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Capitolo 11 -‐ Gli interventi di sostegno al
reddito in caso di disoccupazione
L’assicurazione contro la disoccupazione è uno dei principali interventi di welfare negli Stati
contemporanei: si tratta delle pensioni di invalidità e dei sussidi per i disoccupati.
L’intervento dello Stato è giustificato dalla necessità che tutti abbiano un reddito minimo (per ragioni di
equità) e poiché se lo stato non intervenisse per i lavoratori non esisterebbe un’assicurazione, poiché la
prevenzione nei confronti della disoccupazione da vita a fenomeni di selezione avversa e azzardo morale,
portando a una mancanza di efficienza dei mercati privati.
Infatti la domanda di disoccupazione proviene soprattutto da lavoratori con un’elevata probabilità di restare
disoccupati (selezione avversa), e i lavoratori coperti da assicurazione contro la disoccupazione potrebbero
comportarsi in modo tale da restare disoccupati (azzardo morale).
Un programma assicurativo pubblico elimina il problema della selezione avversa, aumentando l’efficienza,
ma non elimina l’azzardo morale. I programmi assicurativi pubblici avrebbero due effetti sul mercato del
lavoro:
1. Un sostegno generalizzato permetterebbe agli individui decisioni più efficienti nel campo
dell’istruzione, legando la mobilità sociale non più alle possibilità di reddito familiari, ma alla
distribuzione delle attitudini e del talento: grazie alla possibilità di trovare un assicurazione più
confacente al proprio talento;
2. L’assicurazione aumenterebbe la durata della disoccupazione e quindi garantirebbe più tempo per
cercare un impiego più confacente alle proprie competenze, aumentando l’efficienza
Sussidi di disoccupazione e incentivi al lavoro
Un programma di welfare di assistenza temporanea incide sulle scelte relative al lavoro dei soggetti
interessati. Definiamo il sussidio ricevuto come:
B = G – t E
se B = 0 E = G/t
dove:
• B = sussidio ricevuto (al netto di eventuale reddito da lavoro);
• G = sussidio di base (se l’individuo non lavora);
• t = aliquota di imposta implicita (tasso al quale il sussidio viene ridotto quando il soggetto comincia
a lavorare);
• E = reddito
Per un dato sussidio di base, più è bassa l’aliquota d’imposta e più è elevato il livello di reddito che annulla
l’intervento.
Per capire come il sussidio incide sulle decisioni di offerta di lavoro dei soggetti prendiamo in analisi le
curve di indifferenza:
• Senza il sussidio, la scelta di tempo libero e reddito che massimizza l’utilità è quella in
corrispondenza del punto E (punto di tangenza), poiché il reddito è dato dalla semplice
moltiplicazione salario per tempo.
• Con un sussidio soggetto ad un’aliquota d’imposta implicita del 25%, si ha un nuovo vincolo di
bilancio intercetta-verticale QE. L’introduzione di tale programma quindi crea un incentivo a
lavorare meno: con il sussidio lavora KT ore, rispetto alle FT ore di prima.
• Con un sussidio soggetto ad un’aliquota d’imposta implicita del 100%, il vincolo di bilancio
diventa intercetta-verticale RE’. Con questo programma il soggetto massimizza l’utilità nel punto P,
in cui offre un numero di ore di lavoro pari a zero
Sussidi di disoccupazione e incentivi al lavoro ii
Questo sistema di welfare però non induce necessariamente un individuo a smettere di lavorare, perché’ la
scelta di ore di tempo libero e reddito dipende dalle curve di indifferenza. Con curve di indifferenza diverse
come quelle nel grafico sottostante, ad esempio, un programma di welfare lascia invariata l’offerta di lavoro.
Nel programma di welfare l’individuo può scegliere quante ore lavorare e può fruire del programma se
sceglie di non lavorare affatto; il programma di work-fare invece prevede che gli individui idonei
all’impiego ricevano i sussidi solo se accettano un impiego qualora gli venga offerto: se l’individuo non
sceglie un punto come il punto S, in corrispondenza del quale lavora SE’ ore, non riceverà alcuna indennità.
La modalità diffusa nei Paesi occidentali per integrare il reddito degli individui e garantire una forma di
sussidio è quella che avviene attraverso imposta sul reddito, infatti soltanto i poveri che lavorano possono
usufruire di questi interventi, volti comunque a incoraggiare il lavoro.
Le forme di sussidio possibili sono:
•
Le detrazioni dall’imposta sul reddito da lavoro, ovvero una riduzione dell’imposta dovuta.
