ch8 pag 21-26 Flashcards
(9 cards)
CONCORRENZA PERFETTA E MONOPOLIO
La concorrenza perfetta è un modello ideale e teorico di funzionamento del mercato caratterizzata dalla: -
Contemporanea presenza sul mercato di numerose imprese in competizione fra loro, nessuna delle quali è singolarmente in grado di condizionare il prezzo delle merci vendute;
- Piena mobilità dei fattori produttivi e piena mobilità della domanda da parte dei consumatori, liberi di orientare le proprie scelte verso i prodotti più convenienti per qualità e prezzo.
- Assenza di ostacoli all’ingresso di nuovi operatori in ogni settore della produzione e della distribuzione, nonché di accordi fra le imprese che falsino la libertà di competizione economica.
La realtà è radicalmente diversa in quanto nei settori strategici della produzione (materie prime fondamentali, macchinari, manufatti ad alta tecnologia), si tende verso un regime di mercato sempre più lontano dalla concorrenza perfetta. Infatti la disomogenea distribuzione territoriale delle risorse naturali, gli ingenti investimenti di capitali richiesti dalla moderna produzione industriale di massa, la scarsa mobilità della mano d’opera, sono tutti fattori che, da un lato, limitano vistosamente la libertà di accesso al mercato di nuovi operatori e, dall’altro, spingono le imprese già operanti ad accrescere le proprie dimensioni, a concentrarsi ed a collegarsi creando così situazioni di oligopolio ossia un mercato caratterizzato dal controllo dell’offerta da parte di poche grandi imprese.
Inoltre, gli imprenditori concorrenti, molto spesso preferiscono accordarsi tra loro piuttosto che competere per prevalere gli uni sugli altri e quindi stipulano patti diretti a limitare la reciproca concorrenza; intese con le quali si dividono i mercati di sbocco, predeterminano i prezzi da praticare, le quantità da produrre globalmente e la quota spettante a ciascuno di essi. Il regime concorrenziale del mercato è così profondamente alterato.
Le concentrazioni ed intese anticoncorrenziali possono sfociare nel cosiddetto monopolio di faPo che si ha quando l’offerta di un dato prodotto è controllata da una sola impresa o da poche grandi imprese coalizzate, libere di fissare a loro piacimento il relativo prezzo e di conseguire elevati margini di profitto a scapito degli interessi generali della collettività.
LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA
Per quanto riguarda la disciplina della concorrenza, il principio generale del nostro ordinamento giuridico è la libertà di iniziativa economica e questo principio, richiede che tale libertà di iniziativa debba essere svolta in maniera leale.
A tal proposito esistono diverse normative, dettate non soltanto dall’ordinamento nazionale, ma anche dall’ordinamento comunitario. Esse sono:
* Le cosiddette limitazioni della concorrenza che possono essere legali o convenzionali. Cioè, in alcuni casi è possibile che la concorrenza venga limitata o per effetto di legge o per effetto di una pattuizione tra due o più imprenditori.
* La Legislazione antimonopolistica.
* La Concorrenza sleale.
LE LIMITAZIONI LEGALI DELLA CONCORRENZA
La libertà di iniziativa economica e la libertà di concorrenza possono essere limitate dal legislatore per fini di utilità sociale. Molte sono le forme di regolamentazione, alcune sono:
- I controlli sull’accesso al mercato di nuovi imprenditori, con concessioni o autorizzazioni amministrative.
- I controlli sulle attività, riconosciuti alla pubblica amministrazione, nei confronti delle imprese che operano in alcuni settori. L’articolo 43 della Costituzione pone dei limiti allo Stato di creare monopoli pubblici. Sono inoltre stabiliti i settori in cui può essere legittimato un monopolio pubblico. Ad esempio, nel settore delle fonti di energia. Il legislatore pone un duplice obbligo a chi opera in regime di monopolio:
1. Obbligo di contrarre con chiunque richieda le prestazioni e di soddisfare le richieste.
2. Obbligo di rispettare la parità di trattamento fra i diversi richiedenti. La parità di trattamento, però, non implica che le condizioni contrattuali debbano essere le stesse per tutti gli utenti, l’importante è che il monopolista non tratti gli utenti con disparità gravose.
LIMITAZIONI CONVENZIONALI DELLACONCORRENZA
Le limitazioni convenzionali sono quelle che intervengono privatamente tra due o più imprenditori che decidono di limitare la reciproca concorrenza. L’ordinamento giuridico consente la stipulazione di tali accordi restrittivi basati su 3 regole:
1) Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto.
2) Il patto non può negare lo svolgimento di ogni attività, ma solo alcuni tipi di attività a cui esso è abilitato.
