Esame emocromocitometrico Flashcards

1
Q

Come viene eseguita l’analisi del sangue e perché viene richiesta?

A

Il sangue è il campione biologico più comunemente utilizzato per le analisi biochimico-cliniche. Le matrici del sangue sono:
- Sangue intero
- Plasma
- Siero
Esse variano per significato e validità clinica.

L’analisi del sangue avviene mediante test emocromocitometrico svolto in meno di un minuto oggigiorno, ma che nasconde dietro un lavoro di ricerca e di ingegneria estremamente sofisticato. La matrice usata nel test emocromocitometrico è il sangue intero, costituito da:
- Plasma 46-63%
- Parte corpuscolata 37-54%; questa a sua volta comprende: globuli russi per il 99,9%, e globuli bianchi (neutrofili 50-70%, linfociti 20-30%, monociti 2-8%, eosinofili 2-4%, basofili <1%) e piastrine per lo 0,1%
Nel test emocromocitometrico vengono valutati gli elementi cellulari del sangue, ma anche altre caratteristiche come per esempio l’ematocrito, il rapporto tra parte liquida e parte corpuscolata del sangue. Oggetto dell’esame è analizzare in particolare la composizione cellulare del sangue e distinguerne gli elementi presenti all’interno, in termini di:
- Globuli rossi
- Globuli bianchi
- Piastrine
È in grado anche di garantire una serie di valutazioni qualitative per comprendere appunto la qualità delle cellule nel campione di sangue. Consiste in una serie di calcoli e misurazioni che vengono poi convertite in un referto che va interpretato.

L’esame del sangue è un esame che viene richiesto in prima battuta come screening per valutare lo stato di salute di un soggetto. È un esame di prima linea che viene richiesto di fronte a sintomi molto aspecifici nel paziente quali fatica o debolezza, nel caso di sospette infiammazioni o infezioni, o anche per problemi emostatici. Spesso è lo strumento più importante per il monitoraggio di pazienti che hanno determinate patologie, in particolare condizioni che alterano la qualità del sangue, e quindi malattie a carico del sistema emopoietico o per pazienti sottoposti a chemio, che inficia la produzione di cellule da parte del midollo osseo, i quali vengono monitorati attraverso questo test per valutare l’andamento nella ripresa della loro attività emopoietica e l’efficacia del trattamento.

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Q

Come si è evoluta nella storia la caratterizzazione del sangue?

A

La caratterizzazione del sangue, nel corso della storia della medicina, ha riscontrato dei problemi, che sono tutt’oggi, con gli strumenti moderni, presenti nei nostri tentativi di quantificare e valutare la composizione delle cellule del sangue.
Ormai più di 450 anni fa, nel 1658 il biologo olandese Swammerdam osservò per la prima volta i globuli rossi, le cellule più abbondanti nel sangue, caratterizzati da una discreta dimensione, che, quindi, ne ha consentito l’osservazione e identificazione con i rudimentali sistemi microscopici dell’epoca. Nel 1695 van Leeuwenhoek descrisse la struttura dei globuli rossi. Per i successivi 150 anni non fu visto altro se non “corpuscoli rossi”. Nei 150 anni che seguirono le migliorie nelle tecniche microscopiche hanno consentito l’identificazione dei globuli bianchi, o leucociti, descritti per la prima volta nel 1843 da Andral e Addison. Nel 1842 il francese Donnè scoprì dei corpuscoli opalescenti, piccoli e globulari, visibili nel sangue. Nel 1843 un italiano, Bizzozero, identificò e descrisse il significato funzionale dell’ultima componente cellulare del sangue, le piastrine. Bizzozero definì le piastrine come “polvere del sangue” per via delle loro dimensioni estremamente ridotte, che all’epoca sembravano non avere le caratteristiche di strutture cellulari vere e proprie. Nel 1879 poi Paul Ehrlich sviluppò la prima colorazione ematologica che consentì di distinguere i linfociti tra i leucociti.
A seguito dell’identificazione delle cellule del sangue, gli studiosi iniziarono a porsi il problema della conta delle cellule sanguigne. Uno dei primi pionieri in questo ambito fu Karl Burker che nel 1905 sviluppò un’efficiente camera di conta e di valutazione del numero di cellule presenti in un campione. La camera messa a punto da Burker tutt’oggi è presente nei laboratori, dove viene utilizzata per avere un’indicazione sul numero di cellule in un campione biologico, anche se non estremamente precisa.
Le camere per la conta delle cellule nel sangue, seppur rudimentali, utilizzate in laboratorio sono ad esempio la camera di Burker e quella di Neubauer (introdotta nel 1907). Sono dei supporti su cui vengono disegnate griglie e dopo aver fatto depositare un piccolo campione di pochi μl di sangue, le cellule si dispongono sulla griglia; dal conteggio del numero di cellule presenti nei diversi campi della griglia, tenendo conto del volume utilizzato e della superficie, che è costituita da ogni singolo quadrato della griglia, è possibile applicare una formula matematica per ottenere una stima del numero di cellule presenti nel campione. Ciò è l’inizio primordiale delle tecniche di conta cellulare.

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Q

Quali sono i metodi attuali su cui si basa l’esame emocromocitometrico?

A

Se pensiamo al numero di esami emocromocitometrici ogni giorno compiuti, ad esempio in un ospedale, è impensabile fare riferimento ancora a queste tecniche per valutare la composizione cellulare di un campione di sangue. L’ingegneria, l’utilizzo della fluorescenza e tecniche microscopiche sempre più sofisticate hanno consentito lo sviluppo della citometria. La citometria è una tecnica che consente di arrivare a una risoluzione di singola cellula per ottenere informazioni sulle caratteristiche morfologiche delle cellule.
Numerosi passi in avanti nell’ultimo secolo hanno consentito lo sviluppo di questa tecnica. Evento fondamentale è stata la scoperta da parte di Wallace Coulter, nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale (tra 1947 e 1949), dell’omonimo principio di Coulter, alla base dello sviluppo delle tecniche di citometria. Il principio consente di ottenere informazioni sulla dimensione delle cellule, sfruttate dagli strumenti moderni per caratterizzarle e discriminarle.