L’imposta netta per individuo è:
T n = t Y - S , dove:
t = aliquota;
Y = reddito;
S = detrazione dall’imposta
In tal caso l’eliminazione della povertà comporterebbe costi elevati per la finanza pubblica.
•
Le deduzioni dal reddito imponibile (ovvero una riduzione del reddito a cui applicare l’imposta),
sono tasse che vengono applicate solo su una percentuale del reddito.
L’imposta netta per individuo è:
T = t ( Y – Y) , dove:
Y= deduzione dal reddito
Quindi il reddito dopo la deduzione è: Y post = Y – T
Inoltre, se Y < Y* (il reddito dell’individuo è minore della deduzione) si ha un’imposta negativa
pari a t ( Y* - Y). L’ aliquota necessaria per eliminare la povertà attraverso un programma di
imposta negativa (ovvero lo stato dà i soldi all’individuo) però potrebbe essere molto elevata.
Poniamo:
o Y m = reddito medio al lordo dell’imposta;
o S= detrazione dall’imposta = 0,5 Y m (soglia della poverta’=meta’ del reddito medio)
o N= numero di individui con reddito prima dell’imposta pari a Y i ;
o Y= deduzione dal reddito
Il vincolo di bilancio del settore pubblico è:
Σ i T i = Σ i t ( Y i – Y) = t Σ i Y i – N t Y* = 0
t Y m – t Y* = t Y m – S = 0
t = S/Y m = 0,5
Gli interventi in caso di disoccupazione
In Italia gli interventi contro la disoccupazione, definiti dalla riforma Fornero e gestiti dall’INPS, sono:
1. La cassa integrazione guadagni (CIG): intervento a sostegno delle imprese in difficoltà che
garantisce al lavoratore un reddito sostitutivo della retribuzione. In caso di sospensione o riduzione
dell’attività produttiva dovuta a eventi temporanei non imputabili all’imprenditore si concede ai
lavoratori un sostegno pari all’80% della retribuzione, corrisposto per un massimo di 13 settimane;
2. La cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS): integra o sostituisce la retribuzione dei
lavoratori al fine di fronteggiare la crisi dell’azienda o per consentire di affrontare processi di
ristrutturazione/riorganizzazione. Concede un’indennità pari all’80% della retribuzione e in caso di
ristrutturazione/riorganizzazione ha una durata di 24 mesi, mentre in caso di crisi aziendale ha una
durata di 12 mesi;
3. L’assicurazione sociale per l’impiego (ASPI): è una prestazione economica che sostituisce tre
istituti, ovvero l’indennità di mobilità, l’indennità di disoccupazione non agricola e l’indennità di
disoccupazione speciale edile. E’ destinata ai lavoratori dipendenti che abbiano perduto
involontariamente il lavoro e versato contributi contro la disoccupazione involontaria per due anni.
E’ pari al 75% della retribuzione media, dopodiché’ dopo i primi sei mesi si riduce del 15% e dopo il
dodicesimo mese di un altro 15%;
4. La mini-assicurazione sociale per l’impiego (mini-ASPI): si rivolge alle stesse categorie di
lavoratori destinatari dell’ASPI, ma possono accedervi anche coloro che hanno meno di 24 mesi di
contribuzione. L’importo è lo stesso, ma ha durata limite di 13 settimane.
Con la riforma Fornero si è cercato di tener conto della trasformazione avvenuta nel mercato del lavoro
italiano allargando la platea di lavoratori destinatari dell’indennità di disoccupazione: estendendo la CIGS
sono stati inclusi lavoratori di settori diversi dall’industria; con l’ASPI sono stati inclusi apprendisti e soci di
cooperative; con la mini-ASPI sono stati inclusi i più giovani.
Prima della riforma Fornero, c’erano due istituti, la cassa integrazione e l’indennità da disoccupazione:
questi hanno in comune il fatto di essere assicurazioni contro la disoccupazione e sono destinate a precise
categorie di lavoratori.
Capitolo 12 -‐ La spesa previdenziale
Tra gli interventi che rientrano nella spesa previdenziale, oltre la spesa sanitaria e gli interventi in caso di
disoccupazione, vi sono anche la spesa per le pensioni di vecchiaia, di invalidità, per i superstiti e le pensioni
sociali:
• La pensione di vecchiaia si distingue dalla pensione di anzianità perché’:
o la prima è attribuita a chi ha cessato l’attività lavorativa per limiti di età;
o la seconda è attribuita ai lavoratori che hanno raggiunto un certo numero di anni di
contribuzione.
