cioè insulino-sensibilizzante. Riduce il TNFalfa , le
molecole di adesione per l’endotelio, inibisce la
aterosclerosi stimola produzione d NO, riduce la
apoptosi delle cellule endoteliali.
Ridurrebbe il rimodellamento ventricolare da
overioad pressorio o da angotensina ll.
Proteggerebbe la infiammazione allergica polmo-
nare: PO avrebbe un aumento della adipnectina
marcatore di prognosi infausta.
~ Resístina: ormone anti-ínsulinico
- Proteine del VAS: produce renina e quindi va a stimolare il sistema renina-angiotensina, quindi può
essere coinvolto nell’aumento della pressione.
- Fattori di crescita, es. lGF1.
- Abbiamo anche numerosi recettori. Nel tessuto adiposo viscerale abbiamo un enzima che si chiama
11-ß~idrossisteroidodeidrogenasi che aumenta la sintesi locale del cortisolo, e quindi quando il grasso viscerale aumenta tutte queste sostanze vengono aumentate, per cui si crea un circolo vizioso che
porta insulino-resistenza e tutto il resto. Si parla in questa condizione di CUSHING VISCERALE.
L’espansione del tessuto adiposo determina effetti metabolici sfavorevoli, perché l’espansione di adipociti e stroma porta a ipersecrezione di lipoprotein-lipasi, il-6, TNF oi, e quindi all’infiammazione subclinica, che è
uno dei fattori riconosciuti come favorevoli dell’arterosclerosi. Infatti la PCR, mossa nell’obeso ha un significato prognostico negativo perché indica un infiammazione subclinica. Importante ormone prodotto dal grasso viscerale è la adiponectina la quale è insulino-sensibílizzante, essa
però diminuisce la sua concentrazione quando aumenta il grasso viscerale perché la sua secrezione è
bloccata dalle citochine prodotte in eccesso dal grasso viscerale.
L’accumulo di grasso viscerale causa:
o Aumento di rischio di trombosi per attivazione inibitore del plasminogeno.

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22
Q

L’accumulo di grasso viscerale causa:

A

Aumento di rischio di trombosi per attivazione inibitore del plasminogeno.

  • Aumento degli acidi grassi della resistina che possono dare insulino-resistenza
    0 Produzione di dislipidemia arterogenica e quindi diabete di tipo 2
    Quindi nel complesso a seguito de|l’aumento del grasso viscerale si ha una iperproduzione di ormoni, ma
    cosa più importante vengono a mancare quei fattori protettivi prodotti generalmente dal tessuto adiposo,
    situazione che, di conseguenza, porta a comparsa di aterosclerosi, insulino-resistenza, ipertensione, e quindi
    situazione aterogena.
    ll grasso sottocutaneo, a differenza di quello viscerale, può portare sì alla aterosclerosi, ma in maniera molto
    ridotta.
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23
Q

Sindrome metabolica

A

Ammesso che esista, tutto ha origine dal lavoro del prof. Reaven, risalente alla fine degli anni ‘80, che definiva sindrome X o sdr. Metabolica la insulino-resistenza, Piperglicemia, l’ ipertensione, bassi livelli di HDL.
ln realtà questa associazione di segni e sintomi non è un’invenzione perchè che i pazienti grassi, pletorici,
siano predisposti a diabete e malattie cardiovascolari si sapeva da tempo.
Comunque sia, i criteri per definire la sdr. Metabolica son stati oggetto di molte dispute, in questi ultimi
anni, tra le varie società scientifiche, diabetologiche, endocrinologiche americane e europee
e quindi si è cercato sempre più di ridurre il numero di alterazioni di tipo morfologico per fare la diagnosi.
In realtà si parla di sdr. metabolica quando si ha una obesità prevalentemente dì tipo viscerale, quindi una
crf della vita che è superiore ai 102 nel maschio.

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24
Q

l criteri per definire un paziente con sdr. dismetabolica sono questi:

A

obeso con obesità viscerale e quindi una crf maggiore di 102
- avere un diabete di tipo 2, o comunque minore tolleranza al glucosio ,
- aumento dei trigliceridi,
- ridotte HDL
- ipertensione arteriosa.
- (Alcuni considerano anche un’iperuricemia, ossia la gotta, tra le condizioni)
- LDL pd aumentate*.
*Aumentata sintesi epatica di apo B,attívità lipasi epatica aumentata, aumentato arrichimento di trigliceridi nelle LDL.
Le LDL pd hanno emivita maggiore (per ridotta aƒƒinità con il loro recettore),sono facilmente riconosciute dai recettori
scavenger dei macroƒagi contribuendo alla formazione delle cellule schiurnose, sono facilmente ossidate (attivazione ƒlogistica dellfiendote/io.
Si tratta quindi dell’associazione di più parametri che insieme sono fortemente favorenti aterosclerosi.
Con 3 di queste alterazioni si parla di sdr. metabolica.
Nell’insieme le alterazioni a carico del metabolismo lipidico vengono indicate col termine di dislipidemia aterogena.
Per sdr metabolica intendiamo la associazione di più alterazioni biochimiche o cliniche che si presentano
con maggiore prevalenza rispetto alla casualità in un dato individuo.
Molti mettono in dubbio l’esistenza di questa sdr., certo è che il concetto di sdr metabolica identifica
soggetti a rischio di diabete mellito di tipo 2 e per malattie cardiovascolari.
La SM è più predittiva per il DM (RR 3.1~5) che per le CVD (rr 1,7-1,9). La alterata glicemia a digiuno di per séè predìttìva di DM, Va tuttavia sottolineato che il DM è di per sé un fattore di rischio maggiore per CVD
conferendo un RR tra 2 e 4! %0% o Z/3 delle morti nei pazienti con DM sono legati a CVD. Quindi gli studi
vanno valutati nel lungo tempo di follow~up: in tal senso la sindrome metabolica diventa un importante
fattore di rischio indipendente dagli altri fattori di rischio ben codificati, come il fumo, ipertensione, diabete
e colesterolemia.
La conoscenza di questa sindrome deve far scattare la prevenzione e la terapia, nel medico, perchè la
presenza di obesità viscerale, trigliceridi alti, e ipertensione fa si che il rischio relativo per malattie
cardiovascolari e diabete mellito sia estremamente elevato.

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25
Q

Terapia obesità

A

digiuno, dieta

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26
Q

Diabete mellito

A

ll diabete mellito è quella condizione che si verifica in presenza di un alterazione del metabolismo glucidico.

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27
Q

Criteri diagnostici diabete mellito

A

i di tale patologia sono associati ai livelli di glucosio ematico a digiuno (FPG):si fa riferimento a quelli che sono ì parametri in condizioni fisiologiche, nei soggetti con intolleranza al glucosio
e quelli per cui si può parlare di diabete.
I FPG < 100 mg/dl (< 5,6 mmol/I) -9 normale glicemia a digiuno;
0 100 mg/dl 125 mg/ dl (5,6mmol/I 6,9 mmol/I) -) alterata glicemia a digiuno; 0 FPG 2 126 mg/dl (2 7,0 mmol/I) -9 diagnosi prowisoria di diabete mellito
Si parla di diagnosi prowisoria perché deve
essere ulteriormente confermata tramite il test della curva da carico: si somministrano 75g di glucosio per via orale e si valuta l’andamento
della glicemia misurandola prima della somministrazione (al tempo 0) e dopo due
Un altro esame utile ai fini diagnostici è la
misurazione dell’ emoglobina glicata: parametro
biochimico che fornisce una media dei valori della
glicemia negli ultimi 70›80 giorni, corrispondenti
all’emivita dell’emoglobina.
~ Normale < 5,7%
- 5,7-6,4%: ridotta tolleranza ai carboidrati
- 6,5- >6,5%: diabete
lmportanteèanche la diagnosi di diabete mellito di 100 g di glucosio e misurando i livelli di
gestazíonale (si manifesta in circa il 4% delle glicemia nelle successive tre ore.
gravidanze) che si effettua con somministrazione
Ad ogni aumento del 1% di HbAlc corrisponde un incremento di circa 35 mg/dl (2 mmol/1) di glucosio.Le
glicemie dei profili pomeridiani e serali (dopo pranzo, prima di cena, dopo cena e bedtime) correlano
maggiormente con l’HbA1c rispetto alle glicemie della mattinata.
Giìcernía pusbpxandìale Gììcemía a digiuno

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28
Q

Il diabete mellito è un quadro clinico

A

caratterizzato da iperglicemia causata da:
_;>u:~i-\
_ Ridotta o annullata secrezione di insulina (diabete mellito di tipol);
. lnsulino-resistenza (diabete di tipo2);
. Ridotto utilizzo periferico di glucosio;
Aumento della produzione epatica di glucosio

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29
Q

La classificazione eziologica è effettuata invece

A

in base ai meccanismi patogenetici alla base della malattia:
0 Diabete mellito di tigo 1 9 Assenza di insulina;
Nel 90% dei casi è autoimmune, nei restanti 10% è idiogatico’
~ Diabete mellito di tigo Z _) lnsulino-resistenza;
Difetto secretorio dell’insulina;