L’esame emocromocitometrico moderno, è basato su sistemi automatizzati che sono in grado di applicare principalmente due metodi:
- Metodo dell’impedenza che applica il principio di Coulter
- Sistemi ottici che forniscono informazioni sulla morfologia cellulare
Questi metodi sono alla base di ogni apparecchio contaglobuli o macchina per l’esame emocromocitometrico.
Il principio dell’impedenza è basato sul principio di Coulter. Coulter osservò che il passaggio di cellule in un campione liquido attraverso due elettrodi comportava una variazione del campo elettrico direttamente proporzionale alle dimensioni della cellula. Su questo principio fondamentale si basano le apparecchiature nel laboratorio analisi per valutare le dimensioni cellulari.
Il principio delle unità ottiche si basa sul fatto che le cellule, quando colpite perpendicolarmente da un fascio di luce, deviano e riflettono la luce in direzioni diverse. Quindi, come risultato, quando la cellula viene colpita dal fascio di luce essa genera una diffrazione della luce definita forward scatter, una dispersione frontale al passaggio, che è un indice del volume e delle dimensioni cellulari, similmente al principio dell’impedenza. Contemporaneamente e analogamente, la cellula, quando passa attraverso questi fasci di luce, oltre a generare una diffrazione frontale, respinge lateralmente la luce, creando il cosiddetto side scatter, parametro che dipende da caratteristiche strutturali cellulari, in particolare la complessità cellulare, cui concorrono il contenuto di granuli, nuclei (rapporto con citoplasma, compattezza cromatina, morfologia, dimensioni), organuli, ecc. Più una cellula contiene un nucleo polilobato e grande, ad esempio, maggiore sarà la sua complessità; più granuli e altre strutture una cellula contiene, più queste saranno in grado di modificare la quantità di luce riflessa lateralmente al suo passaggio. I globuli rossi, per esempio, non presentano nucleo o granuli e avranno side scatter inferiore rispetto a quello dei granulociti, ricchi di granuli.
L’applicazione di questi principi ha richiesto lo sviluppo di strumenti con una fluidica estremamente controllata, per cui le cellule di un campione, ad esempio di sangue, in cui le cellule sono diffuse all’interno del volume, potessero passare in maniera ordinatamente allineata, in modo da consentire il passaggio individuale nei punti in cui sono applicati i sistemi di misurazione e quantificazione di variazione di voltaggio elettrico (per ciò che riguarda l’impedenza) o di calcolo e quantificazione di luce riflessa lateralmente e frontalmente dalle cellule al loro passaggio.

Ulteriori metodiche negli strumenti moderni, derivati dall’evoluzione di nuove tecniche e dalla ricerca, hanno aumentato la sensibilità degli strumenti e la quantità di informazioni ottenute del campione. In particolare, la citometria a flusso, ulteriore sviluppo della citometria, integra tecniche di fluorescenza, tecniche di lisi cellulare selettiva, destinate cioè solamente a certi tipi di cellule nel campione di sangue rispetto ad altre, colorazioni specifiche che mettono in evidenza sostanziali caratteristiche cellulari.

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4
Q

Qual è la modalità di analisi nel test e quali informazioni consente di ottenere?

A

Il campione nell’esame emocromocitometrico è il sangue intero anticoagulato, poiché avendo bisogno di analizzare le cellule, la matrice non necessita separazione della frazione cellulare da quella liquida, né come plasma né come siero. L’anticoagulante utilizzato è l’EDTA, chelante del Ca2+, che mantiene in modo migliore la morfologia e le caratteristiche cellulari.
In una macchina per l’esame emocromocitometrico vi sono molte camere diverse in cui avvengono le misurazioni e le quantificazioni generali, ma anche camere destinate a misurazioni specifiche, ad esempio quella dell’emoglobina che avviene nell’unità di spettrofotometria, e camere destinate a colorazioni specifiche, fatte avvenire nel campione di sangue per mettere in luce peculiarità cellulari, come quelle utilizzate per risolvere l’eterogeneità dei globuli bianchi.

Nel primo passaggio dell’esame, il campione di sangue intero è immesso nella macchina, che ne aspira una piccola quantità; questa viene immediatamente suddivisa in diverse porzioni che sono destinate alle diverse analisi, nelle diverse camere dello strumento.
Riguardo la caratterizzazione morfologica, passaggio fondamentale è la fluidica dello strumento che consente di modificare l’impacchettamento cellulare presente nel campione di sangue intero, per permettere il passaggio delle cellule individualmente, per poterle analizzare.
Le analisi morfologiche avvengono, nei citometri a impedenza, nel primo punto in cui le cellule, a livello individuale, sono fatte passare in una fessura in cui è applicato il campo elettrico, permettendo di misurare, in base al principio di Coulter, la variazione del voltaggio elettrico e quindi avere un idea delle loro dimensioni.
Le cellule del sangue presentano dimensioni variabili e caratteristiche del tipo cellulare. Le piastrine sono le cellule più piccole nel sangue (1,5-3,5 μm), cui fanno seguito i globuli rossi, leggermente più grandi (7-8 μm), e infine i globuli bianchi.

Il secondo passaggio è rappresentato dalla prosecuzione delle cellule nei capillari dove sono investite dal fascio di luce (raggio laser semiconduttore) che consente di separare le cellule utilizzando due diversi segnali: la luce riflessa in avanti (forward scatter o FSC) e la luce riflessa lateralmente (side scatter o SSC). Il sistema quantifica il livello di luce riflessa lateralmente e frontalmente dal campione per avere le informazioni sul volume cellulare, basandosi sul forward scatter, e sulla complessità cellulare, basandosi invece sul side scatter.
Utilizzando tali parametri, lo strumento trasforma la quantificazione di luce in numeri e abbina la quantità di side scatter e forward scatter in un singolo punto per fornire uno scatter plot (dot plot), un grafico in cui ogni singolo punto è un evento cellulare che la macchina ha misurato. Questo evento cellulare è la trasformazione numerica di side scatter e forward scatter della singola cellula. Questa prima analisi consente di dividere le componenti cellulari sulla base delle loro proprietà fisiche: alcune cellule sono estremamente omogenee riguardo dimensioni e complessità cellulari, altre più eterogenee.

Le piastrine presenteranno forward scatter basso e side scatter più elevato, che riflette una buona complessità, dovuta alla presenza di α-granuli, granuli densi, lisosomi, mitocondri.
I globuli rossi avranno un forward scatter leggermente superiore a quello delle piastrine, ma side scatter inferiore, dovuto all’assenza del nucleo e alla presenza nel citoplasma per lo più di emoglobina, con scarsa presenza di organuli.
I globuli bianchi, distinti in granulociti (neutrofili, eosinofili, basofili), monociti e linfociti, sono una popolazione estremamente eterogenea. Nel caso di una analisi dei leucociti, in base alle loro caratteristiche fisiche essi formano popolazioni distinte nello scatter plot:
- Linfociti, cellule abbastanza omogenee per side scatter e forward scatter, quindi simili tra loro per dimensioni e complessità
- Monociti, leggermente staccati dai linfociti, hanno una più elevata dimensione e complessità. Sono quindi superiori in forward e side scatter, leggermente diversi tra loro ma formano ugualmente una popolazione compatta
- Granulociti, popolazione molto eterogenea, sono leucociti che presentano caratteristiche morfologiche differenti per dimensioni e complessità cellulare, formando quindi una popolazione più disomogenea dal punto di vista dei parametri fisici. Nonostante ciò si differenziano dalle altre sottopopolazioni leucocitarie

Gli attuali strumenti non si basano solo sui parametri fisici, con l’analisi di side scatter e forward scatter, ma per addentrarsi ulteriormente nella caratterizzazione cellulare implementano anche colorazioni, sonde fluorescenti, lisi cellulari, in modo, in ogni analisi, da quantificare e far emergere anche popolazioni rare nei campioni di sangue. Nella citometria a flusso i segnali registrati sono tre, oltre a side scatter e forward scatter, includendo anche la luce a fluorescenza laterale (side-fluorescence light o SFL). La fluorescenza laterale indica la quantità di DNA e di RNA presenti in una cellula (nota bene: il campione nello strumento viene diluito in un rapporto prestabilito e etichettato con un marcatore di fluorescenza appropriato che si lega specificamente agli acidi nucleici).