• La pensione per invalidità è destinata alle persone che sono state vittima di un incidente per cui non
sono più in grado di lavorare;
• La pensione per i superstiti va invece a coloro che, anche se non hanno svolto attività lavorativa,
sono stati legati da vincoli familiari a lavoratori deceduti;
• La pensione sociale è destinata alle persone che sono prive di mezzi di sostentamento,
indipendentemente dal fatto che abbiano lavorato.
Le prime due categorie di pensioni assolvono alla funzione previdenziale/assicurativa, mentre le altre sono
forme di intervento assistenziale.
Le motivazioni che giustificano l’intervento dello Stato in questo ambito della spesa pubblica riguardano la
ricerca sia dell’efficienza che dell’equità. A tale scopo, lo Stato deve:
• garantire le pensioni in termini reali, assicurando i lavoratori contro il rischio del deprezzamento
dovuto all’inflazione;
• porsi come garante del patto intergenerazionale di distribuzione del reddito (fra giovani e anziani)
Effetti della previdenza sociale sul comportamento economico
Secondo la teoria del ciclo vitale gli individui consumano e risparmiano in base a considerazione riguardanti
la loro intera vita: essi in genere risparmiano parte del reddito, per accumulare fondi dai quali attingere
quando cessano l’attività lavorativa. L’introduzione del sistema previdenziale può alterare la quantità di
risparmio nel corso della vita, in seguito a tre effetti:
•
Effetto di sostituzione della ricchezza: i lavoratori sono consapevoli del fatto che, in cambio dei contributi versati alla previdenza sociale, riceveranno una data pensione.
I contributi perciò finanziano le pensioni, e sono considerati un mezzo per risparmiare, così che i soggetti tenderanno a risparmiare meno per conto loro. In base a questo effetto cala il risparmio privato, senza avere un aumento del risparmio pubblico che bilanci tale diminuzione; perciò si ha una riduzione della quantità totale di accumulo di capitale;
I contributi riducono il consumo attuale di T euro e fanno aumentare il consumo futuro di (1+r)T euro. Graficamente quindi, sulla base di un vincolo di bilancio intertemporale, un soggetto (date le proprie curve di ndifferenza), prima dell’introduzione del programma di previdenza sociale per
raggiungere il suo paniere di consumo ottimale (punto E 1 ) risparmierà c 0 *I 0 ; a seguito dell’introduzione di questo rispremerà meno di quanto risparmiava prima del programma di previdenza sociale, ovvero c 0 *I T0 , poiché il soggetto versando contributi pari a T si sposta nel grafico orizzontalmente di T e verticalmente di (1+r)T partendo quindi da una dotazione iniziale pari a R e non più ad A. Questo, quindi, riduce il risparmio privato.
• Effetto anticipo dell’età del pensionamento: la previdenza sociale potrebbe indurre le persone ad andare in pensione prima di quanto farebbe altrimenti, data la sicurezza di ottenere una pensione al cessare dell’attività lavorativa. Perciò gli individui risparmierebbero di più per finanziare un periodo di pensionamento più lungo;
• Effetto eredità: il sistema di previdenza sociale tende a spostare il reddito dai figli
(lavoratori/contribuenti) ai genitori (pensionati/beneficiari di indennità). I genitori potrebbero
dunque risparmiare di più per aumentare l’eredità dei loro figli, in modo da bilanciare l’effetto distributivo della previdenza sociale
I sistemi pensionistici
I sistemi pensionistici pubblici si distinguono in base a due criteri:
1. la modalità di finanziamento
2. i criteri di definizione dell’ammontare delle pensioni.
1. Per quanto riguarda la modalità di finanziamento, possiamo distinguere due sistemi pensionistici diversi
che impiegano i contributi versati dai lavoratori (i quali rappresentano le entrate degli istituti
previdenziali) in maniera diversa:
I.
Il sistema a ripartizione: i contributi versati in un dato periodo dai lavoratori finanziano le
pensioni erogate in quel periodo;
II.
Il sistema a capitalizzazione: i contributi versati dai lavoratori sono investiti e finanziano le loro
pensioni al momento in cui questi cessano di lavorare.
