dc Flashcards
Capitolo 7
Aspetti teorici sulla distribuzione del reddito
Tutte le questioni politiche importanti vertono sulla distribuzione del reddito: questo rientra nella sfera di
analisi o di economisti, o deve vertere nelle mani dei politici? Impossibile risulta trovare un accordo in base a
un metodo scientifico poiché le questioni in questo ambito non possono essere discusse sulla base di criteri di
oggettività che caratterizzano l’economia come scienza. L’economista ha il compito di contribuire a far si
che i politici decidano tenendo conto sia dell’efficienza, sia dell’impatto distributivo.
La distribuzione del reddito
Definiamo:
• linea della povertà, il livello di reddito sufficiente a garantire i mezzi per soddisfare bisogni
essenziali,
• divario di povertà, quanto reddito si dovrebbe trasferire alla popolazione povera per elevare il
reddito di ciascuna famiglia fino a raggiungere la linea di povertà.
Il problema riguardante le notevoli disuguaglianze nei paesi occidentali è da ricondurre alle differenze
salariali dei capi famiglia che secondo molti economisti sarebbe da ricollegare all’incremento del rendimento
economico dell’istruzione.
Da tener di conto è la natura dei dati raccolti:
Da tener di conto è la natura dei dati raccolti:
Da tener di conto è la natura dei dati raccolti:
• In genere il reddito censito consiste solo nelle entrate in denaro delle famiglie. È possibile definire il
reddito di un individuo in un dato periodo come la somma di quanto consumato e risparmiato in quel
periodo. Tuttavia i dati sottostimano o non contano il reddito che non è registrato come flusso di
denaro, ma in natura, ossia il consumo di beni e servizi(rappresentato dal tempo libero, ad es il
tempo speso in famiglia, dai beni durevoli, ad es. la casa…ecc).
Le cifre ufficiali ignorano le imposte: i dati sul reddito sono al netto, e nei paesi occidentali i
programmi di redistribuzioni avvengano principalmente sulle imposte.
• Il reddito viene misurato in base annua: le misurazioni sul reddito hanno significato solo se riferite a
un certo arco di tempo. Solitamente si prende in condizione l’anno, anche se questa non è una misura
che riflette la condizione di un individuo poiché da una parte è troppo ristretta in quanto andrebbe
preso in considerazione un arco spazio temporale che tenga conto dell’intera vita (da giovani si
guadagna meno, durante la mezza età di più e da vecchi nuovamente meno), dall’altro nell’arco di un
anno si possono avere grandi cambiamenti.
• Esistono problemi nella definizione dell’unità da utilizzare: acceso è il dibatto se misurare il reddito
in base ai singoli individui o alle famiglie.
Le ragioni della ridistribuzione del reddito
Il benessere della società determinato in termini di utilità
e rappresentato dai livelli di utilità di tutti gli individui:
W=F(U 1 ,U 2 , U 3 …U n ). Questa funzione prende il nome di funzione del benessere sociale utilitaristica, per qualsiasi variazione di U i W↑.
Possiamo considerare un caso particolare che prende il nome di funzione di benessere sociale additiva o Benthamiana, dove W=U 1 +U 2 +U 3 …+U n .
In questo caso se l’obiettivo dello stato è quello di massimizzare il valore di W l’aumento si può avere aumentando le risorse di uno qualsiasi dei soggetti coinvolti. Teorizzando che siano presenti solamente due soggetti la funzione graficamente si rappresenta con curve lineari decrescenti inclinate a 45°.
Ciò determina che tutti gli individui hanno lo stesso peso.
Se quindi il benessere sociale è la somma di funzioni di utilità identiche che dipendono solo dal reddito; se man mano che il reddito di un individuo aumenta il suo benessere cresce, ma in misura sempre minore; se la
quantità totale di reddito è fissa, il reddito dovrebbe essere distribuito in maniera egualitaria.