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30
Q

Altre forme sgecifiche di diabeteè

A

Difetti genetici della funzione delle cellule ß (Mody 1-3)
(b) Difetti genetici dell’azione dell’insulina(insulino resistenza tipo A)
(c) Patologie del pancreas esocrino (esempio asportazione del pancreas)
(d) Endocrinopatie (es. Sdr di Cushing)
(e) indotto da farmaci o sostanze chimiche
(f) infezioni
(g) Forme non comuni di diabete immuno mediato
< (h) Altre sindromi genetiche talvolta associate a diabete

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31
Q

Diabete mellito di tipo 1

A

Rappresenta il 10% di tutte le forme cliniche di diabete;
- Ha una prevalenza dello 0,5%;
ø Ha una predominanza maschile;
0 Ha una variazione stagionale autunnoainverno che fa pensare che ci sia un legame con epidemie e
virus;

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32
Q

Patogenesi diabete mellito di tipo 1

A

sconosciuta nonostante ci siano vari fattori di rischio;
0 E’ causato dalla presenza di fenomeni di autoimmunità diretti contro le cellule insulari_
0 Può associarsi con le SPA, Sindromi Poli-endocrine Autoimmuni (Addison, Hashimoto).
~ E’ caratterizzato da|l’assenza o da una marcata riduzione dell’insulina.
0 L’età di comparsa è quasi sempre inferiore ai 35-40anni; in genere compare nei bambini e nei
giovani di 18-20 anni.
0 La manifestazione ha insorgenza rapida e drammatica con dimagrimento, poliuria e inappetenza;
0 Ci può essere chetosi proprio per l’assenza di insulina.;
0 ll paziente in genere non è obeso;
I La Sardegna ha una prevalenza del DMl paragonabile ai paesi scandinavi, quindi una prevalenza
molto elevata e piuttosto marcata.

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33
Q

diagnosi diabete mellito di tipo 1

A

acile nei bambini e negli adolescenti, perchè la malattia è acuta e si presenta con un rapido
deterioramento di tutte le capacità; nell’adulto il diabete di tipo 1 ha un decorso meno drammatico, più
lento e può mimare quello del diabete di tipo 2.
In ogni caso i primi sintomi che il paziente awerte sono: goliuria e dímagramento.

34
Q

Eziologia diabete mellito di tipo1 _

A

È una malattia multifattoriale, concorrono fattori genetici e ambientali,

35
Q

Fattori genetici diabete mellito di tipo 1:

A

Si ha la predisposizione della malattia in presenza C°mm°“ HLA Haplotypes
di aplotipi con alleli di suscettibilità su entrambi i DQ DRBI
luci DQB1 E DRB1 dei sistemi DR3 e DR4_ _ _ _ _ _ - High Risk
(portatori ad alto rischio). Gli allell invece del sistema DR2 sono protettivi.
Un’ipotesi è che la suscettibilità del diabete mellito
sia influenzato da tanti loci oltre l’HLA e quindi non sia una malattia monogenica.
Ci sono delle sequenze amminoacidiche vicine al gene per l’insulina alcune delle quali avrebbero effetti
protettivi altre no. Altra ipotesi è che l’lNS (estensore del gene dell’insulína nel timo) nella sua regolazione
non venga bene presentato per cui in pratica verrebbe riconosciuto come non self.
L’eziologia non è ereditaria: la concordanza nei gemelli monocoriali è molto scarsa

36
Q

Fattori ambientali predisponenti al diabete mellito di tipo 1

A

0 giri: enterovirus, herpesvirus, retrovirus;
0 batteri: micobatteri (recentemente è stato studiato il coinvolgimento del
microbioma intestinale e di come le modificazioni del pabulum batterica
dell’intestino determino un aumento della permeabilità con conseguente
maggiore stimolazione autimmunitaria);
0 tossici: allossana, streptozotocina, vacor, pentamidina;
- sostanze alimentari: il latte vaccino, la soia e il frumento si pensa contengano
sostanze diabetogene.
Quando coesístono le condizioni ambientali e i fattori genetici si ha Ia sviluppo della risposta immunitaria,
mediata da cellule T CD4+. Questo determina una flogosi delle ínsule chiamata insulinite con infiltrazione linƒocitaria da parte delle cellule Tne/le insule e conseguente /oro distruzione.

37
Q

ipotetici modelli patogenetici diabete mellito di tipo 1:

A

) Liberazione di antigeni dalle cellule insulari favorita da qualche agente
distruttivo: gli antigeni sono processati e presentati ai linfociti T-Helper;
2) Non viene ipotizzato un primitivo agente distruttivo: l’evento che awia
il processo immunitario è Viperespressione di molecole Hl_A di classe ll;
3) ll processo immunitario è causato da superantigeni, prodotti particolari
di batteri o virus, legati alla membrana delle cellule insulari.

38
Q

Dosaggio anticorpi diabete mellito di tipo 1

A

Gli anticorpi che noi misuriamo sono dei marcatori sierologici ma il meccanismo distruttivo è realizzato dai
linfociti CD4+. I marcatori sierologici sono rappresentati da una serie di anticorpi:
0 anticorpi anti insula pancreatica (lCA), dosati con Vimmunofluorescenza;
~ anticorpi anti decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD65 Ab).
I anticorpi anti tirosina fosfatasi (IA-ZA)
0 anticorpi anti insulina (IAA)
E’ importante ricordare che gli anticorpi [CA e gli IAA sono precoci e tendono a scomparire precocemente
dal circolo, mentre quelli che permangono più a lungo e che servono a fare anche diagnosi retrospettiva
sono gli anti GAD: sono quelli più specifici e possono restare in circolo anche 40 anni dopo dall’inizio della
malattia (gli [CA tendono a ridursi in parallelo alla distruzione della cellule beta).

39
Q

Diabete mellito tipo 2, caratteristiche e dosaggio insulina

A

E’ caratterizzato da un gruppo eterogeneo di disordini metabolici causati o da una secrezione inadeguata di
insulina o da insulino-resistenza 0 da aumentata secrezione di glucosio.
I Rappresenta il 90% della popolazione diabetica;
I I pazienti presentano un’ínsulina plasmatica che può essere bassa, normale o anche elevata (nel
DM1 è assente o ridotta).
a) Elevata nel caso di lnsulino-resistenza, perché il pancreas per ottenere lo stesso effetto
biologico sul glucosio deve secernere una quota maggiore dell’ormone;
b) Normale quando la riserva funzionale del pancreas si sta riducendo;
c) Bassa quando non c’è più secrezione;
I L’eta di comparsa è dopo i40 anni;
I E’ spesso associata a obesità.
I La chetosi è molto rara.
I E’ una malattia che ha un’insorgenza insidiosa, manca la drammaticità della chetoacidosi, per cui il paziente con iperglicemia va incontro a una diagnosi che può essere fatta dopo parecchi anni, cioè
quando ci sono già le complicanze. Questo perché all’inizio la malattia è asintomatica ed è soltanto
caratterizzata da un aumento della glicemia post-prandiale; se quest’alterazione metabolica
dovesse andare avanti per 5-6 anni il paziente andrebbe incontro ad un aumento dell’incidenza
dell’aterosclerosi e quindi a complicanze cardiovascolari, all’ínsufficienza renale e a complicanze a
livello della retina.

40
Q

Caratteristiche e fattori di rischio, diabete mellito di tipo 2

A

Prevalenza di circa 3-5 % della popolazione generale;
I Non c’è variazione stagionale;
I Sesso: moderatamente preminente il femminile;
I Non si associa ad altre malattie enclocrine;
I Non c’è immunità contro le cellule insulari;
Fattori genetici
È la forma di diabete più ereditabile: la concordanza è del 90% dei gemelli monozigoti. Abbiamo frequente
una storia familiare di diabete.
Non ci sono associazioni col sistema HLA: le cellule delle insule pancreatiche possono essere diminuite
rispetto alla norma, ma non sono distrutte da meccanismi autoimmuni.
Ce un’ alta prevalenza in particolari etnie.
Tra ivari polimorfismi o alterazioni genetiche sono state descritte delle mutazioni di un gene coinvolto nella
secrezione dell’insulina (TCF7N2) che ne riduce la secrezione ola qualità della risposta.
Sono state descritte mutazioni nel trasportatore de/lo zinco, lo stesso coinvolto nella liberazione di insulina,oppure ci sarebbero mutazioni di molti geni coinvolti nello sviluppo e funzione delle cellule beta.
Insulino-resistenza E’ una ridotta risposta biologica all’insulina, per cui per ottenere lo stesso effetto biologico la concentrazione di insulina deve essere notevolmente maggiore.