L’esame emocromocitometrico fornisce una conta cellulare ma anche informazioni e parametri qualitativi quali:
- Quantificazione della Hb nel campione
- Ematocrito, il rapporto parte corpuscolata e parte liquida
- Misure e indici qualitativi relativi ai globuli rossi (oltre alla loro conta) per capire la loro morfologia e qualità nel campione
- Conta differenziale dei globuli bianchi
- Conta delle piastrine e volume corpuscolare piastrinico, valore che riguarda la morfologia delle piastrine nel campione del soggetto
Il risultato è un referto in cui sono presenti i valori legati alla composizione cellulare del campione e la valutazione delle diverse sottopopolazioni cellulari. Importanti sono anche le unità di misura nel test e l’intervallo di riferimento che si applica a ognuna di queste misurazioni. Nel referto l’asterisco indica un valore al di fuori dell’intervallo di riferimento, cui va data la specifica importanza.

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5
Q

Quali sono le variabili cui è soggetto il test emocromocitometrico?

A

L’esame emocromocitometrico tiene conto di variabili analitiche divise in:
- Variabili pre-analitiche, cioè qualità di raccolta del campione di sangue, giuste procedure di conservazione e utilizzo del campione, anamnesi del paziente. Molti parametri e i loro valori di riferimento dipendono da età, sesso e anche altre variabili cliniche
- Variabili analitiche, che riguardano alterazioni della macchina. Sebbene i sistemi automatizzati moderni siano molto simili tra loro, possono utilizzare kit e tecniche leggermente diversi, avendo tuttavia la capacità di controllare il processo di analisi tramite controlli interni, controlli positivi per monitorare che non vi siano errori nella valutazione e analisi dell’esame emocromocitometrico
- Variabili post-analitiche, errori di referto, valori di riferimento che possono leggermente variare tra i laboratori dove vengono svolti. Infatti tra i laboratori, anche se si tratta di piccolissime variazioni, l’utilizzo di macchine che possono applicare test leggermente diversi, comporta, nella valutazione dei parametri, la necessità di stabilire valori di riferimento leggermente diversi. Per questo spesso si suggerisce di svolgere le analisi sempre nello stesso posto con le stesse metodiche

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6
Q

Come viene quantificata l’emoglobina nell’analisi?

A

È una quantificazione che consente di avere una stima di emoglobina in g/dL nel campione di sangue.
Per ottenere questo parametro lo strumento deve svolgere un analisi ad hoc, in quanto l’Hb è contenuta nei globuli rossi e per quantificarla quindi è necessario il suo rilascio da parte dei globuli rossi presenti nel sangue. Per farlo lo strumento dedica una quota del campione di sangue all’analisi, in cui viene introdotto un detergente che lisa i globuli rossi determinando il rilascio in sospensione della Hb (emolisato). Oltre alla lisi, lo strumento deve essere in grado di quantificare l’Hb. Viene quindi iniettato un reagente, il laurilsolfato di sodio (SLS) che si complessa spontaneamente all’Hb riversata in sospensione, consentendo una variazione nel colore emesso dal complesso SLS-Hb che può essere quantificato dallo strumento tramite uno spettrofotometro dedicato all’analisi, che misura l’assorbanza ad una lunghezza d’onda di 555 nm, a cui viene rilevato il complesso tra reagente ed emoglobina. Utilizzando uno standard interno, scala di Hb come controllo positivo, la macchina quantifica l’Hb nel campione.
L’Hb è espressa in forma di g/dL, ma bisogna fare attenzione anche in questo caso alla variabilità pre-analitica; in generale l’intervallo varia tra uomo e donna, per l’uomo 13-17 g/dL, per la donna 12-16 g/dL. Sull’Hb influiscono anche l’altitudine, l’idratazione, la gravidanza, il fumo, tutte variabili da considerare per la definizione di valori di riferimento ideali per il paziente in esame. Nei sistemi moderni, lo strumento è in grado di settare il referto sui valori di riferimento adatti al paziente dopo la registrazione dei suoi dati.

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7
Q

Come viene valutato l’ematocrito?

A

Insieme all’Hb, l’ematocrito è un parametro che ha un importante valore diagnostico, specie per le anemie. È il rapporto tra parte corpuscolata e parte liquida di un campione sangue. In precedenza era misurato mantenendo il campione in verticale, sfruttando la forza di gravità, che consentiva che le cellule si depositassero sul fondo della provetta progressivamente; poi era utilizzato un righello per misurare il rapporto tra parte cellulare impacchettata sul fondo e plasma liquido che rimaneva invece nella porzione superficiale del campione di sangue.
La macchina, invece, misura questo parametro differentemente, non in modo diretto e senza dedicarvi un’analisi specifica, ma calcolandolo, al termine delle analisi, tramite una formula, che prevede la moltiplicazione del volume corpuscolare medio per il numero dei globuli rossi, diviso mille, che consente una stima dell’ematocrito del campione di sangue.

HCT= MCV(fL)xRBC(10^6/mm3)/1000

Le variabili pre-analitiche sono simili a quelle dell’Hb. I valori hanno differenze tra uomo e donna, nell’uomo 40-52% nelle donne 36-47%.
Un incremento di ematocrito si trova in malattie mieloproliferative, ad esempio nella policitemia vera in cui si ha incremento nella sintesi di globuli rossi, oppure in pazienti sottoposti a doping e quindi all’utilizzo di eritropoietina esogena che stimola l’eritropoiesi. Diminuisce in pazienti con anemie e altre malattie ematologiche.

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8
Q

Come viene valutato il numero dei globuli rossi?

A

La macchina può inoltre fornire la conta dei globuli rossi, una quantificazione nel campione in milioni per μl. Il range di riferimento varia in base a sesso ed età: nell’uomo adulto 4,3-5,9 milioni/μl, nelle donne 4,5-5,1 milioni/μl, con variazioni alla nascita e durante la crescita.
Errori nella conta possono esservi, in quanto, nonostante la sofisticazione delle tecniche, vi è comunque difficoltà nel quantificare cinque milioni di globuli rossi per μl di sangue, per cui vi è un piccolo margine di errore che negli strumenti moderni è stimato del 2%; in passato con le tecniche manuali era del 20% circa.

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9
Q

Quali sono gli indici eritrocitari che lo strumento fornisce?

A

Lo strumento fornisce anche indici eritrocitari, parametri qualitativi che riflettono lo stato di salute di globuli rossi nel campione. Sono denominati con varie sigle. Sono:
- MCV, volume corpuscolare medio dei globuli rossi
- MHC, Hb corpuscolare media
- MCHC, concentrazione di emoglobina corpuscolare media
- RDW, red blood cell distribution width, l’ampiezza di distribuzione dei globuli rossi

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10
Q

Come viene valutato l’MCV con esame emocromocitometrico?

A

L’MCV o volume corpuscolare medio è una valutazione del volume medio dei globuli rossi; è espresso dello strumento in femtolitri (fL) e corrisponde alla media del volume di ogni globulo rosso presente nel campione. Può essere misurato dalla macchina direttamente al passaggio del globulo, applicando il principio di Coulter o mediante il forward scatter o tramite una formula matematica in cui si ricorre al rapporto tra ematocrito e il numero dei globuli rossi moltiplicato per dieci.