Fino a quando i livelli di reddito di due individui sono diversi, anche l’utilità marginale sarà diversa e sarà
possibile accrescere la somma delle loro utilità incrementando il reddito dell’individuo più povero a spese di quello più ricco. Il benessere sociale raggiungerà il valore massimo solo nel punto l* dove i livelli di reddito e l’utilità marginale dei due individui sono uguali: l’obbiettivo dell’intervento pubblico dovrebbe essere allora l’assoluta uguaglianza tra i cittadini. Prima di trarre queste conclusioni è opportuno scomporre le
ipotesi su cui queste si basano:
Prima di trarre queste conclusioni è opportuno scomporre le
ipotesi su cui queste si basano:
- il benessere sociale è la somma di funzioni di utilità identiche che dipendono solo dal reddito: è
impossibile stabilire se persone diverse hanno funzioni di utilità uguali perché non è possibile
misurare oggettivamente l’utilità e perché le persone presentano differenze. Tuttavia quest’ipotesi è
stata posta sia per una condizione etica, sia perché le persone possono avere a un medesimo livello di
reddito la stessa utilità. - man mano che il reddito di un individuo aumenta il suo benessere cresce, ma in misura sempre
minore: se è vero che le curve di utilità di un singolo bene sono decrescenti, non è detto che ciò
avvenga con il reddito. Se questo fosse vero la dimostrazione appena fatta perderebbe di significato. - la quantità totale di reddito è fissa: questa ipotesi suppone che l’importo totale del reddito della
società sia fisso, tuttavia l’utilità degli individui non dipende solo dal reddito, ma da altri fatt ori
come il tempo libero. Quindi le imposte e i sussidi influiscono fortemente sulle scelte dei cittadini,
tanto che distribuendo uniformemente il reddito potrebbero ridursi le risorse disponibili
complessivamente.
Rawls
La ripartizione ottimale del reddito dipende quindi anche dai sistemi utilizzati per ridistribuirlo e dagli effetti
che questi hanno sul comportamento dei cittadini.
Un criterio adottabile è il criterio del max-min, dove il benessere della società dipende unicamente
dall’utilità dell’individuo che sta peggio di tutti:
W= minimo (U 1 , U 2 , U 3 …U n )
Il miglioramento della società si ha quindi con un passaggio dall’allocazione A all’allocazione D, in questo
caso infatti l’utilità del soggetto1(quello povero) diminuisce, mentre aumenta quella del soggetto2 (povero).
L’adozione di tale criterio implica che bisogna perseguire la perfetta uguaglianza nella distribuzione del
reddito accettando le disparità che servono ad accrescere
l’utilità delle persone che stanno peggio.
Il filosofo Rawls, che ideò questo criterio (tanto che questa
curva prende il nome di Rawlsiana) supporta la sua tesi grazie
al criterio di condizione iniziale, ovvero un criterio che
afferma, partendo da una condizione immaginaria nella quale
i cittadini non sanno ancora quale sarà il loro status
economico nella società, temendo di finire a far parte del ceto
più povero preferiscono un intervento pubblico volto ad
assicurare ai più poveri un reddito che sia il più alto possibile
distrib. reddito
La distribuzione del reddito non può mai portare un miglioramento paretiano, secondo l’ipotesi che l’utilità
di un individuo dipenda dal suo livello di reddito. Se supponessimo invece che le persone ricche siano
altruiste e quindi la loro utilità dipenda anche dal reddito dei più poveri si potrebbe avere un miglioramento
paretiano. Tuttavia per questi soggetti è difficile effettuare personalmente il trasferimento di reddito per un
problema di esternalità dato da asimmetria informativa, nel quale interverrà lo stato.
La distribuzione del reddito quindi potrebbe essere considerata un bene pubblico perché il livello di
disuguaglianza all’interno della società influisce sull’utilità di tutti i cittadini, infatti è possibile considerare
questa politica come una sorta di assicurazione contro la povertà.
Non tutti i punti di vista seguono una teoria utilitarista, come quella analizzata fino a questo momento:
alcuni, come nel caso dell’egualitarismo dei beni (idea secondo la quale tutti devono avere una certa
disponibilità di alcuni specifici beni come i generi alimentari, un’istruzione minima…), ritengono
imprescindibile che alcuni beni siano distribuiti a tutti; mentre altri sostengono che non conta come viene
distribuito il reddito a condizione che sia il risultato di un processo equo di acquisizione delle risorse.
L’incidenza della spesa pubblica sulla distribuzione
Un programma di intervento pubblico può modificare tutti i prezzi relativi determinando perdite e guadagni
anche per individui non coinvolti. Poiché è difficile individuare tutte le variazioni dei prezzi che si verificano
per effetto di un intervento pubblico, gli economisti in genere ipotizzano che una data politica vada soltanto a
beneficio di coloro a cui è rivolta e che gli effetti di altre variazioni di prezzo sulla distribuzione del reddito
siano di portata minore. In molti casi è probabile che questa assunzione sia corretta.