Ne deriva quindi un iperínsulínismu compensutorio che col passare del tempo porta ad un esaurimento
della riserva funzionale del pancreas; quest’ultimo non riesce più a controllare il glucosio per cui ad un
certo punto, anche se i valori plasmatici dell“insulina in questi pazienti possono essere in alcuni casi quasi normali, aumenta la glicemia e compare quindi il diabete.
La presenza di questa condizione ha un ottimo valore prognostico per lo sviluppo in futuro della patologia del diabete di tipo 2. Disfunzione delle cellule beta

41
Q

Alterazione secondaria a disfunzione cc beta

A

Accanto all’insulino-resistenza l’alterazione più importante del diabete di tipo 2 è rappresentato
dalla disfunzione delle cellule beta, ossia da una
ridotta capacità della cellula beta di secernere
insulina in risposta alla glicemia.
Nel diabete di tipo 2 la secrezione precoce di
insulina è molto modesta, mentre il secondo
picco è più prolungato.
Ciò che è alterato è la dinamica secretoria
rappresentata nel grafico mediante una curva da
insufinemtgmai
carico. Quando il soggetto normale con
l’introduzione di glucidi, si assiste ad una
secrezione msulmrca da parte della cellula ße chesi traduce in2picchidi insulina: ^ ° “ ~ uno immediato (viene secreta quasi 2/3 Tgsawpøçmigiy
di tutta la risposta insulinica)
I uno tardivo Questo comporta che l’aumento della glicemia non può essere controllato dal primo picco, per cui per
ottenere la risposta è necessaria una secrezione continua e massiva che determina quindi una
iperinsulinemia. Si pensa inoltre che tutto ciò possa contribuire all’ insulino-resistenza (infatti la secrezione
continua e non pulsatile può portare a una down regulation dei recettori, cioè ad una loro desensibilizzazione e quindi ad una ridotta risposta insulinica).

42
Q

Conseguenze del deficit della secrezione insulinica

precoce:

A

diminuita soppressione della produzione epatica di
glucosio
~iperglicemia post-prandiale
-iperlipemia post-prandiale
la glicemia va oltre i
ZOO mg/dl, mentre nei controlli e negli obesi
questa si mantiene più o meno simile. Nei pazienti diabetici (tipo 2), i valori di insulina possono essere superiori alla norma, però essendoci insulino-
resistenza la glicemia è alta. Mentre negli obesi, dove ancora non si è instaurata una grave insuiino-resistenza 0 meglio dove si riscontra una parziale insulino-resistenza, per ottenere lo stesso valore
glicemico dei controlli, è necessaria una secrezione superiore di insulina. Quando poi con il tempo, questi valori di insulinemia si riducono per esaurimento delle cellule pancreatiche, si manifesta il diabete.

43
Q

Fattori di rischio diabete mellito

A
0 BMI > 25;
¢ Età >45 anni;
0 Storia familiare;
0 Attività fisica scarsa;
I Appartenenza a particolari gruppi etnici;
0 Storie di diabete gestazionale;
0 Ipertensione arteriosa e/o colesterolo elevato;
0 Storie di malattie vascolari;
0 Policistosi ovarica:
44
Q

Diabete Autoimmune Latente dell’Adulto (LADA)

A

Recentemente si è visto che una certa percentuale di pazienti etichettati come diabete di tipo 2 (percentuale che varia a seconda
delle casistiche dai 4 agli 8 %) presenta nel sangue anticorpi anti›GADA. Questi anticorpi determinano nel tempo un danno cellulare
diretto contro le cellule Bdel pancreas.
E’ diagnosticato dalla storia naturale e dalla presenza di un diabete che è anticorpo positivo, GADA positivo.
Rientra nelle forme di diabete di tipo 2, ma ha un decorso più lento che spesso non richiede, come nei caso del tipo 1, subito
l`insulina: i pazienti possono essere trattati anche con iperglicemizzanti orali.
E’ una forma di diabete che si associa frequentemente con altre malattie autoimmuni endocrine, tipo la tiroidite di Hashimoto (40%).

45
Q

Caratteristiche pz diabete autoimmune latente dell’adulto-

A

Età dei pazienti abitualmente >35anni;
ø Presentazione “mascherata “ come diabete tipo 2 non obeso;
o Positività per lCA e /o GADA;
o Non chetosi o grave perdita di peso;
o Controllo glicemico raggiunto inizialmente con dieta o ipoglicemizzanti orali;
ø Dipendenza da insulina che sopraggiunge più rapidamente rispetto a T2DM.

46
Q

Patogenesi del diabete tipo 2

A
  • Fattori genetici
    ø ipersecrezionelrelativa) di insulina per compen- ~ Ridotta massa cellule B
    0 Ridotta secrezione di insulina
    sare la msulrno resistenza › L ,É
    0 Glucotossicità e lipotossicità 9 L’accumu|o di 1glucosamine
    può determinare una ridotta secrezione insulinica o comunque fa aumentare la insulino-resistenza. meccanismo sia causa o a :,_
    un accumulo della glucosammina all’interno sia
    delle cellule del pancreas sia quelle muscolari e di vari tessuti
47
Q

Complicanze acute diabete mellito di tipo 2

A

Sono legate ad alterazioni rapide della glicemia e sono rappresentate da:
I ipoglicemia;
0 Cheto-acidosi diabetica;
0 Sindrome iperosmolare iperglicemica o coma iperosmolare iperglicemicu non chetuacidosico.
1. Ipoglicemia:
ln questo caso l’ipoglicemia non si presenta come una complicanza del diabete ma piuttosto come una
complicanza di una cattiva gestione del paziente. ll quadro clinico è quindi legato alla cattiva gestione della
terapia.
Èsintomatica in genere quando la glicemia scende al di sotto dei 50 mg%. Nel soggetto normale, ma anche
nel diabetico, quando la glicemia scende al di sotto di questi valori, si innesca una attivazione del sistema
simpatico, per cui il paziente lamenta nervosismo, pallore cutaneo, palpitazione, tachicardia, obnubilamento dei sensori ecc.
Se è vero che la ipoglicemia si manifesta nel soggetto normale e nel diabetico che ha una storia di breve durata della malattia, è anche vero che per un diabetico, purtroppo, man mano che passano gli anni si
hanno più complicanze e l’ip0glicemia spesso non viene awertita (quindi gli episodi di ipoglicemia si possono avere in assenza marcate manifestazioni).

48
Q

Perchè c’è Vipoglicemia?

A
  1. ll paziente fa troppa insulina rispetto a quella che è necessaria 0 fa un utilizzo improprio di iperglicemizzanti orali;
  2. Perchè fa l’insulina e mangia poco, quindi non introduce un numero di glicidi sufficiente per essere metabolizzati;
  3. Può avere ipoglicemia dopo attività fisica eccessiva;
  4. Spesso si manifesta prima dei pasti, soprattutto se il pasto è stato ritardato e lo spuntino omesso.
    Voi sapete che la terapia insuliníca viene fatta almeno con 3-4 somministrazioni; siccome il gold
    standard è mantenere la glicemia post-prandiale a livelli accettabili, al di sotto di 200, per evitare
    che si abbiano episodi di ipoglicemia spesso bisogna fare degli snack.
49
Q

Manifestazioni cliniche diabete

A

Abbiamo sintomi adrenergici e sintomi a carico del SNC. Nella ipoglicemia lieve si ha la attivazione del
sistema simpato›adrenergico con aumento di Adrenalina e Nor-adrenalina.
0 Sudorazione;
I Tremore
0 Tachicardìa,
0 Palpitazione,
0 Nervosimo, fame,
0 Vasocostrizione.
-Nella ipoglicemia moderata i segni di alterata funzione del SSN includono: cefalea, incapacità alla
concentrazione, confusione, amnesie, parestesie, parlata incomprensibile, incoordinazione, comportamento aggressivo-irrazionale, diplopia, sonnolenza.
-Nella ipoglicemia severa si possono manifestare disorientamento, contrazioni tonico-cloniche, perdita di
coscienza.

50
Q

cheto-acidosi diabetica:

A

È causata da una assente oppure ridotta concentrazione ematica di insulina. Questo difetto owiamente
comporta un’alterazione del metabolismo dei glucidi, ma anche dei lipidi e proteine.
Il quadro è caratterizzato da iperglicemia dalla poliuria e quindi disidratazione con perdita urinaria di
elettroliti e poi dalla presenza di una acidosi legata alla eccessiva produzione dei corpi chetonici.
In corso di situazioni di stress emotivi o fisici, così come accade in caso di infezioni, si ha un aumento degli ormoni
controregolatori e quindi glucagone, catecolammine, e quindi viene ad essere stimolata la produzione epatica di
glucosio.
Questi meccanismi interferiscono sulla azione de|l’insulina sul muscolo e sull’adipocita: se la dose di insulina non viene
incrementata la iperglicemia può involvere in cheto~acidosi. Ad esempio è quello che succede quando un paziente
diabetico ha febbre, influenza, una broncopolmonite e allora ha scarso appetito, non prende insulina e quindi si crea
questo circolo vizioso per cui compare la cheto-acidosi. Le cause più frequenti sono appunto: una cattiva gestione
della terapia oppure il corso di eventi stressanti come infezioni, malattie acute ecc.