MCV= [HCT/RBC(milioni)] x 10

I valori di riferimento sono 80-97 fL. Qui cade il volume dei globuli rossi in condizioni fisiologiche. È importante perché alcune condizioni patologiche possono influenzare le dimensioni dei globuli rossi nel sangue. In particolare valori al di sotto degli 80 fL si osservano in condizioni di produzione di globuli rossi microcitici, come avviene in alcune condizioni di anemia dovute a deficit di ferro o in alcune forme di talassemia. L’MCV può essere invece aumentato, maggiore di 97, con produzione di globuli rossi macrocitici, in forme di anemie dovute a deficit di vitamina B12 e folato.

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11
Q

Come viene quantificata l’emoglobina corpuscolare media?

A

L’MHC o emoglobina corpuscolare media è una quantificazione di Hb per globulo rosso. È espressa sotto forma di massa; l’unità di misura sono i pg, poiché in ogni globulo rosso è presente una quantità molto piccola di Hb. La quantificazione dell’emoglobina corpuscolare media avviene attraverso una formula in cui viene divisa l’emoglobina totale per il numero di globuli rossi, moltiplicato per dieci.

MHC=[Hb/RBC(milioni)] x 10

In condizioni fisiologiche l’MHC è pari a 27-31 pg per globulo rosso. È importante in quanto alterazioni di questo parametro sono tipiche di condizioni patologiche in cui si ha tendenza ad alterata produzione di Hb, ad esempio nelle emoglobinopatie, in cui si ha una ridotta presenza di Hb nelle cellule, o accumulo e precipitazione per le varianti qualitative di Hb presenti nella popolazione cellulare. Valori inferiori a 27 pg sono tipici di globuli rossi ipocromici, mentre valori maggiori di 31pg sono tipici di condizioni di ipercromia.

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12
Q

Come viene quantificata la concentrazione di emoglobina corpuscolare media?

A

La macchina fornisce anche l’MCHC, ulteriore parametro che tuttavia, insieme al RDW, ha un valore clinico leggermente inferiore rispetto agli altri.
L’MCHC rappresenta la concentrazione di emoglobina corpuscolare media. Dà un idea del rapporto tra il peso di emoglobina e un determinato volume di globuli rossi. Si ottiene dal rapporto tra Hb e ematocrito moltiplicato per 100.

MCHC=[Hb/HCT] x 100

È espresso sotto forma di percentuale e i valori di normalità sono compresi tra il 32 e il 36%. Condizioni di ipocromia e ipercromia si associano ad alterazioni non solo dell’MHC ma anche del parametro MCHC.

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13
Q

Come si valuta l’ampiezza di distribuzione dei globuli rossi?

A

L’RDW o red blood cell distribution width è l’ampiezza della distribuzione dei globuli rossi, un parametro che indica una rappresentazione del coefficiente di variazione del MCV. Indica la variabilità morfologica dei globuli rossi nel campione. Viene calcolato mediante una formula matematica:

RDW= (ds MCV/media MCV) x 100

Si possono avere condizioni in cui tutti i globuli rossi aumentano di MCV, prodotti cioè con dimensione maggiore; si possono avere anche situazioni più eterogenee, per esempio nella sferocitosi, in cui i globuli sono prodotti con MCV alterato ma viene alterata anche la loro morfologia, non più discoidale ma a falce, incidendo molto sulle variazioni del parametro di RDW. È espresso come percentuale e la variabilità dell’MCV nei globuli rossi è in genere compresa tra 11,5%-14,5%. Si evidenzia un aumento in molte condizioni di anemia, specialmente nelle forme di anemie falciformi.

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14
Q

Come vengono quantificati i reticolociti?

A

L’ultimo parametro da considerare sono i reticolociti, gli ultimi precursori nell’eritropoiesi prima dell’eritrocita maturo; hanno già perso il nucleo (hanno subito l’enucleazione nell’eritropoiesi) ma mantengono tracce di materiale genetico, in particolare rRNA, che li caratterizza a livello citoplasmatico. A livello di dimensioni, sono leggermente più grandi degli eritrociti, hanno un MCV di circa 100-120 fL e rispetto agli eritrociti maturi hanno un emivita differente; un globulo rosso resiste circa 120 giorni in circolo, un reticolocita circa 24-48 ore.
Lo strumento li quantifica dedicando un analisi specifica per queste cellule, che deve far emergere dalle enormi quantità di globuli rossi nel sangue. Lo fa avvalendosi di una sonda fluorescente che si lega al materiale genetico presente nei reticolociti e non negli eritrociti, colorandoli e permettendone la discriminazione nei dot plot e, quindi, una loro quantificazione specifica rispetto alle cellule mature.
La loro presenza in circolo è significativa poiché sono precursori che abbandonano il midollo nelle ultime fase dell’eritropoiesi, che quindi possono essere identificati e discriminati rispetto ai globuli rossi. Forniscono informazioni sullo stato di salute del midollo osseo e riflettono l’attività dell’eritropoiesi midollare. Corrispondono allo 0,5-1,5 talvolta anche 2% dei globuli rossi nel sangue.

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15
Q

Quali informazioni consente di ottenere l’esame emocromocitometrico per quanto riguarda i globuli bianchi e come si ottengono tali informazioni?

A

Un esame emocromocitometrico fornisce anche una quantificazione dei globuli bianchi, cui lo strumento si dedica in contemporanea rispetto alla parte dedicata agli eritrociti. Le due più importanti informazioni che si ottengono da un esame emocromocitometrico, sono la conta leucocitaria, cioè la conta totale dei globuli bianchi, e la conta differenziale, che dà un idea del sottotipo dei leucociti che sono aumentati o diminuiti nei pazienti.
Le metodiche sfruttano parametri fisici in prima analisi, che distinguono i leucociti da globuli rossi e piastrine per via del loro diametro maggiore e per via delle loro composizioni cellulari, che consentono la formazione delle loro peculiari popolazioni. Per metterle in luce, lo strumento dedica un analisi specifica, che come prima tappa ha la lisi dei globuli rossi, rendendo così i globuli bianchi le cellule principalmente presenti, con le piastrine, nel campione, e permettendone la quantificazione attraverso forward e side scatter. Per distinguere la sottopopolazione di globulo bianco presente nel campione lo strumento svolge analisi più dettagliate.
Il numero totale di globuli bianchi si attesta a poche migliaia per μL, è di circa 4500-11000 per μL di sangue, con una distribuzione caratteristica in condizione fisiologica. A livello fisiologico, infatti, i neutrofili sono i principali leucociti presenti a livello periferico (40-60%), poi i linfociti (20-40%), poi le frazioni meno rappresentate sono i monociti (2-8%) e basofili e eosinofili presenti in percentuali bassissime (circa 1%).

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16
Q

Come l’esame emocromocitometrico consente di ottenere una conta differenziale dei globuli bianchi?