Molti programmi pubblici prevedono la fornitura di beni e servizi, ovvero di trasferimenti in natura, invece
che di trasferimenti in denaro. Questo è verificabile costruendo un grafico “servizio-beni Y”:
• effettuando un trasferimento in natura di un servizio pari a OB, un soggetto (con Vincolo di
Bilancio iniziale CF) si sposta sul VdB PZ, consumando esattamente la quantità OB del bene fornito
dallo stato e impiegando la totalità del reddito nell’acquisto di tutti gli altri beni (punto H).
• effettuando invece un trasferimento in denaro pari al consumo
del servizio in misura pari a OB, può accadere che un soggetto
(con VdB iniziale CF) si sposti sul VdB PZ, non consumando
più esattamente la quantità OB del bene fornito dallo stato, ma
una quantità minore per impiegando la totalità del reddito e il
sussidio non speso nell’acquisto del servizio per acquistare una
quantità tutti gli altri beni in M>H.
denaro o natura
Possiamo affermare che un trasferimento in denaro migliora in maniera più incisiva le condizioni di questo
soggetto, tuttavia nei paesi occidentali si ricorre molto spesso al trasferimento in natura per due motivi:
• il primo è che esistono dei problemi nell’individuazione di chi ha e di chi non ha diritto a ricevere il
trasferimento, tanto che in realtà persone che non hanno diritto al sussidio lo ottengono: i
trasferimenti in natura possono scoraggiare la presentazione di domande da parte di chi non ne ha
necessità in quanto in soggetti sono più difficilmente disposti a mentire per ricevere la fornitura di
beni o servizi non cedibili che possiedono già.
• in secondo luogo i trasferimenti in natura possono essere politicamente interessanti perché non
servono solo al destinatario, ma anche al produttore del bene il cui consumo si intende assicurare a
tutti
Capitolo 8
La governance europea delle politiche
fiscali e l’adozione del bilancio dello Stato
Dimensione quantitativa del settore pubblico nelle principali economie occidentali
Il grado di intervento del settore pubblico nell’economia varia da paese a paese, soprattutto in caso di
recessione caso in cui è presente un peggioramento dei conti pubblici con dimensioni diverse. Analizzando
un quadro generale possiamo dire che tra il 2005 e il 2010 in molti Paesi si è verificata:
• una crescita più o meno sostenuta della spesa pubblica,
una diminuzione delle entrate sul PIL,
• un’estensione dei debiti.
In caso di crisi infatti la spesa pubblica tende a crescere e le entrate pubbliche a diminuire, in quanto alcune
componenti della spesa pubblica e delle imposte risentono dell’andamento del PIL (se il PIL si riduce la
spesa aumenta e le imposte diminuiscono).
Il patto di stabilità, crescita e la nuova governance europea
È importante in questo contesto analizzare le riforme di governance europea riguardo le politiche fiscali e
monetarie. In seguito al Trattato di Maastricht del 1999 e al Patto di Stabilità e Crescita, i Paesi aderenti
all’Unione Monetaria hanno dovuto rivedere le proprie regole di bilancio e fiscali seguendo queste
disposizioni:
Tasso di inflazione < 1,5% rispetto al tasso medio dei paesi con minor tasso di inflazione
• Tassi di interesse a lungo termine < 2% rispetto al paese con inflazione più bassa
Tasso di cambio con oscillazioni < a quelle previste per lo SME
Debito della PA < 3% del PIL
Rapporto debito pubblico/PIL <60%
Il Patto di Stabilità e Crescita
Il Patto di Stabilità e Crescita è stato modificato nel 2005 e nel 2010. Nel 2010 è stata attuata una revisione
del Patto (chiamata Six-pack), sia della componente correttiva, che prevede che i Paesi con un rapporto
debito/PIL >60% riducano progressivamente la parte eccedente di 1/20 l’anno, sia della parte preventiva, che
prevede che i Paesi che tendono all’azzeramento del deficit diminuiscano del 0,5% su PIL all’anno del
deficit strutturale. Le sanzioni conseguenti al mancato rispetto di tale norma sono semi-automatiche e
prevedono il trasferimento dello 0,1% del PIL annuo in un deposito infruttifero.