51
Q

Fisiopatologia diabete mellito:

A

C’è iperglicemia per
‘ Un difetto di captazione cellulare del glucosio, che non può essere metabolizzato dalle cellule
I Aumento di produzione epatica del glucosio.
Quando la glicemia supera la soglia renale, il glucosio viene eliminato con le urine e quindi abbiamo
glicosuria. E’ un composto osmoticamente attivo per cui si trascina acqua ed elettroliti (Ki e Nai) e quindi si
ha disidratazione. Con una grave chetoacidosi si possono perdere 5-6 litri di acqua e fino a 400-500 milli-
equivalenti di sodio, potassio e cloro nelle Z4 h.
All’inizio, la chetoacidosi si manifesta con un’iponatremia che se non trattata evolve in ipernatremia.
Questo accade perché quando aumenta la glicemia aumenta l’osmolarità che determina un richiamo di
acqua dalle cellule che diluisce il sodio. Con l’evolversi della condizione, la glicosuria determina poliuria conconseguente aumento della concentrazione del sodio per ridotto volume del solvente. (lo stesso discorso
vale anche per potassio e cloro)
A parte Pincapacítà, dovuta all’assenza di insulina, dell’organism0 di metabolizzare il glucosio, la carenza di
insulina porta ad un aumentata lipolisi a livello del tessuto adiposo, con conseguente liberazione degli acidi
grassi non esterificati e glicerolo.
in parte gli acidi grassi sono utilizzati nel fegato per la sintesi dei trigliceridi, delle VLDL, altri sono utilizzati
per la sintesi dei trigliceridi ematica, ma in presenza di un’eccessiva quota di NEFA, questi vengono
convertiti in chetoni che entrano nel circolo ematico.
I principali chetoni sono rappresentati da: l’acetone, l’aceto acetato, il ß-idrossibutirrato.
Quando questi corpi chetonici vanno in circolo sono responsabili del consumo dei bicarbonati e quindi si ha
cheto-acidosi. il ß-idrossibutirrato non viene evidenziato dallo stick delle urine, che invece evidenzia
l’acetone e Vacetoacetato: è bene pertanto ricorrere sempre al dosaggio.
Per quanto riguarda il metabolismo proteico abbiamo proteolisì, aumento degli amminoacidi, i quali
determinano ulteriore aumento del glucosio perché vengono utilizzati nella neoglicogenesi, quindi ulteriore
iperglicemia e diuresi.
La cheto-acidosi determina anche un’alterazione dell’equilibrio acido base: è caratterizzata da una
riduzione del pH, da una riduzione del HC03 e da un iperventilazione il cui significato è quello di un
compenso respiratorio (di conseguenza la PCOZ risulta ridotta).
Tipico e il respiro di Kussmaulz-› e un respiro profondo, periodico
che ha lo scopo di eliminare l’acetone, composto volatile, ed é quello
che da l’odore di mela marcia al paziente che e in coma.

52
Q

Manifestazioni cliniche diabete mellito

A

La chetosi e la acidosi determinano sintomi a carico del sistema GI -äanoressia, nausea, vomito e
dolori addominali: il paziente non mangia e ciò determina un ulteriore innalzamento della glicemia
‘ 1 pazienti possono presentare alito acetonemico ed iperventilazione con respiro profondo ed
ansante (Kussmaul).
‘ Possono essere vigili, letargici o comatosi.
° La glicemia può variare da 300 ad 800 mg%.
° La cheto-acidosi è confermata dalla riduzione dei bicarbonati (0-15 mEq/L) e del pH 6,8~7,3);
° Un livello di PCO2 basso (10›30 mm Hg) riflette un compenso respiratorio alla acidosi metabolica.
‘ L’accumulo di corpi chetonici è evidenziato dalla misura di questi nel sangue e nelle urine;
- La disidratazione determina un aumento di azotemia, creatinina, emoglobina ed ematocrito.
3. Coma iperglicemico iperosmolare non chetosico

53
Q

Complicanze diabete mellito

A

Complicanza acuta tipica del diabete di tipo Z ed è caratterizzata dai livelli estremamente elevati di
glicemia fino a valori di 800-900 mg/dl con conseguente massiva disidratazione e ipernatremia.
La chetosi è minima in quanto in questa forma di diabete una piccola quota di insulina è comunque secreta
ed è sufficiente a bloccare la lipolisi. (La lipo/isi è più sensibile uII’uzione delI“insu/ina rispetto al/a glicolisí o
11/la neoglicolisi).
Può essere una condizione di esordio della patologia: essendo il diabete spesso asintomatico potrebbe manifestarsi direttamente con questa complicanza acuta.
Può essere precipitato da fattori intercorrenti come infezioni o ictus e spesso dalla anamnesi può essere evidenziata una condizione di giorni o settimane di poliuria e polidipsia.

54
Q

Manifestazioni cliniche chetosi:

A

Sete intensa e poliuria;
- Grave disidratazione, ipotensione, tachicardia, segni neurologici (alterazioni del sensorio,
convulsioni, emiparesi);
° Le glicemie sono comprese tra 600 e 1.200 mg% e l’osmolarità plasmatica è superiore ai 350
mOsm/Kg;
‘ La disidratazione, l’aumento della viscosità ematica possono favorire le complicanze trombo-
emboliche;
- La mortalità varia dal 10 al 40% in relazione alla malattia concomitante.
La terapia di queste forme è sempre la idratazione e si può anche infondere, invece che fisiologica, nelle
forme più gravi anche soluzioni ipotoniche (quindi dove c’è un eccesso di acqua ridurre l’osmolarità del
plasma).
Bisogna stare attenti nella correzione della osmolarità perchè una correzione troppo rapida determina uno
squilibrio della acqua intra ed extra delle cellule nervose: poichè il meccanismo tampone delle cellule
nervose risente anche della sintesi degli osmoliti, queste variazioni improwise possono determinare lesioni
della mielina dei neuroni.

55
Q

Complicanze croniche diabete

A

Più importanti e in grado di determinare delle variazioni delle aspettative di vita del paziente rispetto alle
complicanze acute.
Le complicanze croniche possono interessare sia le piccole che le grandi arterie quindi si parla di micro- e
macro-angiopatia.

56
Q

alterazione visiva diabete

A

È chiaro che queste alterazioni micro interessano tutto l’organismo e owiamente i quadri clinici più
importanti sono rappresentati quando questa micro-angiopatia interessa determinati organi che sono
rappresentati da:

  1. retina, causa di cecità;
  2. rene, causa di insufficienza renale;
  3. sistema nervoso periferico, quìndi neuropatie;
  4. cuore, con miocardiopatia.
    Per quanto riguarda le alterazioni del microcircolo nel diabetico oltre questi organi vengono interessati tutti
    itessuti, quindi anche il circolo polmonare ecc, quindi il quadro clinico può essere un po’ più completo e
    variegato.
    La macroangiopatia interessa le arterie più grosse, quindi interessa le arterie coronarie. È perciò causa di
    cardiopatia ischemica, quindi angína, infarto, cardiopatie dilatative. Quello cerebrale con l’ictus, le arterie
    degli arti inferiori ma anche le arterie carotidee. Tanto è vero che nel follow-up dei pazienti diabetici è
    buona norma fare periodicamente l’ecocolordoppler dei tronchi sovraortici per individuare placche.
    Poi il quadro più drammatico è rappresentato dal piede diabetico che è causato da una combinazione di
    neuropatia periferica e micro» e macroangíopatie.
    Un elemento tipico del danno microangiopatico è caratterizzato dall’ispessimento della membrana basale
    che è un dato anatomopatologico che può precedere la manifestazione clinica del diabete. Questo awiene
    perché si ha una trasudazione delle proteine che si accumulano, materiale PAS positivo oppure eccesso di
    sintesi o diminuzione della degradazione del collagene (questo lo vedremo per effetto della glicazione non
    enzimatica delle proteine). ln più l’endotelio va incontro ad alterazione e degenerazione: si ha maggior
    adesione delle piastrine e quindi una condizione di ipercoagulabilità, iperplasia delle cellule muscolari lisce
    e accumulo di lipidi nella parete arteriosa,
    La macroangiopatia è una malattia aterosclerotica, una aterosclerosi più diffusa e più precoce rispetto ai
    soggetti non diabetici.
57
Q

Meccanismi biochimici delle complicanze vascolari diabete

A

Vi sono vari meccanismi. Certamente dè una predisposizione genetica non ben codificata perché a parità di
scompenso non tutti sviluppano retinopatia. C’è una predisposizione genetica e poi un ruolo determinante
che ha un valore causale è l’ìperglicemia cronica, quindi il diabete mellito non ben compensato, quindi
complicanze croniche.
Questi sono i meccanismi:
1. Glicazione non enzimatica
Z. Attivazione della via dei polioli
3. Attivazione delle isoforme della proteinchinasi C
4. Attivazione della esosammina.
1. Glicazione non enzimatica:
La glicazione è una reazione non enzimatica di condensazione tra uno zucchero riducente (es. il glucosio) e i gruppi
amminici di proteine e acidi nucleici attraverso la creazione di un legame covalente.
Questo processo di glicazione si sviluppa attraverso una complessa cascata di reazioni chimiche fino ad arrivare alla
formazione di quelli che si chiamano AGE, i prodotti finali di una glicazione avanzata.
La glicazione awiene in condizioni fisiologiche (nel soggetto normale Vemoglobina glicata è pari a 4-5%); aumenta
lievemente nell’anziano ma awiene anche quando abbiamo glicemie normali.
ll legame fra glucosio e gruppi amminici determina la formazione di quella che si chiama base di Schiff che è molto
instabile e che si organizza e dà vita ad un prodotto più stabile, quello cosiddetto di Amadori che ha un’emivíta di circa
28 giorni. È più stabile ma è reversibile.