3) È imposto un limite di durata massima di 5 anni.
Un tipico esempio di patto di non concorrenza è il patto di contingentamento della produzione. Per contingentamento si intende quel patto con il quale gli imprenditori decidono di limitare la quantità di beni o servizi immessi sul mercato, limitandone la produzione. Tale limitazione può procurare uno svantaggio ai consumatori e quindi proprio per questo è necessario porre dei limiti.
LA LEGISLAZIONE ANTIMONOPOLISTICA
La legislazione antimonopolistica è una legge che proviene dalla comunità Europea ed è stata introdotta nell’ordinamento italiano per effetto della legge n. 287/1990. L’organo che tende a controllare la legalità dell’operato delle imprese e ad erogare sanzioni è l’Autorità Garante Della Concorrenza E Del Mercato (AGCM, da non confondere con l’AGCOM che riguarda il settore delle comunicazioni).
In altre parole, l’AGCM è l’organo deputato a controllare e sanzionare le fattispecie previste dal diritto antitrust che sono:
* Le intese restrittive della concorrenza.
* L’abuso di posizione dominante.
* Le concentrazioni.
Le INTESE sono accordi fra imprese, volti a limitare la propria libertà di azione sul mercato. Tali accordi devono essere stipulati in forma scritta. Ad esempio, gli accordi in cui si fissano prezzi uniformi. Non tutte le intese però sono vietate, ma solo quelle che falsano in maniera consistente il gioco della concorrenza. Sono lecite invece le intese minori che per la struttura del mercato interessato non incidono in maniera consistente il gioco della concorrenza. Le intese più ingannevoli sono le Pratiche Concordate. In quanto esse non prevedono un contratto o un accordo scritto, ma consistono in una forma di coordinamento fra imprese su determinate politiche di vendita a danno della concorrenza. Esse si differenziano dagli accordi perché, mentre gli accordi sono scritti ( o comunque prevedono una formalizzazione), la pratica concordata è occulta e quindi il contratto tra i gli imprenditori non c’è o non verrà mai scoperto.
La sanzione che colpisce le intese vietate è la nullità. Il divieto delle intese non ha carattere assoluto, ma l’autorità può concedere ESENZIONI TEMPORANEE purché si tratti di intese che migliorano le condizioni del mercato e producono un beneficio per i consumatori. Quali sono concretamente le intese?
L’esempio classico è quello delle intese sui prezzi, che possono essere di due tipi:
* intese sui prezzi troppo alti.
* intese sui prezzi troppo bassi (danneggiano il mercato perché causerebbero inevitabilmente la fuoriuscita di tutti gli altri concorrenti).
Altri tipi di intese sono:
- La cosiddetta ripartizione dei mercati, ovvero quell’intesa in cui più imprenditori si dividono le aree geografiche in cui operare.
- Le pratiche leganti, ovvero delle intese che comportano uno sfruttamento del potere della propria posizione in un altro settore. Un esempio classico è quello delle concessionarie che impongono o consigliano di stipulare l’assicurazione presso determinate imprese di assicurazione.
ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE
Per abuso s’intende l’imporre una serie di condizioni che possono risultare eccessivamente gravose per i consumatori. Ad un’impresa in posizione dominante è vietato di:
- Imporre prezzi e condizioni ingiustificatamente gravosi.
- Impedire o limitare la produzione.
- Applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti. Tale divieto di abuso non ammette eccezioni e l’autorità addetta al controllo, una volta accertato l’abuso di posizione dominante, ne ordina la cessazione prendendo le misure necessarie.
Tutti questi comportamenti, se sono realizzati da un’impresa che però non si trova in una posizione di mercato, non sono sanzionati. Questo perché il legislatore considera irrilevante il caso del singolo salumiere che decide di imporre un prezzo eccessivamente elevato dei suoi prodotti (questo suo comportamento provocherebbe la chiusura del singolo locale commerciale, non intaccherebbe in alcun modo il mercato).
Quand’è che un’impresa si trova in posizione dominante?
In tal senso la giurisprudenza ha definito una serie di indizi basati sulla quota di mercato. Ovvero dice che:
- È sicuramente in posizione dominante un’impresa che detiene il 70% della quota di mercato in quel settore;
- È probabilmente in posizione dominante l’impresa che abbia una quota di mercato compresa tra il 50% e il 70%.
Le sanzioni per l’abuso di posizione sono sanzioni pecuniarie e in alcuni casi può essere disposta anche una sospensione coattiva dell’esercizio dell’attività d’impresa fino a 30 giorni (sempre da parte dell’AGCM). Infine, abbiamo L’ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA, che si realizza quando un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, squilibri di diritti ed obblighi. Tale patto è vietato e l’impresa che ha subito l’abuso ha diritto al risarcimento dei danni.