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Scaricato da francesca cantelmi (francesca041099@gmail.com)lOMoARcPSD|7781396
lOMoAR cPSD| 1312009
Da un punto di vista legislativo i regolamenti del Six-pack, del Patto euro plus e il Fiscal Compact
prevedono requisiti comuni per tutti gli stati UE su sistemi contabili e procedure di bilancio, ma soprattutto
l’introduzione delle regole sull’equilibrio di bilancio nei testi costituzionali, e ciò ha comportato la modifica
dell’articolo 81 della Costituzione italiana.
Inoltre nel 2010 è stato introdotto il semestre europeo, ovvero un periodo in cui la Commissione predispone
un rapporto al Paese sugli obiettivi stabiliti dal Consiglio Europeo e sulle linee guida delle riforme per
attuarli, dopodiché ogni paese presenta il proprio Programma di Stabilità e i Piani Nazionali di Riforma che
devono essere approvati dal Consiglio per essere attuati.
Le ragioni economiche dei vincoli
Le ragioni economiche dei vincoli
Questa perdita di potere sulla politica fiscale ed economica dei Paesi membri non riscontra consenso
unanime. Secondo la teoria delle Aree Valutarie Ottime, infatti, è necessario in caso di shock negativi
asimmetrici (che riguardano un solo Paese) lasciare libere le politiche fiscali (e quindi avere un disav anzo)
per attenuare tali effetti negativi. Ciò potrebbe comportare però il mantenimento da parte di questi Paesi di
un debito elevato, di un crescente ricorso al mercato di capitali e quindi di un aumento dei tassi di interesse.
L’alto debito inoltre potrebbe rendere il Paese a rischio di inadempimento, e di conseguenza seguirebbero
pressioni da parte degli altri Paesi verso la Banca centrale affinché questa allenti la politica monetaria o salvi
il Paese inadempiente comprandone i titoli. Di conseguenza l’aumento dell’offerta di moneta e
dell’inflazione è a carico di tutti i Paesi membri. Per tale motivo il Patto di Stabilità e Crescita richiede
maggiori vincoli alle politiche di bilancio nazionali.
La definizione di operatore pubblico
Il settore pubblico raggruppa tutte le unità istituzionali le cui funzioni principali consistono nel produrre
servizi non destinabili alla vendita, ed è suddiviso in tre sotto-settori:
1. Le Amministrazioni Centrali (Stato, organi costituzionali, ANAS…);
2. Le Amministrazioni locali (enti territoriali come regioni/province/comuni, enti economici locali
come camere di commercio, enti per il turismo, industria…, enti assistenziali locali come università,
istituzioni di beneficenza…);
3. Gli Enti di previdenza, la cui attività consiste nell’erogare prestazioni sociali finanziate attraverso
contributi obbligatori (INPS, INAIL e altri).
Tutti gli enti sopracitati non solo interagiscono con i cittadini per fornire servizi e riscuotere entrate, ma
anche tra loro andando a creare un complesso intreccio di relazioni economiche e finanziarie, che è
necessario rappresentare sinteticamente se si vuole analizzare l’impatto del settore pubblico nell’economia.
Proprio per questo l’ISTAT elabora il Conto Economico Consolidato delle Pubbliche Amministrazioni allo
scopo di capire quante sono le risorse prelevate al settore privato dal settore pubblico. Tuttavia questo conto
non è la semplice somma dei flussi finanziari che hanno la stessa natura, poiché spesso i singoli enti sono
legati da rapporti interni. È quindi necessario eliminare dal computo i flussi interni, cioè le entrate dell’ente
di livello inferiore che questo riceve da enti di livello superiore.
Ciò che risulta Conto Economico Consolidato delle Pubbliche Amministrazioni è l’indebitamento netto
(deficit), ovvero la differenza tra entrate e uscite totali, il quale rappresenta il parametro di riferimento del
Patto di Stabilità e Crescita Europeo.
Il bilancio dello stato
Il bilancio dello stato
All’interno delle Pubbliche amministrazioni, lo Stato costituisce il soggetto più importante per la rilevanza
del suo bilancio, la cui struttura (definita dall’art 81 della Cost.) è stata modificata con il Fiscal Compact.