A

Dal punto di vista dell’iter diagnostico e clinico sono importanti anche le informazioni su sottopopolazioni leucocitarie, anche poco rappresentate, quindi lo strumento entra nel dettaglio della loro caratterizzazione.
Nella macchina, in base a parametri fisici, si distinguono le più importanti popolazioni di leucociti:
- linfociti
- granulociti
- monociti
Il problema è distinguere le differenti sottopopolazioni granulocitarie, cioè distinguere i basofili, gli eosinofili e i neutrofili, per cui lo strumento applica colorazioni specifiche. In alcuni strumenti, dopo aver lisato i dei globuli rossi, di cui restano detriti, per consentire ai globuli bianchi di emergere nel campione e quindi di essere quantificati in maniera più precisa, vengono utilizzate sonde fluorescenti, che si intercalano con il materiale genetico e gli organuli presenti nei granulociti, permettendo l’ulteriore distinzione tra le popolazioni a livello di parametri non solo fisici, ma anche di fluorescenza. Così lo strumento mantiene la distinzione ancora tra monociti e linfociti, anche se meno marcata rispetto a quella dei parametri fisici, ma utilizzando le sonde fluorescenti distingue neutrofili e basofili dagli eosinofili, che costituiscono una popolazione ben distinta, che può essere quantificata.
Per valutare la percentuale di basofili, distinguendola dai neutrofili, per completare il pannello di analisi a livello cellulare, lo strumento usa reagenti particolari. Viene inserito, nello specifico, un detergente che fa raggrinzire tutte le cellule del sangue (lisa i globuli rossi e raggrinzisce la maggior parte dei globuli bianchi) ad eccezione dei basofili, meno sensibili a questo trattamento, che quindi, staccandosi nelle analisi dello strumento dalle altre cellule, possono essere quantificati.
Questo rappresenta un esempio della metodica utilizzata per la conta differenziale. In alcuni strumenti possono essere utilizzati reagenti e colorazioni diverse, ma sulla base sempre dello stesso principio, per cui si sfruttano le caratteristiche morfologiche e strutturali delle cellule per consentirne una distinzione a livello del sangue.
Queste informazioni sulle diverse popolazioni dei globuli bianchi sono fondamentali. La variazione dei leucociti può essere dovuta ad alcune malattie. Le leucopenie, cioè la ridotta presenza di globuli bianchi, possono essere dovute a diversi disordini del midollo, malattie autoimmunitarie, HIV, quindi malattie virali che portano a immunodeficienza. Al contrario le leucocitosi, quindi l’incremento dei globuli bianchi, possono essere causate da condizioni infettive, infiammazioni, alcuni tipi di leucemia, malattie proliferative, ecc.
Le conte differenziali aiutano tuttavia l’ulteriore discriminazione dei possibili meccanismi patologici, perché spesso alcune patologie si associano specificatamente all’incremento di una o l’altra specifica sottopopolazione leucocitaria. Per esempio la neutrofilia, aumento di neutrofili, abbastanza diffuso, è legato a diversi tipi di infezione o infiammazione. L’aumento specifico dei linfociti (linfocitosi) può essere dovuto a malattie linfoproliferative o altre forme di malattie immunitarie; per i monociti l’aumento specifico (monocitosi) può essere dovuto, per esempio, a particolari condizioni infettive, come TBC o brucellosi e altri esempi. Le eosinofilie sono causate da sindromi allergiche o malattie parassitarie, principalmente guidate, a livello immunologico, da espansione degli eosinofili.
Quindi capire il tipo di leucocita alterato, attraverso l’esame emocromocitometrico, è una valida informazione dal punto di vista clinico. Per questo si mettono a punto colorazioni per cellule anche poco rappresentate come gli eosinofili.

17
Q

Quali sono le caratteristiche dei neutrofili?

A

L’esame emocromocitometrico, quindi, sfrutta le differenze morfologiche per discriminare le differenti componenti leucocitarie.
Nel dettaglio, i granulociti costituiscono, ad esempio, una popolazione caratterizzata da grande eterogeneità, che è valida anche per la singola popolazione dei neutrofili. In circolo infatti possono esservi due morfologie distinte di neutrofili, legate alle caratteristiche del nucleo. Abbiamo neutrofili bandeggiati, che hanno un nucleo a ferro di cavallo, sintomo di neutrofili giovani che hanno appena lasciato il midollo osseo, oppure neutrofili molto più vecchi che hanno un nucleo segmentato. Queste sono caratteristiche avvertite dallo strumento e che sono poi rappresentate dalla variabilità nei dot plot.
Ciò che contribuisce alla caratterizzazione morfologica nello strumento è anche l’alto o basso rapporto tra nucleo e citoplasma. I neutrofili hanno ampio citoplasma influenzando anche il side scatter di queste cellule.

18
Q

Quali sono le caratteristiche di basofili ed eosinofili?

A

Basofili e eosinofili d’altra parte sono caratterizzati da granuli caratteristici che sono i fattori più importanti che ne influenzano il side scatter.
Ciò che cambia è il nucleo, che negli eosinofili è a due lobi, nei basofili è più grande e con forma irregolare.

Per le caratteristiche di queste cellule, quando lo strumento incontra i granulociti genera nuvole e popolazioni cellulari molto eterogenee.

19
Q

Quali sono le caratteristiche di monociti e linfociti?

A

Lo stesso non succede per monociti e linfociti che sono cellule più omogenee del punto di vista morfologico.
I monociti sono leggermente più grandi rispetto ai linfociti. Il rapporto nucleo-citoplasma è maggiore rispetto ai granulociti. I monociti hanno un nucleo con una particolare forma a rene, a fagiolo.

I linfociti sono le cellule col minor side e forward scatter, tra i globuli bianchi, poiché sono cellule in cui il nucleo predomina dal punto di vista strutturale, il citoplasma è un sottile lembo che circonda il nucleo. Hanno caratteristiche simili e formano una popolazione compatta facilmente caratterizzabile dallo strumento.

20
Q

Quali informazioni consente di ottenere l’esame emocromocitometrico per le piastrine?

A

Ultima importante popolazione cellulare presa in analisi dall’esame emocromocitometrico è quella delle piastrine. Le piastrine sono state scoperte per ultime tra i componenti cellulari del sangue, a causa delle difficoltà nella loro quantificazione, difficoltà che in realtà si rincontrano anche nelle tecniche moderne. A causa delle loro caratteristiche morfologiche e funzionali, le piastrine sono ancora oggi tra le cellule più difficilmente quantificabili. Sono infatti piccole, hanno dimensioni inferiori rispetto a globuli rossi e leucociti, altamente reattive, quindi il passaggio stesso nella fluidica dello strumento può alterarne la funzionalità. Sono necessari sistemi che ne prevengano l’attivazione e appunto hanno dimensioni così ridotte che ricadono nel cosiddetto gate dei detriti cellulari (sono definite “polvere del sangue”). Le loro dimensioni corrispondono a quelle di ogni frammento cellulare (ad esempio nell’apoptosi e morte cellulare, tutti i pezzi di cellule e citoplasma, che possono essere riversati in circolo, ricadono negli stessi parametri fisici delle piastrine).
La loro misurazione è l’analisi più difficile ancora oggi da mettere a punto dal punto di vista di coefficiente di errore degli strumenti, per questo i loro valori di riferimenti sono molto ampi. Si stima che in un soggetto sano siano circa 150000-450000 per μl e che possano essere alterate in specifiche condizioni patologiche. Ad esempio condizioni di trombocitopenia, cioè un ridotto numero di piastrine circolanti, sono dovute a diverse cause tra cui alcune forme di malattie genetiche, uso di farmaci, chemio o forme legate alla formazione di autoanticorpi e complessi immunitari come nel lupus, che possono ridurre la presenza delle piastrine. L’aumento (trombocitosi) è tipico di diversi stadi infiammatori, malattie mieloproliferative come la trombocitemia essenziale, in cui si assiste ad un aumentata produzione delle piastrine e quindi ad un aumento del numero della conta piastrinica.
Importante è anche l’MPV, ulteriore valore fornito dallo strumento, che rappresenta il volume piastrinico medio, che, similmente all’MCV, è un valore che riflette il volume e le dimensioni medie delle piastrine nel campione. È importante poiché alcune condizioni, patologie e trombocitopenie ereditarie, hanno la caratteristica formazione di piastrine giganti, elemento che può essere messo in luce dalla valutazione dell’MPV.