Prendiamo un modello a generazioni sovrapposte, in cui si hanno due generazioni: gli anziani e i giovani,
i quali percepiscono un salario e pagano un’aliquota contributiva. Definiamo quindi:
o n= tasso di crescita della popolazione
o N t = numero di anziani;
o N t+1 = N t (1+n) numero di giovani;
o c= aliquota contributiva pagata dai giovani;
o m= tasso di crescita della produttività del lavoro (che si riflette sui salari);
r= tasso di interesse reale costante;
S t = salari al tempo t
S t+1 = S t (1+m) = salari al tempo t+1
S t N t = monte salari (dei giovani) al tempo t;
c S t N t = monte contributivo (degli anziani) al tempo t (anche chiamato monte pensioni)
I sistemi pensionistici ii
Nei sistemi a ripartizione: al tempo t+1 il monte contributivo versato da quelli che sono i giovani al
tempo t+1 serve per pagare le pensioni, quindi la pensione pro capite sarà data dal rapporto tra i
contributi che stanno versando i giovani (monte pensioni a t+1) e il numero di anziani:
P rip = [c (S t+1 N t+1 )]/N t = {c [S t+1 N t (1+n)]}/ N t
c S t+1 (1+n)
Nel sistema a capitalizzazione: il monte contributivo versato da quelli che sono giovani al tempo t (e
anziani al tempo t+1) verrà impiegato al tasso r e utilizzato al tempo t+1 per pagare le loro pensioni,
quindi la pensione pro capite sarà data dal rapporto tra i contributi che hanno versato al tempo t,
moltiplicati per il tasso di interesse, e il numero di anziani:
P cap = {c [S t N t (1+r)]}/N t
c S t (1+r)
Il teorema di Aaron-Samuelson afferma che i due sistemi sono equivalenti, a parità di aliquota
contributiva c e a parità di salari al tempo t e al tempo t+1, se r = n ; cioè se il tasso di interesse reale è
uguale al tasso di crescita della popolazione (e quindi degli occupati). Ovvero:
→→P cap = P rip se r = n (invece P cap > P rip se r > n e viceversa)
Questo teorema vale anche a livello generale, prendendo in considerazione il tasso di crescita del PIL.
Definiamo:
o g = tasso di crescita del PIL →→ (1+g) = (1+m)(1+n)
o S t+1 = S t (1+m) = salari al tempo t+1
Possiamo quindi riscrivere la pensione pro capite secondo il sistema di ripartizione come:
P rip = [c (S t+1 N t+1 )]/N t = {c [S t (1+m) N t (1+n)]}/ N t = c S t (1+m) (1+n)
c S t (1+g)
I sistemi pensionistici a ripartizione e a capitalizzazione sono quindi equivalenti se:
P rip = P cap , ovvero se r = g.
Il tasso interno di rendimento o TIR, ovvero il tasso che riferito ad un dato istante di tempo uguaglia il valore attualizzato dei contributi al valore attualizzato delle pensioni, è diverso nei due sistemi:
• Nel sistema a capitalizzazione, si ha che P cap = c S t (1+r), perciò il TIR = r
• Nel sistema a ripartizione, si ha che P rip = c S t (1+g), perciò il TIR = g
2. Se definiamo i sistemi pensionistici in base al criterio utilizzato per definire l’ammontare della
pensione, possiamo distinguerne due tipi:
I. Sistema retributivo: si calcola la pensione in base alla retribuzione ricevuta dal lavoratore in una o più fasi della sua carriera lavorativa (l’obiettivo dello Stato è quello di assicurare al pensionato il mantenimento, anche quando il soggetto cessa l’attività, di uno standard di consumi simile a quello goduto durante il periodo di attività lavorativa);
II. Sistema contributivo: si calcola la pensione in base ai contributi versati dal lavoratore durante la
sua carriera lavorativa (l’obiettivo è quello di vincolare i singoli ad un risparmio forzoso, dove il tasso di remunerazione del capitale risparmiato è definito dalla legge a priori).
Capitolo 13
Analisi costi -‐ benefici
L’economia del benessere è anche il fondamento teorico della cosiddetta analisi costi-benefici, ovvero di una serie di procedure che aiutano a prendere decisioni di spesa pubblica e per stabilire se un progetto presenti o meno benefici per la collettività.
Il valore attuale di una somma di denaro disponibile in futuro è la cifra massima che saremo disposti a pagare oggi per avere il diritto a riscuotere quella somma in futuro.
Per determinare la cifra massima a cui dovremo essere disposti a rinunciare ora, in cambio di 100 euro pagabili tra un anno, bisogna trovare il numero che moltiplicato per (1 + i) dia come risultato 100 euro. Si noti la simmetria con il problema già affrontato per calcolare il valore futuro di una somma di denaro: per calcolare il valore che avrà tra un anno una somma che si possiede oggi, la si moltiplica per uno più il tasso d’interesse, per calcolare il valore attuale di una somma che si avrà fra un anno, la si divide per uno più il tasso d’interesse.