Se però una proteina ha un’emivita più lunga - e parliamo del collagene, che ha emivita molto lunga -,
questa glicazione, dal prodotto di Amadori porta, per una serie di reazioni chimiche, alla formazione di
complessi e di prodotti che formano legami crociati quindi indissolubili tra queste proteine.
Questo meccanismo comporta un’aIterazione strutturale di determinate proteine (vedi collagene) per cui
l’accumulo di queste sostanze che non possono essere metabolizzate normalmente perché sono alterate,
comporta effetti sulla membrana che sono alla base della microangiopatia.
Dal gruppo amminico e dal glucosio si forma questo composto, che è la base di Schiff, si forma poi il
composto di Amadori che è reversibile ed è quello che si trova nell’Hb glicata. Se l’Hb avesse una vita
maggiore è chiaro che questa glicazione porterebbe ad un’alterazione stabile dell’emoglobina. Mentre
quando si formano questi composti che alterano le proteine, gli AGE, il composto non è più reversibile
quindi l’alterazione strutturale è permanente. Vale per il collagene, per le fibre elastiche eccetera.
Quali sono gli effetti awersi della formazione degli AGE?
Ridotto turnover delle proteine della matrice extracellulare e della membrana basale. Questo può portare
alla formazione di anticorpi anti~componenti modificati della membrana.
lfalterazione funzionale fa sì che si possa avere anche un intrappolamento (perché viene ad essere alterata
la permeabilità) di proteine nella membrana basale e questo comporta l’ispessimento della membrana
basale che è il primo dato anatomico dello scompenso diabetico. Si ha l’alterazione della permeabilità
dell’endotelio e poi abbiamo ridotta interazione con i recettori di questi AGE con attivazione di monociti,
induzione dell’infiammazione subclinica, ridotta produzione di ossido nitrico endoteliale e aumento dello
stress ossidativo. Questo è l’insieme degli effetti negativi che questi prodotti che si creano determinano.
2. Attivazione della via dei polioli
ln condizioni normali l’attivazione della via dei polioli è una via alternativa alla glicolisi. Per azione
del/’aldoso-reduttasi viene a formarsi sorbitolo e quindi awiene che l’accumulo di sorbitolo, che ha azione
osmotica, determina uno stress osmotico.
Questo è alla base della cataratta che si osserva nel diabetico. Questo aumento dello stress osmotico
possiamo ottenerlo in tutti itessuti ed è poi uno dei meccanismi alla base della neuropatia.
La attivazione della via dei polioli induce un consumo di NADPH, cofattore necessario per la rigenerazione
del glutatione ridotto, cui compete la neutralizzazione dei radicali liberi dell’ossigeno (aumento dello stress
ossidativo).
3. Attivazione della protein-chinasi C
Èattivata in pratica in queste situazioni di iperglicemia perché aumenta il DAG (diacilglicerolo). l.’attivazione
di questa attività enzimatica determina l’espressione di numerose proteine quali fattori di crescita, molecole
di adesione, collagene tipo IV, citochine-TNF-alfa, lL›2, TGF-B etc, riduzione NO, aumento endotelina-1.
Tutti meccanismi che entrano a far parte della microangiopatia.

58
Q

Attivazione della via del|’esosamina

A

infine l’attívazione della via dell’esosamina. ll fruttosio-6-fosfato prodotto in eccesso dà origine alla
glucosamina-6-fosfato la quale indurrebbe la glicosilazione di alcuni fattori della trascrizione che modificati
darebbero luogo all’espressione genica di alcuni fattori di crescita che sono coinvolti nella micro- e
macroangiopatia.

59
Q

Complicanze microvascolari del diabete

A

Retínopatia 9 lspessimento della membrana basale, microaneurismi, occlusione vascolare
(retinopatia non proliferante). Successivamente si osserva una neo~vascolarizzazione patologica
con emorragie (Retinopatia proliferante).
- Nefropatia 9 (24~4O% dei pazienti). Viene definita, da un punto di vista clinico, da un aumento
delle albuminuria in assenza di altre nefropatie. (Microalbuminuria v.n. 30-299 mcg/24 h).
‘ Neuropatia 9 Può essere focale 0 diffusa. La più comune è la sensitivo-motoria (Z0% dei pazienti) e
la forma autonomica(1.6-70%).
- Miocardiopatia 9 Nel pazienti diabetici con cardiopatia ischemica il rapporto capillari/miofibre è
ridotto (la angiogenesi indotta dalla ischemia è ridotta per ridotta espressione di fattori
angiogenetici ~VEGF). Questo fenomeno rende il miocardio dei diabetici più suscettibile ad insulti
ischemici).
1. Retinopatia
La retinopatia diabetica ha una prevalenza che aumenta con la durata del diabete. Diciamo che tutte queste
complicanze croniche si possono osservare in tutti i due tipi di diabete. Dipende dalla storia clinica e dal
compenso del diabete. È chiaro che se un diabete di tipo I insorge in un bambino di 10 anni la storia naturale è molto più lunga del diabete di tipo Il che invece insorge sui 60 anni. Dopo 10 anni la prevalenza è del 40%, dopo 20 fino al 90% però c’è una grossa differenza perché non tutti sviluppano questa
complicanza.
Uno degli eventi più precoci è rappresentata dalla perdita dei periciti, che sono cellule che sostengono i
capillari. Mancando queste cellule che vanno incontro ad apoptosi cosa succede? Che l’ispessimento della
membrana basale dei capillari e la loro alterata funzione comportano lo sfiancamento e quindi la
formazione di microaneurismi.
Vi ricordo che la retinopatia - che vedrete studiando il corso di oculistica - si divide in non proliferante e
proliferante fino al distacco di retina. Dapprima abbiamo questi microaneurismi e l’alterazione della
membrana porta a essudati duri e cotonosi.
Poi si formano emorragie, delle zone di ischemia che portano alla neoformazione vascolare che owiamente
non è più fisiologica. E questo porta poi a trazione, lacerazione e distacco della retina.

60
Q

Nefropatia diabetica

A

La nefropatia diabetica è la seconda complicanza, presente in un 25-40% di pazienti. Da un punto di vista
clinico è definita da un aumento dell’albuminuria. Il marcatore utilizzato è la mìcroalbinuria, così definita perché sfugge all’esame dello stick urinario.

61
Q

Stadi retinopatia diabetica

A

È divisa in cinque stadi:
1. Nel primo stadio abbiamo una ipefjfiltraziune del glumerula ed è asintomatica,
iperfiltrazione legata owiamente anche alla iperglicemia. Non ci sono grosse
alterazioni del filtrato, anche se è aumentato. Non c’è perdita di proteine.
2. Lo stadio 2 è chiamato anche neƒropatiu silente. Compare cioè dopo sforzi fisici.
Dopo sforzi fisici possono comparire piccole perdite di albumína.
3. Nel terzo stadio, chiamato della neƒroputia incipiente, abbiamo una
microalbuminuria permanente.
4. Fino ad arrivare allo stadio 4 di neƒropatia conclumata,
5. Insufficienza renale cronica e quindi la dialisi.
La microalbuminuria è il marcatore biochimico più importante nella diagnosi clinica di nefropatia.Un’escrezione nelle 24 ore inferiore a 300 mg. Mentre la macroalbuminuria
è superiore a 300.

62
Q

Perchè microalbuminuria in pz diabetici

A

È un problema legato all’alterazione della membrana basale, per cui gli AGE
modificano la carica elettrica per cui l’albumina non viene più respinta ma passa. Man mano che va avanti
Vinsufficienza renale, si creano dei pori maggiori per cui la proteinuria non sarà più selettiva (solo albumina)
ma comprenderà la perdita anche di proteine che non hanno cariche elettriche (immunoglobuline ecc.).
Le proteine filtrate si accumulano nelle cellule tubulari che liberano mediatori come il TGF-Beta,
l’endotelina, proteine chemiotattiche peri macrofagi con reazione infiammatoria e fibrosi.
l podociti nel glomerulo hanno estroflessioni. Tra le estroflessioni ci sono i pori che non permettono il
passaggio delle proteine. Questi sono occlusi da una serie di proteine. Con le alterazioni della funzione del
collagene vengono ad essere alterati.
Èowio chela prevenzione primaria della nefropatia diabetica - come in tutte le complicanze - è in pratica il
controllo della glicemia e poi il controllo della pressione arteriosa. Tanto è vero che i valori normali della
pressione arteriosa nel diabetico (il cut-off) sono diversi da quello del soggetto normale. La pressione
ottimale nel diabetico dovrebbe essere non più di 120-80. ll controllo ottimale è fatto soprattutto con
l’impiego degli ACE inibitori che riducono la proteinuria. Prevenzione secondaria e terziaria vedete qua sono
il controllo della glicemia e quindi alimentazione, riduzione proteine ecc.