21
Q

Cos è la citometria a flusso in fluorescenza?

A

L’evoluzione delle tecniche di citometria ha consentito lo sviluppo della citometria a flusso in fluorescenza. Citometri che sfruttano questo principio sono presenti nelle strutture cliniche degli ospedali, in quanto consentono analisi importanti sui campioni biologici, in particolare sul sangue. Sfruttano in modo preponderante la fluorescenza attraverso l’utilizzo di anticorpi monoclonali coniugati a sostanze in grado di emettere fluorescenza, i fluorocromi.
Hanno la stessa fluidica dei citometri a impedenza dell’esame emocromocitometrico, ma sono implementati da una serie di laser a fluorescenza che eccitano e valutano gli spettri di emissione di fluorocromi a diverse lunghezze d’onda. In medicina e in biologia tale metodica consente un’aumentata possibilità di analisi contemporanee sullo stesso campione, in cui le cellule sono simultaneamente colpite da laser che lavorano su lunghezze d’onda diverse, ottenendo numerose informazioni.
La plasticità della macchina sta nel fatto che negli ultimi anni sono stati sviluppati diversi fluorocromi, che hanno spettri di eccitazione e emissione diversi e che quindi, con l’uso di laser opportuni, possono essere precisamente quantificati. Il principio è simile a quello della spettrofotometria, ma in questo caso viene sfruttata la proprietà di alcune sostanze di riemettere (nella maggior parte dei casi a lunghezza d’onda maggiore e quindi a energia minore) le radiazioni elettromagnetiche ricevute, in particolare di assorbire radiazioni nell’ultravioletto ed emetterla nel visibile. Molti fluorocromi sono riscontrabili in natura, ad esempio nel fitoplancton o in alcune alghe, altri sono di origine sintetica, come ad esempio la fluoresceina (FITC), molto utilizzata in campo medico-diagnostico. Inoltre, i fluorocromi possono anche essere uniti tra loro generando fluorocromi tandem, in cui, quando la luce eccita un primo fluorocromo, esso raggiunge l’energia massima ed eccita il secondo fluorocromo vicino, che emette fluorescenza, consentendo di utilizzare una maggiore quantità di colori per singola lunghezza d’onda laser.

22
Q

In che modo la citofluorimetria è applicata in indagini di immunofenotipizzazione e qual è l’utilità di questa metodica?

A

Mediante citofluorimetria si possono svolgere analisi ad esempio di immunofenotipizzazione, tecnica che sfrutta gli anticorpi monoclonali per aumentare i livelli di discriminazione tra i diversi sottotipi cellulari in un campione di sangue, sfruttando i marcatori di superficie cellulare, come i cluster di differenziazione (CD).
Esempi di marcatori di superficie sono:
CD3 co-recettore, marcatore dei linfociti T
CD19 proteina transmembrana espressa dai linfociti B
CD34 identifica una staminale emopoietica
CD4 identifica i T-helper
CD8 identifica i T-citotossici
Ognuno di questi marcatori presenta una specifica funzione, ma soprattutto ognuna di queste proteine di superficie, per lo più recettori, identificano una sottopopolazione cellulare. La combinazione tra i diversi anticorpi e fluorocromi disponibili in commercio consentono di caratterizzare in maniera molto più ampia le cellule.

L’applicazione di questa metodica in clinica consente, ad esempio, la distinzione nel contesto dei linfociti T, in sottoclassi di linfociti helper CD4 o linfociti citotossici CD8. Oltre ad analizzare le caratteristiche morfologiche, cioè i parametri fisici delle cellule nel campione di sangue, si aggiungono al campione anticorpi monoclonali coniugati con fluorocromi differenti.
In questo caso è inizialmente utilizzato un anticorpo contro il CD45, marcatore leucocitario, che consente di separare i globuli bianchi da piastrine e globuli rossi. Si generano dei dot plot con popolazioni distinte in base alla positività alla fluorescenza e si può selezionare ciò che ci interessa nell’analisi. Nel primo grafico, in ascissa è proiettata la positività al CD45, in ordinata è proiettato il side scatter. Si selezionano le cellule CD45+ a side scatter variabile.
Dopo aver selezionato la popolazione CD45+ mediante gate immunologico, viene quindi utilizzato un anticorpo contro il CD3, marcatore classico del linfocita T, e un anticorpo contro un marcatore dei granulociti (Gr1). Ponendo in ascissa la positività al CD3, in ordinata al Gr1, si va a selezionare tra le diverse sottopopolazioni in cui si risolve la popolazione CD45+, quelle positive a CD3 e negative a Gr1, per riproiettarle nel terzo grafico.
Sono aggiunti ulteriori anticorpi monoclonali coniugati ad altri fluorocromi, in questo caso contro CD4 e CD8. Ciò consente di ottenere un’ulteriore discriminazione della popolazione linfocitaria in ulteriori sottopopolazioni. In questo caso si distinguono per esempio popolazioni CD4+ e CD8- o CD4- e CD8+, per cui è possibile dare un ulteriore fenotipo, più specifico, delle cellule nel sangue e valutare la frequenza di certi tipi o sottopopolazioni, in condizioni fisiologiche e patologiche.
Questa metodica si usa per esempio nella caratterizzazione di campioni biologici per l’analisi di malattie ematologiche, per la valutazione di immunodeficienze primarie o secondarie (AIDS), o ad esempio per definire la frequenza e presenza di staminali CD34+ in campioni di sangue periferico o in sacche di sangue di cordone ombelicale. Sono tecniche che consentono di quantificare cellule specifiche nei campioni biologici, importanti per diverse tecniche di analisi e di diagnosi.

23
Q

Come viene applicata l’immunofenotipizzazione all’identificazione dei Treg?

A

L’immunofenotipizzazione ha la capacità di abbinare diversi marcatori e quindi di valutare, ad esempio, non solo i linfociti T nei più importanti sottotipi helper o citotossici; si possono aggiungere altri anticorpi per identificare anche tipi molto più rari come per esempio i Treg, linfociti T regolatori, emersi negli ultimi anni, che hanno un ruolo importante nella risposta immunitaria, controllando e spegnendo la reattività del sistema immunitario.
I Treg possono essere identificati con marcatori specifici, antigeni intracellulari, e con colorazioni intracellulari. In questo caso bisogna fissare (la fissazione è un processo che ha come scopo quello di “bloccare” la struttura della materia vivente in condizioni quanto più vicine a quelle fisiologiche, fissando le molecole presenti nel tessuto nello stato chimico e nella posizione in cui si trovano in vivo) il campione di sangue, quindi uccidere le cellule, per consentirne la permeabilizzazione mediante l’utilizzo di specifici detergenti aggiunti al campione, tra i quali sono comuni la saponina e il triton, che non distruggono la cellula ma hanno la capacità di alterare la composizione delle membrane. Si procede quindi valutando, con l’utilizzo di anticorpi monoclonali, la presenza nel nucleo di un fattore trascrizionale FOXP3, che caratterizza esclusivamente questa sottoclasse di linfociti T, tra quelli helper CD4+.