LE CONCENTRAZIONI
Le concentrazioni non devono essere confuse con le intese, ovvero una certa somiglianza c’è ma, mentre nell’ambito delle intese, le imprese restano sempre distinte dal punto di vista giuridico, le concentrazioni comportano invece dei legami societari, che riguardano il capitale e delle imprese che vi partecipano. Si ha concentrazione quando:
- 2 o più imprese si fondono dando vita ad un’unica impresa.
- 2 o più imprese indipendenti costituiscono un’impresa societaria comune.
- 2 o più imprese, pur restando giuridicamente distinte, diventano un’unica entità economica.
Diverso è quindi il modo di concentrazione ma il risultato economico ultimo è lo stesso, ovvero, l’ampliamento della quota di mercato realizzato attraverso operazioni che comportano la riduzione del numero delle imprese indipendenti operanti nel settore. Le concentrazioni non sono di per sé vietate in quanto accrescono la competitività delle imprese. Diventano però illecite e quindi vietate quando alterano gravemente il regime concorrenziale. Questo vale per le concentrazioni di maggior dimensione. Pertanto, è stabilito che le operazioni di concentrazione che superano determinate soglie di fatturato devono essere comunicate all’autorità italiana (AGCM = AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO ) o alla commissione europea. L’autorità può vietare la concentrazione, oppure, in alternativa, può autorizzarla prescrivendo le misure necessarie da adottare per impedire conseguenze gravose per la concorrenza. Se tali norme non vengono rispettate sono previste pesanti sanzioni pecuniarie.
LA CONCORRENZA SLEALE
Ciascun imprenditore può porre in atto tecniche e strategia sia per attrarre a sé i consumatori, sia per sottrarli ai propri concorrenti. Il danno che un imprenditore subisce a causa della sottrazione della clientela da parte di concorrenti non è danno ingiusto se il concorrente ha agito in modo leale e legale. Da qui l’esigenza di fissare alcune regole di comportamento da osservare al fine di impedire slealtà concorrenziale. Tali atti sono repressi e sanzionati anche se non hanno ancora cagionato il danno ai concorrenti. Basta il cosiddetto danno potenziale. Le sanzioni inflitte al legislatore provocano l’inibitoria alla continuazione degli atti di concorrenza sleale, la rimozione degli effetti prodotti e il diritto al risarcimento dei danni.
Altra sanzione è la Pubblicazione della sentenza, che è una sanzione molto auspicata da parte degli imprenditori perché consiste nel pubblicare sulla stampa, sui quotidiani, ecc. la sentenza che condanna il concorrente che ha agito in via sleale. Sono legittimati ad agire sia gli imprenditori lesi sia le cosiddette associazioni di categoria, ovvero quelle associazioni formate da persone che esercitano un’attività economica pubblica o privata, che possono citare in giudizio un concorrente che abbia agito in maniera sleale. L’associazione di categoria può però agire solamente in nome di tutta la cerchia imprenditoriale, quindi, perché agisca è necessario che vi sia più di un concorrente danneggiato. L’associazione di categoria può adottare due forme d’intervento: l’intervento autonomo (laddove agisca indipendentemente e in prima battuta) e l’intervento adesivo (costituendosi al fianco di un imprenditore).
Naturalmente trattandosi di un’associazione non potrà richiedere il risarcimento del danno. Tutelati sono anche i consumatori, ma non direttamente. La disciplina della concorrenza sleale lascia i consumatori esposti ai possibili inganni dei mezzi di persuasione pubblicitaria a cui le imprese ricorrono per orientare la domanda verso i loro prodotti. Il decreto legislativo 146/2007 ha introdotto una disciplina contro tutte le pratiche commerciali scorrette nei confronti dei consumatori, che inducevano il consumatore stesso ad assumere decisioni commerciali che altrimenti non avrebbero preso.
Sono da tenere distinte dalla concorrenza sleale la pubblicità ingannevole e comparativa e le pratiche commerciali scorrette perché l’organo deputato alla tutela è l’AGCM, non il giudice ordinario.
Per pubblicità ingannevole s’intende ogni dichiarazione trasmessa da un soggetto imprenditoriale che abbia per effetto quello di trarre in inganno i consumatori.
La pubblicità comparativa non è invece sempre illecita. Costituisce pubblicità comparativa ogni pubblicità che identifichi i beni o servizi offerti da un concorrente. La comparazione è lecita quando è fondata su dati veri ed oggettivamente verificabili, non provoca confusione sul mercato e non scredita il concorrente.