63
Q

Neuropatia diabetica

A

L’altra complicanza è la neuropatia diabetica che è un’alterazione del sistema nervoso periferico che è
interessato sia nella componente somatica (sensitiva e motoria) che in quella autonomica. Chiaramente la
diagnosi esclude altre cause di neuropatie.
Le neuropatie possono essere classificate in varie maniere. Diciamo che questa complicanza oscilla, a
seconda del compenso diabetico e della storia naturale, intorno al 30-40 %. Possiamo avere polineuropatie
simmetriche, sensitive, neuropatie quindi dolorose, oppure neuropatie focali, interessamento dei nervi
cranici e forme miste.

64
Q

Patogenesi neuropatie diabetiche

A

La patogenesi è rappresentata da una stimolazione della via dei polioli e quindi accumulo del sorbitolo,
dalla glicazione, deficit di inositolo, poi glicazione di proteine, della mielina. Sono tre i meccanismi più
importanti:
1. Eccesso di sorbitolo;
2. Glicazione della mielina;
3. Microangiopatia, cioè ischemia dei vaso nervorum.
Qualche volta si possono associare anche danni assonali da autoímmun Poi ci sono alterazioni
biochimiche, alterazioni nel tmsporto assonale del fattore di crescita nervoso, ma sono tutte complicanze,
sono tutte conseguenza delllalterazione.

65
Q

Forma più frequente di radiopatia

A

La forma più frequente è simmetrica e può essere a calza o a guanto perché è delimitata e si manifesta con parestesie, formicolii, punture di spillo, intorpidimento o dolore intenso ela delimitazione è netta (gambe o braccia). A parte la parestesia, la sensibilità può essere ridotta oppure assente e questa assenza di sensibilità
soprattutto agli arti inferiori è soprattutto la concausa del piede diabetico.

66
Q

Il danno delle fibre nervose cosa porta?

A

Può portare ad un’ipo-/atrofia muscolare. Chiaramente se questa è a forma classica possiamo avere
altre localizzazioni oppure può esordire con paralisi del facciale.

67
Q

Neuropatie diabete , classificazione

A

Le neuropatie possono essere classificate in varie maniere.
Diciamo che questa complicanza oscilla, a seconda del compenso diabetico e della storia naturale, intorno al
30-40 % in forma subclinica: soltanto nell’8-10% dei casi ha rilevanza clinica.
ln genere compare dopo molti anni dall’insorgenza del diabete, e, come tutte le complicanze, è
direttamente proporzionale al controllo glicemico: maggiore è la iperglicemia cronica, maggiore è la
complicanza della neuropatia.

Possiamo avere polineuropatie simmetriche:
0 sensitive e motorie
ø acuta, dolorosa ° neuropatie focali con interessamento dei nervi cranici e neuropatie toraco-addominali, dette anche
neuropatie focali a carico degli arti.
0 forme miste
La neuropatia più frequente, circa il 90% dei casi, è la neuropatia simmetrica distale
Qualche volta si possono associare anche danni assonali da autoimmunità. Poi ci sono alterazioni
biochimiche, alterazioni nel trasporto assonale del fattore di crescita nervoso, ma sono tutte complicanze,
sono tutte conseguenza dell’alterazione.
La forma più frequente è la simmetrica e può essere u calza o <1 guanto perché è delimitata, in genere, in
maniera netta. Si manifesta con parestesie, formicolii, punture di spillo, intorpidimento degli arti,
sensazione di caldo o freddo, oppure dolore intenso che in genere inizia distalmente, ma può salire in
maniera prossimale.
A parte la parestesia, la sensibilità può essere ridotta oppure assente e questa assenza di sensibilità riguarda
in particolare la sensibilità termica e tattile, mentre le fibre motorie sono interessate più tardivamente _
E’ owio che la presenza di neuropatie, soprattutto questa mancanza di sensibilità può portare, nel tempo,
all’osteoartropatia di Charcot, per cui mancando la sensibilità, una micro›ulcera, al piede per es., già
presente, viene ulteriormente peggiorata perchè il pz poggia sempre su quella zona, non sente dolore, si
crea ischemia, e questo può portare a un emaciamento dell*osso e quindi osteoporosi.
E’ tutto un circolo vizioso che può portare a alterazioni.
Altre volte la neuropatia può essere mononeuropatia (C), possiamo avere ad es. strabismo, per
interessamento de|l’oculomotore, oppure si può avere una sindrome dolorosa per esempio riguardante il
safeno, o ancora si può avere una radicolopatía per cui si possono avere dei dolori all’emitorace, e la
diagnosi differenziale talvolta dev’essere fatta con l’Herpes Zoster, ossia il fuoco di $ant’Antonio, che più o
meno ha lo stesso sintomo.

68
Q

Diagnosi della neuropatia

A

Vi sono vari metodi per testare la sensibilità:
0 in maniera grossolana in clinica, può essere fatta con un batuffolo
~ oppure se si vuole mettere in evidenza Passenza di vibrazione si usa il Diapason, questo fa parte
dell’EO.
0 Oppure si può ricorrere all’esame elettromiografico, quindi alla velocità di conduzione che ci mette
in evidenza alterazioni della conduzione nervosa.

69
Q

Neuropatia autanomica

A

L’altra componente della neuropatia diabetica è la neuropatia autonomica, del sistema nervoso autonomo
simpatico e parasimpatico, che può dare delle sintomatologie più complesse.
Queste sintomatologie possono riguardare:
° app. cardiovascolare
- app. urogenitale
° app. digerente
- sistema di termoregolazione
La neuropatia autonomica quando è sintomatica porta a
una situazione invalidante,
Se si manifesta a carico dell’apparato cardiovascolare,
possiamo avere:
I caratteristica ipotensione ortostatica,
“ una tachicardia a riposo che non viene modificata
1. nè dalla respirazione (voi sapete che la
respirazione modifica la frequenza),
2. né dall’esecuzíone della manovra di
Valsalva, che sono di solito i metodi per
bloccare la tachicardia. Quindi è una
tachicardia continua.
I Si possono avere disturbi del ritmo, come già detto, sino ad arresti cardiaci.
Nell’apparato gastrointestinale possiamo avere:
I dilatazione gastrica,
I atonia esofagea,
I una riduzione del transito
I stipsi oppure diarrea ostinata. Qui c’è uno squilibrio tra simpatico e parasimpatico. Se prevale uno
gli effetti saranno diversi rispetto all’altro.
I Dilatazione della cistifellea.
Ne|l’apparato urogenitale abbiamo:
I atonia vescicale
I incontinenza
I e nel maschio impotenza ed eiaculazione retrograda. impotenza per la correzione della quale,
l’unica maniera è I’ utilizzo del viagra e derivati, quando serve.
Per quanto riguarda il sistema termoregolatore:
I intolleranza al caldo con iperidrosi (sudorazioni) distrettuale.
Questa è la neuropatia autonomica.
Test perla valutazione della neurapatia autanomica
A carico del cardiovascolare si può mettere in evidenza:
I misurando la pressione in clino- e ortostatismo. Si parla di ipertensione arteriosa quando abbiamo
un aumento della sistolica (normalmente si ha una variazione inferiore ai 10 mm Hg).
I Oppure con l’Hand grip: 5 min di dinamometro e normalmente la diastolica aumenta, di almeno 15
mmHg.
I Oppure facendo la manovra di Valsalva: c’è una stimolazione vagale e la frequenza si riduce.

70
Q

Complicanze macrovascolari del diabete

A

La macroangiopatia è causata da un’aterosclerosi che ha un’ìncidenza, una gravità e una precocità maggiore
nel diabetico rispetto al soggetto non diabetico.
Sono frequenti le complicanze cardiovascolari e sono causa di morte nel 50% dei casi, ed è frequente
soprattutto nei pazienti affetti da diabete di tipoZ, per la storia clinica della malattia, che essendo
asintomatica, solitamente va a essere diagnosticata tardivamente, dopo molti anni di iperglicemia, mentre
nel diabete di tipo 1 la situazione è devastante, si ha cheto-acidosi, e dunque si fa diagnosi facilmente.