24
Q

Quali sono altre applicazioni cliniche dell’immunofenotipizzazione?

A

L’immunofenotipizzazione è un sistema che trova numerose applicazioni in clinica per caratterizzare diversi parametri. Ad esempio, un altro parametro valutabile è la proliferazione cellulare. Traccianti fluorescenti consentono, durante la trasmissione alle generazioni cellulari successive, di monitorare la presenza di cicli diversi di replicazione cellulare. Altre tecniche sono utilizzate per l’identificazione di apoptosi e altri processi.

25
Q

Cos è la tecnica del Cell sorting?

A

Un’evoluzione ulteriore delle tecniche di citometria è la tecnica del Cell Sorting. Mediante questa tecnica, oltre alla caratterizzazione immunofenotipica e morfologica delle cellule, lo strumento consente di avere unità che permettono la separazione fisica di quella popolazione di interesse, rispetto alle altre popolazioni nel campione. Questo metodo è utile e importante, per esempio, nelle tecniche di trapianto, in quanto consente di trapiantare esclusivamente popolazioni con caratteristiche particolari dal punto di vista fenotipico o molto rare.
Lo strumento ha la stessa fluidica di analisi, ma una volta che la cellula viene riconosciuta dai laser come una cellula positiva al segnale, per esempio ad un anticorpo CD4, la cellula viene monitorata dallo strumento e inglobata, dopo il passaggio da un particolare orifizio, in una serie di piccole gocce di campione liquido che sono caricate con una carica elettrica positiva solo se l’evento, cioè la cellula nella goccia, era risultato positivo all’analisi. Quindi, per esempio, se vi è la necessita di sortare un linfocita CD4+, avendo riscontrato l’evento positivo alle analisi fluorescenti, nelle unità di separazione delle cellule lo strumento lo inserisce in queste gocce cariche positivamente. Il gocciolamento del campione consente poi allo strumento di deviare verso un tubo di raccolta solo le cellule positive all’analisi e di eluire il campione negativo in un sito di raccolta differente, che corrisponde al negativo del campione. Quindi dopo l’analisi del campione, nel tubo di raccolta positiva saranno presenti le cellule di interesse, utili per scopo clinico, diagnostico o di ricerca.
Nel caso del trapianto ad esempio, dopo la mobilizzazione delle staminali in un donatore sano, le cellule CD34+ riscontrate nel prelievo mediante citofluorimetria, sono caricate positivamente e deviate verso il tubo di raccolta. Se tali cellule sono state raccolte in condizioni di sterilità e all’interno di un campione di siero che le mantenga vitali, possono essere congelate e trapiantate nel paziente.

26
Q

Cos è la FISH-flow?

A

Un’applicazione interessante della citometria a flusso, anche se ancora in fase di valutazione per efficacia e funzionalità, è il cosiddetto protocollo FISH-Flow, che sfrutta e unisce due tecniche, la citometria a flusso e la FISH (Fluorescence in situ hybridization). Sono due tecniche in realtà lontane, una eseguita su cellule e tessuti e una su cellule in sospensione, incrociate in queste metodiche. Questa metodica potrebbe costituire uno strumento molto valido per identificare, nel sangue, cellule che hanno delle particolari modificazioni cromosomiche a livello di DNA, ma anche, probabilmente in futuro, cellule con alterata espressione genica (RNA).
In queste metodiche le cellule sono fissate e quindi sottoposte a permeabilizzazione; in questo caso non si utilizzano anticorpi coniugati col fluorocromi, ma si utilizza una sonda molecolare, un primer oligonucleotidico fluorescente, che si appaia al target di interesse. Inoltre, i marcatori proteici di superficie e intracellulari possono anche essere colorati con anticorpi marcati in modo fluorescente, in modo da identificare le cellule con i cluster of differentiation e valutare quali sono positive a una determinata mutazione.

27
Q

Quali sono le applicazioni cliniche della citofluorimetria?

A

La citofluorimetria trova numerose applicazioni in clinica, particolarmente in ambito ematologico.

28
Q

In che modo l’immunofenotipizzazione è utilizzata per la diagnosi di linfomi e leucemie?

A

La citometria a flusso è un sistema di fondamentale supporto alle diagnosi di linfomi e leucemie, caratterizzati da un’espansione clonale di leucociti anomali. L’emocromo e la conta differenziale di pazienti con linfoma o leucemia può evidenziare un aumento del numero di globuli bianchi e la prevalenza di uno specifico tipo. Questi test però non possono evidenziare la clonalità di queste cellule, né pertanto, possono confermare la diagnosi di leucemia o linfoma e stabilirne il tipo.
L’immunofenotipizzazione consente invece di definire se il paziente presenti un clone o una popolazione di blasti di linfociti T o B ed entrare sempre di più nel dettaglio della loro caratterizzazione, mediante pannelli di anticorpi specifici. Specifici pattern antigenici sono associati a determinati tipi di leucemia e linfomi e consentono l’identificazione dei differenti tipi, nonché, laddove possibile, di valutare l’aggressività o la possibile responsività allaterapia del tumore.

29
Q

Come la citofluorimetria viene utilizzata nella predizione delle risposte agli mAb?

A

L’applicazione di queste metodiche consente inoltre di predire la risposte agli anticorpi monoclonali.
Ad oggi, la maggior parte delle terapie ematologiche sfruttano anticorpi monoclonali diretti contro proteine di superficie di cellule che, ad esempio, presentano un’espansione clonale in condizioni leucemiche, ma anche nel contesto di altre malattie ematologiche. Se si deve utilizzare un certo anticorpo, ad esempio contro CD19 o CD52, è fondamentale che quel target sia effettivamente espresso nella popolazione del paziente. La citometria consente di capire se le cellule del paziente siano effettivamente positive a quel marcatore e quindi di predire la risposta alla terapia.

30
Q

Come la citofluorimetria viene utilizzata nella valutazione della malattia minima residua?

A

Allo stesso modo, nel contesto del monitoraggio delle malattie ematologiche, è fondamentale la valutazione della malattia minima residua (measurable residual disease). Dopo il trattamento di pazienti con una malattia ematologica è possibile accertare che quella popolazione di blasti non sia più presente nel sangue, in modo da valutare l’effetto della terapia. Si possono utilizzare due diverse strategie complementari:
- la biologia molecolare, se la patologia è associata a determinate alterazioni genetiche e cromosomiche
- la citometria a flusso, che permette di andare a cercare le cellule nel sangue, in relazione alla loro morfologia e espressione di determinati marcatori
La ricerca dei blasti nel paziente dopo la terapia consente di capire se sono presenti e in quale frequenza.

31
Q

Come la citofluorimetria viene utilizzata per la valutazione delle piastrinopatie?