In generale, quando il tasso d’interesse è i, il valore attuale di una promessa a pagare R euro allo scadere di T anni è semplicemente R/(1 + i) T euro. Perciò, anche in assenza di inflazione, il valore di un euro disponibile in futuro, è inferiore a quello di un euro disponibile oggi e deve essere “scontato” per una somma che dipende dal tasso d’interesse e dal tempo che dovrà trascorrere prima che la somma sia esigibile.
Per questa ragione spesso i viene definito tasso di sconto e (1 + i) T fattore di sconto. Si noti che più è lontana la data in cui il prestito sarà esigibile (cioè più grande è T) minore sarà il valore attuale.
Consideriamo una promessa di pagamento di R 0 euro oggi, di R 1 euro fra un anno e di R 2 euro fra due anni e così via sino a T anni. Qual è il valore di un accordo di questo tipo? Il procedimento
corretto consiste nell’attualizzare ciascuna delle cifre e poi sommarle. Il valore attuale sarà:
Va = R 0 + R 1 + R 2 + … + R T
(1+r) (1+r) 2 (1+r) T
inflazione
Vediamo ora come si modificano questi calcoli se si prevede che in futuro vi sia un aumento del livello dei prezzi. Per iniziare prendiamo in considerazione un progetto che al prezzo attuale abbia lo stesso rendimento ogni anno e chiamiamolo R 0 . Si hanno valori nominali, quando si calcola in base al livello dei prezzi previsti per l’anno in cui si realizzerà il rendimento.
Se invece si calcola il rendimento in termini di prezzi in vigore in un solo anno si parla di valori r eali, ossia di valori che non riflettono le variazioni del livello dei prezzi. Quando si prevede un aumento dei prezzi, chi presta denaro non lo presterà più al tasso di interesse i prevalente quando i prezzi erano stabili, perché sa che il denaro che gli verrà restituito avrà un minor valore e cioè, in termini reali, sulla somma che gli verrà restituita il primo anno dovrà considerare anche gli effetti dell’inflazione e quindi dovrà scontarla anche per (1 + 1r). Analogamente si dovrà comportare per la somma restituita il secondo anno calcolando (1 + 1r) 2 .
Quando è prevista l’inflazione, aumentano sia il flusso dei rendimenti sia il tasso di sconto
Analisi di un progetto privato
Il problema centrale dell’analisi costi-benefici di progetti pubblici è la valutazione degli input e degli output. Supponiamo che un’azienda stia valutando due progetti alternativi, X e Y.
I costi e i benefici reali del progetto X li indichiamo con C X e B X , e quelli del progetto Y con C Y e B Y e ipotizziamo che entrambi i progetti si possano realizzare immediatamente.
L’azienda deve rispondere a due domande.
La prima: è opportuno realizzare questi progetti, ossia sono ammissibili? L’azienda potrebbe, infatti, scegliere di non realizzare alcun progetto. La seconda: se entrambi i progetti sono ammissibili, qual è il migliore? Se i costi e i benefici si realizzano immediatamente, rispondere a queste domande è semplice: basta calcolare il rendimento netto del progetto X, ossia (B X – C X ) e
confrontarlo con quello di Y, ossia (B Y – C Y ).
Un progetto è ammissibile solo se il suo rendimento netto è positivo, cioè se i benefici sono maggiori dei costi. Se entrambi i progetti sono ammissibili e l’azienda può realizzarne solo uno dei due, non resta che scegliere quello con il rendimento netto maggiore. In realtà, i benefici, i costi e i rendimenti reali di quasi tutti i progetti non si realizzano immediatamente, ma si roducono come somme di flussi temporali. Supponiamo che i costi e i benefici iniziali del progetto X siano B 0X e
C 0X , che alla fine del primo anno siano B 1X e C 1X e alla fine dell’ultimo anno siano B TX e C TX .
Possiamo definire il progetto X come flusso di rendimenti netti (alcuni dei quali possono essere negativi):
dove i è il tasso di sconto “adeguato” a un progetto del settore privato.
Analogamente, supponiamo che il progetto Y generi un flusso di costi e benefici C Y e B Y in un periodo di anni T’ (T’ non deve essere necessariamente uguale a T). Il valore attuale del progetto Y é:
Dato che abbiamo valutato entrambi i progetti in termini attuali, possiamo confrontare i due valori
attuali tenendo presente che:
• un progetto è ammissibile solo se il valore attuale è positivo;
• quando due progetti si escludono, il progetto migliore è quello con il valore attuale più alto.