Nell’originaria formulazione della Costituzione, il bilancio dello Stato era una legge meramente formale
poiché in sede di bilancio non era possibile poter attuare una manovra finanziaria, tanto che per far ciò il
Parlamento in separata sede approva la legge Finanziaria, che poteva anche modificare le leggi tributarie e di
spesa vigenti.
In base al nuovo art. 81, invece, il bilancio dello Stato è una legge sostanziale, la quale introduce la regola
del pareggio di bilancio:
1. Comma 1“lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto
delle fasi avverse e favorevoli del ciclo economico”. Esso definisce così il saldo strutturale, cioè un
saldo associato alla crescita di lungo periodo, al netto delle fluttuazioni cicliche.
2. Comma 2: il ricorso all’indebitamento non è possibile durante le fasi favorevoli del ciclo, nemmeno
per finanziare la spesa per investimenti, e deve essere autorizzato dalle Camere con maggioranza
assoluta.
3. Comma 3: Ogni legge che importi nuovi oneri deve provvedere ai mezzi per farvi fronte
4. Comma 4: ogni anno le Camere devono approvare la legge di bilancio presentata dal Governo.
5. Comma 5: riguarda l’ipotesi in cui il disegno di legge di bilancio non giunga al voto finale entro il
31 dicembre
6. Comma 6: riguarda la maggioranza qualificata necessaria per attuare questa legge.
Secondo l’articolo 81, la legge di bilancio si dovrà articolare in due distinte sezioni:
• la prime riguarda i contenuti della legge di stabilità (ovvero legge che contiene le modifiche alla
legislazione vigente e le conseguenti disposizioni per la formazione del bilancio di previsioni
annuale: è la legge che contiene la così detta manovra di finanza pubblica);
la seconda contiene le previsioni di bilancio a legislazione vigente con le variazioni determinate
dalle prima sezione.
principio del pareggio di bilancio
Tramite il principio del pareggio di bilancio lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e favorevoli del ciclo economico: si parla così di saldo
strutturale, cioè un saldo associato alla crescita di lungo periodo, al netto delle fluttuazioni cicliche.
Il saldo di bilancio strutturale è quindi definito come:
d t (deficit corrente) + α (output gap) =0
Dove:
d t = debito;
α = elasticità deficit/PIL;
Outputgap = g t – g 0 = Δg è la differenza tra il tasso di crescita effettivo e il tasso di crescita lungo la
linea del trend.
L’articolo 81 è in contrasto con la cosiddetta Golden Rule: secondo questa regola il debito può essere impiegato per finanziare la spesa in conto capitale (investimenti pubblici), almeno nel lungo periodo, in
quanto il peso del debito è poi ridistribuito negli anni durante i quali le infrastrutture sono produttive, tanto
che quindi il debito risulta essere coperto dal valore degli assets pubblici. Tuttavia questa non garantisce la
sostenibilità ed inoltre solo un investimento netto risulta favorire le future generazioni.
Con la Golden Rule è il saldo corrente (ovvero del breve periodo) che si aggiusta al ciclo: il saldo corrente è
definito in maniera differente dal saldo strutturale:
c 0 = d t + α (outpugap) →→ c 0 = dc t + e gt + α Δg
Dove:
d t = indebitamento netto = deficit corrente + investimenti pubblici = dc t + e gt
C 0 si muove correntemente al ciclo e gt (c 0 →→ e gt ), percio’ dc t = - α Δg
La formazione del bilancio dello Stato
- Il bilancio di previsione annuale contiene le previsioni di spesa formulate dalle direzioni generali dei
singoli Ministeri, i quali poi presentano tali previsioni al Ministro dell’Economia e vanno a costituire la
base per la scrittura del bilancio. - Il bilancio di previsione pluriennale contiene invece la spesa e le entrate che si riferiscono a periodi non
inferiori a tre anni e viene aggiornato ogni anno (il governo lo deve presentare alla camera per poi
inviarlo a Bruxel entro la fine del mese). Esso deve essere coerente con il Documento di Economia e
Finanza (DEF), il quale è un documento che contiene un quadro macro economico, gli obiettivi di
finanza pubblica e gli strumenti per raggiungerli. È un atto di indirizzo politico (ovvero non ha valore di
legge) ed è articolato in tre parti:
• il Programma di Stabilità,
• l’analisi dei conti pubblici,
il Piano Nazionale di Riforme.