Le pratiche commerciali scorrette (che possono essere ingannevoli o aggressive) sono tutte quelle diffusioni di messaggi, notizie, ecc. che hanno per effetto quello di trasmettere informazioni erronee nei confronti dei consumatori. L’AGCM nel giudicare una pratica commerciale scorretta tiene conto del cosiddetto consumatore medio. Il parametro di consumatore medio è stato elaborato dalla legislazione comunitaria e poi introdotto anche in Italia e gode di notevole importanza perché cambia la prospettiva da cui si pone il legislatore. Il consumatore medio è mediamente attento e ragionevolmente informato.
Le pratiche commerciali si distinguono in ingannevoli e aggressive. Una pratica commerciale è considerata aggressiva quando limita la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio, inducendolo ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso, attraverso: molestie, il ricorso a minaccia fisica o verbale, ecc.
È considerata ingannevole qualsiasi pratica commerciale che contiene informazioni non veritiere o che induce o in errore il consumatore medio su:
- natura, caratteristiche e prezzo del prodotto.
- informazioni sul venditore, ecc. inducendolo ad assumere una decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Quali sono gli atti di concorrenza sleale?
- ATTI DI CONFUSIONE, ovvero ogni atto volto a creare confusione con i prodotti o con l’attività di un concorrente. È lecito attrarre a sé la concorrenza, ma è illecito farlo avvalendosi di mezzi atti a trarre in inganno il pubblico sulla provenienza dei prodotti o sull’identità personale dell’imprenditore. Molteplici sono le tecniche di inganno:
1) Uso di nomi o di segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o segni distintivi usati da altri.
2) L’imitazione dei prodotti di un concorrente. Vale a dire la riproduzione delle forme esteriori dei prodotti altrui (involucro, confezione, rivestimento) attuata in modo da ingannare la clientela a supporre che i due prodotti, l’originale e l’imitazione, provengono dalla stessa impresa. - ATTI DI DENIGRAZIONE, consistono nel diffondere notizie e apprezzamenti sull’attività altrui idonei a determinare discredito. Ovvero, si tende a mettere in cattiva luce i concorrenti danneggiando la loro reputazione commerciale. Non costituisce denigrazione, ai sensi art. 2598, la diffusione delle notizie sulla vita privata dell’imprenditore.
- APPROPRIAZIONE DI PREGI ALTRUI. Con l’appropriazione di pregi altrui, si intende incrementare il proprio prestigio attribuendo ai propri prodotti delle qualità che però appartengono ad altri concorrenti.
- PUBBLICITA’ IPERBOLICA, ovvero si intende accreditare l’idea che il proprio prodotto sia IL SOLO a possedere specifiche qualità. Es. Il caffè decaffeinato “X” è IL SOLO che non fa male al cuore.
- OGNI ALTRO MEZZO NON CONFORME AI PRINCIPI DELLA CORRETTEZZA PROFESSIONALE IDONEO A DANNEGGIARE L’ALTRUI AZIENDA. (art.2598, n.3). Questa formula è molto generica e aperta per scelta del legislatore ed è in grado di abbracciare altre fattispecie che non potevano essere previste prima e che non potrebbero essere previste di anno in anno. Questo anche in considerazione del fatto che la concorrenza sleale è molto legata al marketing e di conseguenza la sua disciplina è in continuo mutamento. Un esempio è lo storno dei dipendenti.
Lo storno dei dipendenti è una fattispecie che si configura laddove un imprenditore sottragga un dipendente ad un altro imprenditore al solo fine di arrecare un danno al competitor. Il problema non è di facile soluzione. È infatti legittimo che un dipendente cambi datore di lavoro. Tuttavia qualora la sottrazione del dipendente non sia finalizzata a servirsi del dipendente ma solamente all’arrecare un danno al competitor si avrà un atto di concorrenza sleale. La giurisprudenza ha individuato alcuni indizi per delineare l’esistenza di questa fattispecie e sono: - La modalità con cui è avvenuta la sottrazione del dipendente. Infatti, un conto è fare una proposta di lavoro migliore rispetto a quella del competitor, un altro è trasmettere notizie infondate sullo stato di salute dell’attuale datore di lavoro.
- Il numero dei dipendenti stornati e, la rilevanza che essi avevano nell’impresa dove lavoravano precedentemente.
- L’importanza che quel dipendente ha nella nuova impresa. Se infatti, il dipendente stornato assume nella nuova impresa un lavoro non indispensabile per l’attività di impresa, mentre nella vecchia impresa aveva un ruolo chiave, questa è considerata come quella azione volta solamente a cagionare un danno al competitor.