71
Q

Le cause della macroangiopatia sono rappresentate:

A

dall’iperglicemia
- e dall’iperinsulinemia
che sono i principali fattori aterogeni.
Bisogna ricordare che l’insulina è un fattore di crescita e quindi può stimolare l’ipertrofia delle cellule
muscolari lisce oltre che aumentare la sintesi dei lipidi.
A parte questo meccanismo c’è anche una microangíopatia dei vaso vasorum. Tutto questo più la
dislipidemia aterogena, che si osserva nel diabete, determina un aumento della macroangiopatia.
Le complicanze macroangiopatiche più frequenti sono rappresentate a livello cardiaco e a carico dell’albero
arterioso sostanzialmente.A livello del miocardio, vi è un ispessimento della membrana basale, con danno al microcircolo,
abbiamo una tachicardia perchè c’è una neuropatia, che è un fattore negativo, abbiamo quindi una macro
e una microangiopatia e l’albero coronarico dunque è alterato.
Questo comporta una maggiore estensione dell’infarto nei diabetici rispetto ai soggetti non diabetici e ciò
che è più importante è che spesso nei pazienti questo è asintomatico, ossia non sentono il dolore
dell’angina e dell’infarto, a causa proprio della neuropatia.
Poi chiaramente, questi soggetti vanno facilmente incontro a aritmie e qualche volta si crea, se l’infarto è
molto esteso, un aneurisma del ventricolo.
Un’arteriopatia periferica è più frequente e più precoce nel diabetico, è solitamente multisegmentale e
spesso bilaterale, per cui c’è un interessamento generale dell’albero arterioso, quindi questi sintomi sono
generalmente legati all’ischemia.

72
Q

Terapia della cheto-acidosi diabetica

A

innanzitutto è necessario idratare il paziente. Questo viene fatto con la cosiddetta soluzione fisiologica, che in realtà non è fisiologica, ma soltanto isotonica rispetto al plasma (0,9 % del cloruro di sodio).
Dipende dal grado di disidratazione del soggetto, ma nelle forme serie:
I nella prima ora si infonde 1 L, poi si può arrivare a un altro L nelle successive 2 ore, poi 1 altro litro nelle ore seguenti ancora e cosi facendo… Si parla di 6 litri di soluzione fisiologica, in 18-19 ore, è
chiaro che poi dipende dal grado di disidratazione.
1 anche in presenza di concentrazioni normali di K+ (3,5-5) dobbiamo inserire nella fisiologica
aggiunte di potassio perché l’insulina lo fa entrare nelle cellule. E poiché quando diamo noi insulina
si riducono ì corpi chetonici, quindi si riduce l’acidosi, è chiaro che maggior K+, anche senza insulina,
entra nelle cellule.

73
Q

Oltre all’idratazione bisogna dare, perciò:

A

I se il potassio è molto basso (tipo 3,5), anche 60 mEq di K+.
I se il K* è ai limiti alti della norma, non si fanno aggiunte all’inizio, ma si monitorizza nel tempo,
I se invece il K* è nel range normale significa che c’è una carenza relativa, e quindi conviene
somministrare 40 mEq in soluzione infusa.
L’insulina viene data secondo lo schema:
0,1 unità di insulina solubile, quindi pronta, per Kg, ogni ora, in infusione continua.
L’insulina ha emivita molto breve quindi è meglio darla per infusione continua finché la glicemia
scende intorno ai 250.
A quel punto va introdotta la glucosata per non far scendere improwisamente la glicemia ed evitare
grossi squilibrio osmotici per le cellule.
L’altro concetto è il rapporto tra emoglobina glicata e glicemia. ln genere quando l’emoglobina glicata
aumenta, se aumenta dell’ 1% a questo aumento corrisponde un aumento medio di 35 mg di glucosio per
dl. Questo ci aiuta a farci un’idea.
All’inizio sono soprattutto le glicemie dei profili pomeridiani e serali (dopo pranzo e dopo cena o quando si
va a letto) che correlano maggiormente con l’emoglobina glicata rispetto alle glicemie della mattina.
Quando fate un prelievo della glicemia, e trovate un paziente con glicemia a 130, se ha emoglobina glicata
alta si pensa che sia sproporzionata al valore della glicemia. ln realtà dopo pranzo e cena la glicemia
aumenta.

74
Q

Terapia del diabete

A

La terapia del diabete consiste:
“ per il diabete di tipo 1, ne|l’insulina
I per il diabete di tipo 2:
1. nella modifica dello stile di vita perché in genere sono pazienti obesi che dovrebbero
diminuire l’apporto calorico, aumentare l’attività fisica (cosa quasi mai seguita).
Z. Nell’utilizzo degli ipoglicemizzanti orali, qualora solo con la dieta non sì riesca a tenere la
glicemia, nel range fisiologico.
Ipo glicemizzanti orali
Sono:
~ le sulfaniluree,
° i derivati dell’acido benzoico,
~ gli insulino-sensíbilizzanti, biguanidi e glitazonici,
- gli inibitori delle alfa glicosidasi intestinali
- e ultimamente gli inibitori delle dipeptidasi.
1. Sulfaniluree
Le sulfaniluree riducono la glicemia attraverso la stimolazione diretta, a livello della cellula pancreatica, della
secrezione dell’insulina. E’ meglio non utilizzarli in pazienti obesi perché aumentando l’insulina aumentiamo
l’anabolìsmo. Il paziente ideale sarebbe il paziente normopeso. Questi farmaci possono avere un effetto
antabuse, che è una reazione spiacevole quando si beve alcool, può dare vampate, rossore, cefalea, ed è
legato all’accumulo di acetaldeide. Può dare antabuse il Sulfiram, che inibisce l’acetaldeide.

75
Q

controindicazioni per terapia diabete, affetti da

A

~ insufficienza renale
- insufficienza epatica
- diabete di tipo 1
Questi farmaci possono avere effetti collaterali perché essendo metabolízzati a livello epatico o a livello
renale, se il paziente ha insufficienza renale, quelli che vengono escreti per via renale si accumulano e
danno ipoglicemia.
Se un paziente ha insufficienza renale e diamo ipoglicemizzante orale (ammettiamo abbia 18 ore di
emivita), l’emivita aumenta, si accumula e quindi si possono avere crisi ipoglicemiche.

76
Q

Vari sono i tipi di suifaniluree:

A

abbiamo la clorpopamide, che ha principalmente un valore storico, come pure la
glibenclamide che tutto sommato qualcuno ancora utilizza,
I e poi le sulfaniluree di più recente sintesi che hanno una durata variabile da 20 a 24
ore perla glimepíríde, mentre la glicazide ha 8-15 ore, per cui in pratica si danno due
compresse al giorno.

77
Q

Meccanismo :fazione sulfaminurie

A

Le sulfaniluree si legano al loro recettore che si trova a livello della cellula. Questo legame chiude i canali
per il potassio (quindi viene ad essere bloccato l’inWard del potassio all’interno delle cellule).
Questa chiusura determina:
- una depolarizzazione della membrana,
~ un’apertura dei canali per il calcio, che entra nella cellula, quindi aumenta il calcio ionizzato nel
citosol, questo determina l’estrusione della molecola dell’insulina.

78
Q

Derivati dell’acido benzoico

A

Poi abbiamo i derivati dell’acido benzoico (il repaglinide, per esempio) che hanno dei vantaggi perché
stimolano la prima fase della secrezione insulinica e soprattutto hanno una breve emivita, quindi il rischio di
accumulo e di ipoglicemia è scarso e vengono, in genere, associati con la metformina.
3. Insulino-sensibilizzanti
La metformina, è ormai un farmaco di prima scelta nella terapia per il diabete di tipo 2.
E’ una biguunide, un farmaco sensibilizzante il recettore dell’insulina, e quindi nel tempo riduce l’insulino-
resistenza, determina quindi una maggiore sensibilità tissutale e contestualmente riduce un po’
l’assorbimento del glucosio. L’aumento della sensibilità tissutale all’insulina riduce l’insulino-resistenza e
quindi riduce la concentrazione ematica dell’insulina.
Sembra inoltre che stimoli GLP1.
La metformina ha anche delle azioni extraglicemiche:
I riduzione del peso corporeo
I si può avere anche un parziale miglioramento dell’assetto lipidico, ma gli effetti più importanti sono
questi.
Quindi la metformina non stimola la secrezione dell’insulina, ha effetti periferici sui recettori, sul
metabolismo. Può essere somministrato da solo, nelle forme iniziali, oppure associato a sulfaniluree e ad
altri farmaci.
Se il paziente ha insufficienza renale non va dato. Gli effetti collaterali possono essere mal di pancia e un po’
di dolori intestinali.
4. Gli altri farmaci insulino-sensibilizzanti sono i tiazolidinedioni, che sono stimolanti del recettore nucleare
PPAR V. Questo recettore trascrive sostanze coinvolte nel metabolismo dei lipidi e nella ß-ossidazione, nel
trasporto dei NEFA.
Questi farmaci hanno un effetto sensibilizzante sull’insulina, riducono i trigliceridi, ma possono avere effetti
collaterali come:
I ritenzione idrica,
I eclemi periferici,
I aumento di peso perchè stimolano la replicazione degli adipociti sottocutanei,
I aumento del colesterolo.
I Alcuni possono avere effetti negativi sul cuore, ossia possono aumentare l’incidenza di cardiopatie
ischemiche. Il rosiglitazone è stato tolto dal commercio.