Quindi le previsioni di entrata e di spesa considerate non sono sole quelle del settore statale, ma anche
dell’intero settore pubblico (ottenute come risultante del conto consolidato della PA). Rispetto a entrate
e spese il documento deve quantificare gli obbiettivi per il disavanzo corrente, ovvero la differenza tra
entrate e spese correnti, e l’indebitamento netto e quindi l’ammontare del fabbisogno complessivo per
ciascuno degli anni del bilancio pluriennale.
Questo, dopo essere stato approvato dal Parlamento entro i primi di aprile, deve essere approvato dalla
Commissione Europea entro la fine dello stesso mese. - La sessione di bilancio italiana è stata modificata in seguito all’introduzione del semestre europeo, anche
se le prime modifiche iniziano dal 2009, anno in cui è stata introdotta la legge di Stabilità in sostituzione
della legge Finanziaria. La legge di stabilità ha lo scopo di ricondurre le finanze pubbliche del Paese in
linea con gli obiettivi europei, e indica:
il livello massimo del ricorso al mercato e del saldo netto da finanziare coerentemente con quanto
stabilito dal DEF;
•
gli effetti derivanti dalla manovra sul saldo netto da finanziare, sull’indebitamento netto e sul
fabbisogno della PA;
•
l’importo complessivo destinato al rinnovo dei contratti del pubblico impiego
gli accantonamenti per la copertura di nuove leggi di spesa;
gli stanziamenti annuali destinati al finanziamento delle leggi che dispongono spese in conto capitale
a carattere pluriennale;
le riduzioni delle autorizzazioni legislative di spesa superflue.
Norme di delega e norme a carattere ordinamentale e organizzativo che abbiano un collegamento con la
legge di stabilità possono essere contenuti in appositi disegni di legge collegati discussi fuori sessione.
Il DEF e il Disegno di legge di Stabilità e Bilancio rappresentano i documenti principali di finanza
pubblica.
Il bilancio di previsione annuale
Analizzando il bilancio da un punto di vista contabile, esso si presenta come un elenco di entrate e di spese scritte secondo precise regole al fine di favorirne trasparenza e leggibilità .
Il bilancio viene compilato oggi è un bilancio misto, ovvero che ha una doppia configurazione:
•
il bilancio di competenza, registra le entrate/spese nella fase in cui si prevede che sorgerà per lo
Stato il diritto a riscuotere/l’obbligo a pagare;
•
il bilancio di cassa, registra entrate/spese nella fase in cui si prevede la riscossione/il pagamento.
Le entrate accertate non riscosse nell’esercizio e le spese impegnate non pagate formano poi rispettivamente
i residui attivi e i residui passivi.
La struttura del bilancio e il modo di ripartire le entrate e le spese è cambiato nel tempo: inizialmente le
singole voci erano elencate in modo analitico al fine di costituire un capitolo (unità elementare del bilancio),
in un secondo momento poi i capitoli sono stati raggruppati con omogenee aree di attività in Unita’
Previsionali di Base (UPB). Secondo una classificazione economica e funzionale, le entrate e le spese sono
divise in Titoli (ogni Titolo comprende diverse UPB):
1. Entrate
• Titolo 1: Entrate tributarie (previsioni di entrate correnti);
• Titolo 2: Entrate extra-tributarie (previsioni di entrate correnti);
• Titolo 3: Alienazione e ammortamento di beni patrimoniali e riscossione dei crediti (previsioni
di entrate di parte capitale);
• Titolo 4: Accensione di prestiti (previsioni di entrate derivanti dalla vendita dei titoli di debito
pubblico).
2. Spese
• Titolo 1: Spese correnti (previsioni di spesa per il funzionamento della PA, per la produzione di
servizi e per la ridistribuzione del reddito);
• Titolo 2: Spese in conto capitale (previsioni di spesa per investimenti diretti e indiretti);
• Titolo 3: Rimborso passività finanziarie (previsioni di spesa per il rimborso dei debiti).
Tuttavia negli ultimi cinque anni la struttura è cambiata, in quanto non è più basata sulla struttura
organizzativa dell’Amministrazione ma è basata sulle funzioni da svolgere: le entrate e le spese sono
suddivise per Missioni (obiettivi da perseguire). Ciascuna Missione è articolata in Programmi ovvero
aggregati di attività svolte all’interno di ogni singolo Ministero. Infine ciascun Programma è suddiviso in
Unità di Previsione di Base.