A

Ulteriori applicazioni in clinica medica riguardano la valutazione delle piastrinopatie (anche al San Matteo, punto di riferimento per le piastrinopatie, fino a qualche anno fa era presente un citofluorimetro utilizzato in clinica medica per la valutazione di queste patologie), malattie congenite o acquisite che colpiscono le piastrine, portando alla produzione di piastrine carenti in un recettore di superficie, caratteristica evidenziabile mediante citometria a flusso.
Nella tromboastenia di Glanzmann, ad esempio, le piastrine presentano un difetto nel recettore per il fibrinogeno GP IIb/IIIa, un’integrina; nella sindrome di Bernard-Soulier, le piastrine non hanno il complesso GPIb-IX-V, recettore del fattore di Von Willebrand, fondamentale per l’adesione piastrinica. In queste patologie per cercare di capire quale sia il difetto per arrivare a una diagnosi, prima di un sequenziamento, si può eseguire un esperimento rapido, prendendo le piastrine del paziente, purificandole e aggiungendo un anticorpo anti-GPIb-IX-V o un anticorpo anti-integrina IIb/IIIa; se sono positive allora la malattia non è presente, mentre in caso di negatività è presente la malattia.

32
Q

In che modo la citofluorimetria viene utilizzata per il bio banking?

A

L’utilizzo della citometria a flusso si riscontra anche in ambito trasfusionale per il bio banking: la biobank è una struttura che raccoglie in maniera organizzata materiali biologici utili per la ricerca e l’utilizzo clinico e la citometria viene utilizzata per l’analisi della qualità di tali materiali.
Nel caso di prelievo di sangue di cordone ombelicale, ad esempio, questo viene analizzato mediante citometria a flusso per valutarne la purezza e la vitalità. La vitalità è un aspetto valutato in citometria attraverso dei coloranti, che permeano le cellule morte, ma non quelle ancora vive. Con questo strumento si può quindi definire quante cellule sono state raccolte in un paziente e la percentuale di quelle vive stoccate; così, quando è necessario adoperare queste cellule si può avere già un idea della qualità del prodotto congelato.

33
Q

In che modo la citofluorimetria viene utilizzata nella ricerca di cellule tumorali circolanti in biopsie liquide?

A

Ulteriore applicazione si ha in ambito oncologico: cinque anni fa l’FDA ha approvato il primo sistema per la conta e l’identificazione di cellule tumorali circolanti, basato su principi di citometria, il cell search. È un sistema che permette di quantificare le cellule tumorali nel campione di sangue (biopsia liquida), sulla base dell’espressione di alcuni marcatori tumorali. Un marcatore che viene sfruttato è, ad esempio, EPCAM, marcatore di transizione epiteliale-mesenchimale, un fenomeno alla base della trasformazione neoplastica di molti tumori solidi.

34
Q

Quali sono le prospettive future per le tecniche di citofluorimetria?

A

La citometria è entrata in campi clinici specifici in maniera preponderante, ma è probabile che in futuro il suo utilizzo venga ulteriormente ampliato, rivoluzionando la ricerca e la clinica medica.
Ad oggi queste tecniche non sono estremamente utilizzate in clinica, avendo costi elevati che il sistema sanitario nazionale non può permettersi. Bisogna tuttavia considerare che fino a pochi anni fa era impensabile l’utilizzo anche del sequenziamento del DNA e dell’RNA, adesso alla base della scoperta e caratterizzazione di malattie rare e di mutazioni genetiche; quindi, in futuro, anche queste tecniche avranno un’accessibilità maggiore.

35
Q

Cos è la citometria di massa?

A

Una metodica recentemente sviluppata, che potrebbe essere di enorme supporto in futuro alla clinica, è la CyTOF (cytometry by time of flight), che consiste nella combinazione della citometria a flusso con la spettrometria di massa.
Questa tecnologia si basa sul rilevamento di cluster of differentiation e antigeni a livello di singola cellula, mediante l’utilizzo di anticorpi coniugati non più con fluorocromi ma con isotopi purificati di metalli, principalmente lantanidi. L’utilizzo di isotopi di metalli e l’elevato potere risolutivo offerto dalla spettrometria di massa permette di incrementare notevolmente il numero di parametri misurabili a livello di singola cellula.
È possibile analizzare contemporaneamente antigeni di superficie ed intracellulari come proteine, incluse fosfoproteine, ed acidi nucleici.
In questo modo, ad esempio, si potrebbe ottenere uno spettro della variabilità di espressione di proteine nella popolazione CD4 o CD8 in un soggetto sano o in un paziente con infezione da HIV o con altre malattie immunonologiche. Questa metodica consente di entrare sempre di più nel dettaglio della caratterizzazione fenotipica, funzionale, proteomica delle cellule, consentendo anche di identificare nuovi marcatori e target terapeutici.

36
Q

Cos è il single cell-RNA seq?

A

Infine, ulteriore metodica è il single cell RNA-seq, che permette di sequenziare tutto l’RNA di una singola cellula.
I metodi standard di sequenziamento analizzano l’espressione di RNA in grandi popolazioni di cellule. Nelle popolazioni cellulari miste, queste misurazioni possono non evidenziare le differenze critiche tra le singole cellule all’interno delle popolazioni. Il sequenziamento dell’RNA unicellulare (scRNA-seq) fornisce, invece, i profili di espressione delle singole cellule e consente ad esempio di evidenziare tipi cellulari rari all’interno di una popolazione.
Il tumore, per esempio, è una malattia estremamente eterogenea e variabile e una delle difficoltà maggiori nella sua caratterizzazione è determinare i vari elementi presenti, tra cui si distinguono cellule tumorali, fibroblasti associati, macrofagi, elementi della risposta immunitaria al tumore. Per risolvere un campione di questo tipo in immunoistochimica, le sezioni tissutali vengono colorate per evidenziare nel tumore marcatori di proliferazione o marcatori epiteliali-mesenchimali; sono queste informazioni utili, ma non così risolutive dal punto di vista di sviluppo dei marcatori e di una terapia.
Con la single cell RNA-seq invece il campione di tessuto viene dissociato, cioè sottoposto a trattamenti enzimatici che consentano successivamente di ottenere, attraverso dispositivi microfluidici o FACS (Fluorescence Activated Cell Sorting), una sospensione di singola cellula.
Le singole cellule, sfruttando i principi della citometria, vengono incapsulate in goccioline in un dispositivo microfluidico e quindi sono sottoposte ad una reazione di trascrizione inversa, che converte gli RNA in cDNA. Ogni gocciolina porta un “codice a barre” del DNA che identifica in modo univoco i cDNA derivati da una singola cellula. Una volta completata la trascrizione inversa, i cDNA di molte cellule possono essere mescolati insieme per il sequenziamento; le trascrizioni da una particolare cellula sono identificate dal codice a barre univoco.
Si ottengono, in questo modo, tantissimi dati relativi a ogni singola cellula che si è identificata, che un bioinformatico ricompatta, consentendo di identificare l’eterogeneità delle popolazioni che sono presenti, ad esempio, nel tumore. In questo modo si possono identificare delle popolazioni molto rare, presenti a bassissime concentrazioni e capire che cosa esprimono queste cellule, tutti i protagonisti del tumore o di altre patologie o ancora di processi fisiologici.
Al momento, il single cell RNA-seq ha un costo di circa 10.000 euro a campione, per cui non viene utilizzato in clinica; si deve tuttavia considerare che fino al 2006 anche un RNA-seq totale costava 4.000 euro circa, mentre adesso circa 180 euro. Quando anche il single cell RNA-seq diventerà più accessibile, diventerà uno degli strumenti più importanti per le sue potenziali applicazioni cliniche, consentendo di risolvere tessuti e condizioni complesse come i tumori, per ottenere numerose informazioni utili.