79
Q

CONTROINDICAZIONI DERIVATI ACIDO BENZOICO

A

Scompenso, epatopatie e insufficienza renale.
Queste sono le terapie classiche storiche, di tanti anni fa.

  1. Incretine
    Ultimamente sono state inserite le incretine,
    Sono ormoni intestinali che vengono liberati
    durante l’assunzione del cibo e che migliorano la
    secrezione insulinica riducendo quella del
    glucagone. Tanto è vero che la risposta glicemica
    infatti è diversa se date il glucosio in vena o per
    bocca: per bocca è maggiore la risposta insulinica,
    perché entrano in gioco le incretine, liberate a
    livello intestinale (owiamente non liberate se
    l’assunzione si ha in vena).
    lncretine e secrezione insulinica:
    Quali sono le incretine?
    > ll GLP1 (glucagone-like peptide 1), peptide
    parte del colmi’ Tempo (min) Tempo (min)
    > Il GlP (G/ucose-dependent insulinotropíc
    po/ypeptide), prodotto dal duodeno e dal digiuno.
    Queste incretine si possono infondere come insulina oppure si possono dare gli inibitori delle dipeptidasi,
    che possono essere utilizzati soli oppure associati per es. a metformina.
    Questi GLP1 e GIP hanno emivita molto breve, 7 minuti, perché sono metabolizzate dalle dipeptidasi.
    Dando inibitori di questi enzimi si annulla l’emivita e quindi si ottiene un effetto a livello del pancreas con
    stimolazione dell’insulina e con inibizione del glucagone (iperglicemizzante).
    Oppure, si possono infondere sottocute, una volta al giorno, degli analoghi delle incretine. (slides).
    infine vi sono inibitori del cotrasportatore della proteina di trasporto selettiva del sodio e del glucosio.
    Noi diamo questa sostanza che blocca il reuptake del glucosio e quindi determina perdita urinaria del
    glucosio, che quindi fa calare la glicemia.
    Questo è però un farmaco ancora sotto giudizio perchè vi son effetti collaterali:
    - per es., aumentano le infezioni alle vie urinarie
80
Q

Terapia insulinica

A

A questo punto si arriva poi alla terapia insulinica. Si fa innanzitutto nel diabete di tipo 1 sennò il pz muore.
Nella storia naturale del diabete di tipo ll va fatta quando si arriva al fallimento secondario per cui certi
pazienti non rispondono agli ipoglicemizzanti, agli insulino-sensibilizzanti e agli inibitori delle dipeptidasí.
Se poi il paziente ha cirrosi 0 insufficienza renale non possiamo dargli ipoglicemizzanti, se si hanno
complicanze dobbiamo ricorrere all’insulina.

Nel soggetto diabetico, soprattutto di tipo 2, bisogna ridurre la glicemia basale e poi cercare di correggere
questo aumento di glicemia postprandiale. Qual è lo scopo di dare insulina a questi pazienti di tipo 2?
Nel diabete di tipo ll scompensato la glicemia basale parte da un livello molto più alto quindi uno degli scopi
dell’impiego dell’insulina è quello di ridurre la produzione epatica di glucosio. A questo punto è più
facilmente trattabile con le ìnsuline pronte.
le insuline regolari, quelle che si chiamano
pronte, hanno effetto rapido, che in parte ma
non completamente mima la secrezione
dell’insulina endogena. Se si dà l’insulina
pronta prima di colazione non si ha una
concentrazione ematica immediata elevata e
l’effetto dura circa 8-9 ore.
L’ insulina regolare è im insmina «mom assøciaia .i basse
cømnrmuenidi zii (o,s-0,1%).
i _ - ;~_ Dona i’ miwiimvi e un ricardoiama ansa’ ineiia wmimsa .ii
/* ›,` insuiina arwianre “iag-phase”, misague un picco a L3 ma e ia
E miviparsa dal cimølu in dim aan nre.
Le insuline intermedie, ad esempio la NPH (NeutruI Protamine Hagedorn NdR) hanno la protamina,
che annulla l’effetto biologico per cui ha un assorbimento molto lento, il picco massimo di attività
dopo 4-6 ore ma l’effetto dura anche 12 ore.
Le miscele umane hanno le insuline pronte in
una certa percentuale, associate a insuline
intermedie. Per cui iniettandolo si ha un
effetto, un picco, immediato, grazie alla
pronta e un prolungamento dell’azione con
l’intermedia. Le miscele possono esser
diverse, per cui quando vedete ‘insulina ta/
dei tali’ 30- 70, vuol dire che 30 è la pronta,
mentre 70 è il valore delfiritermedia.
Le insuline nremisoelate umane sono una comhìnadenedl insulina
1 regolare -› NPH ln percentuali dlfflrërili (Z0/70, SD/50), ll prima valore
-, mnispømie aiia pmenruaiaai mgaiare.
, _; La curva cinetica è la rfsullznke della curva 9 della concentiafione
3 aeii’ iusuiina regalare e nella Nim.

81
Q

Gli analoghi brevi insulina sono:

A

Lispro, Aspart Giulisina e hanno un profilo farmacologico che è più simile a
quello fisiologico, normale, rapido inizio di azione ed un effetto limitato nel tempo, per cui l’effetto
biologico lo abbiamo entro un’ora e l’effetto completo si esaurisce in 6 ore.
Questo serve sostanzialmente a ridurre la glicemia postprandiale, il problema però è che bisogna avere un
farmaco che tende a mimare più o meno la secrezione basale di insulina del soggetto normale, che il
diabetico non ha.
5. Per questo è utilizzata l’insulina ritardo. Ce ne sono tante.
> Una insulina ritardo è Ia glargine che in i ‘ “_ ‘ i ‘ msminagiargme ‘
‘ ‘ ‘ '¬=~’= ¬»¬%~¬’.*~
genere viene somministrata la sera.
La Mine S’ Hama in eamefif f°”“a
dei microprecipitati a livello del
sottocute e quindi lassorbimento ,_
_ _ _ = ‘,.~“ìf ‘ ‘J 1 n.’~f=»¬^:.
molto lento e una sola iniezione fâ La-.§§.~;,f:;›,, ,,››.-~,;§j,m
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sufficiente a ridurre la glicemia per circa
20424 ore. Questo farmaco consente,
quindi, di avere livelli costanti di
insulina, in maniera tale da arrivare al
mattino a digiuno con una glicemia più
o meno normale e questo permette di migliorare il controllo glicemico perché poi ai vari
pasti va aggiunta l’insulina pronta.
> Accanto a questa, abbiamo un’altra insulina, la detemir, che si lega ad albumina, quindi
long acting, che però ha un effetto farmacologico leggermente inferiore alla precedente.
> Attualmente c’è un’altra insulina che dura 36 ore circa.
> ln virtù della numerosità dei siti di legame l’azione di detemir non è modificata in caso di
ipoalbuminemia, variazioni di FFAs o presenza di farmaci che si legano all’albumina.
ll principio è di dare, laddove non è più possibile trattare un paziente di tipo 2 perchè c’è il fallimento, ma
anche nel tipo 1, 4 compensazioni:
~ una con insulina lenta, viene fatta la notte, prima di andare a letto, generalmente,
- e poi le 3 pronte, mediante gli analoghi, prima di colazione, prima di pranzo e prima di cena.
La lispro-protarnina è un insulina ritardo con inizio d’ azione in
circa 1-2 ore, la sua durata d’ azione è di 16-18 ore.
Le miscele con analoghi + analoghi protaminati hanno una
_ :Â cinetica che dipende dai rapporti delle loro concentrazioni nella
51; ‘ miscela e dalle dose.

82
Q

Profilo fisiologico insulina

A

Domanda. Questa è lo terapia d’elezione per il diabete di tina 1. E uer il tipo 2?
ll tipo li dipende dal grado di scompenso. Nelle fasi iniziali quando il paziente presenta una glicemia mattutina un po’ alta si può
aggiungere un po’ di insulina in modo da farfunzionare meglio o gli inibitori delle dipeptidasi o la melformina.
Nell’evoluzione però anche il diabete di tipo il può andare incontro a questo schema di terapia. Dipende dalla situazione generale,
se ci sonofatti infettivi, se ci sono scompensi eccetera. Chiaramente dipende da paziente a paziente.
Domanda. Ci sono macchinari che riescano a iniettare insulina a secondo delle necessità?
Uinfusore. Diciamo che va messo ma non è di routine. Si mette principalmente nel diabete di tipo l difficilmente controllabile.
Domanda. Un diabetico di tion I dovrebbe reaolarmenre fore dei controlli da un diobetoloao. Più o meno ogni guanto?
Dipende. Se c’è una chetofacidosi va corretta. Dopo che la instaurata la terapia di base se la situazione è stabile anche ogni 3 o 4
mesi. Quando la situazione è stabilizzata può anche andare ogni 6 mesi. Un paziente di tipo I ma anche di tipo ll dovrebbe
autogestìrsi. li concetto importante è che uno inserisce la quantità di insulina in rapporto a quello che mangia.