Il tasso di sconto è un elemento chiave dell’analisi, infatti diversi valori di i possono condurre a conclusioni molto diverse circa l’ammissibilità e il confronto tra i progetti.
Tasso interno di rendimento
Se un progetto rende un flusso di benefici (B) e comporta dei costi (C) nel periodo T, il tasso
interno di rendimento p, è definito dal valore di p che risolve questa equazione:
Il tasso interno di rendimento è il tasso di sconto che renderebbe il valore attuale del progetto pari a 0,
ovvero quello che consente di recuperare al tempo T il valore dell’investimento iniziale.
Ne deriva che un progetto è ammissibile se p supera il costo opportunità dell’investimento, i.
Rapporto costi-benefici
Supponiamo che un progetto generi un flusso di benefici B0, B1, B3, … , BT, e di costi C0, C1, C2, …, CT.
Il valore attuale dei benefici B è:
e il valore attuale dei costi C è:
Il rapporto costi-benefici è dato da B/C e perché un progetto sia ammissibile tale rapporto deve
essere superiore a uno. L’applicazione di questa regola fornisce sempre un’indicazione corretta.
Per capire perché, basta semplicemente pensare che B/C > 1 implica che B – C > 0 il che equivale a valutare
un progetto in base al valore attuale. A ogni modo, utilizzare il rapporto costi-benefici come base per
confrontare progetti ammissibili è virtualmente inutile.
Nel calcolo del rapporto costi-benefici esiste un’intrinseca ambiguità, dovuta al fatto che i costi sociali
possono essere considerati o una diminuzione dei benefici (e quindi riducono il numeratore) oppure come
aumento dei costi (al denominatore). Nei due casi il risultato non è lo stesso. Invece, il criterio del valore
attuale, dal momento che si basa sulla differenza tra benefici e costi e non sul loro rapporto, non è ambiguo.
In conclusione, il tasso di rendimento interno e il rapporto costi-benefici possono condurre a deduzioni
scorrette, mentre il criterio del valore attuale è il criterio più affidabile.
Tasso di sconto nel settore pubblico
Anche i decisori pubblici per scegliere tra progetti alternativi si basano sul criterio del valore attuale, ma nel settore pubblico costi, benefici e tassi di sconto devono essere calcolati in modo diverso da quanto fatto per il settore privato. Il tasso di sconto scelto da imprenditori privati dovrebbe riflettere il tasso di rendimento di eventuali investimenti alternativi. Sebbene sia praticamente difficile individuare con esattezza quest o tasso, a
livello teorico si è convenuto che il costo opportunità di un investimento effettuato da un’azienda offra il valore corretto di i; non vi è il medesimo consenso circa il tasso di sconto concettualmente corretto per i progetti pubblici. Analizziamo, quindi, le varie possibilità.
• Tassi basati sui rendimenti del settore privato: il denaro da investire in un dato progetto viene raccolto con una serie di imposte, ciascuna delle quali ha un effetto diverso sui consumi e sugli investimenti ed è probabile che il progetto pubblico venga finanziato con risorse che altrimenti sarebbero state impiegate sia per consumi sia per investimenti. Per il denaro sottratto agli investimenti, il costo pportunità è dato dal tasso di rendimento lordo e quindi è il tasso di sconto adeguato, ma lo stesso non vale per le risorse sottratte al consumo.
•
Tasso sociale di sconto: in una prospettiva alternativa a quella appena illustrata, la valutazione della spesa pubblica dovrebbe tener conto del tasso sociale di sconto, che sarebbe il valore che la società
attribuisce al consumo sacrificato per finanziare un dato progetto. Ma perché il valore attribuito dalla società al costo opportunità di un consumo corrente dovrebbe essere diverso dal costo opportunità espresso dai tassi di rendimento del mercato? Le ragioni sono molte e tutte portano a credere che il tasso sociale di sconto sia inferiore.
o Interesse per le generazioni future. È dovere di coloro che governano prestare attenzione al benessere non solo delle generazioni esistenti, ma anche a quello delle generazioni future.
Il settore privato, d’altra parte, è preoccupato solo del benessere della generazione attuale e devolve poche risorse al risparmio, attribuendo un tasso di sconto troppo alto ai rendimenti futuri.
o Paternalismo. Anche in una prospettiva di interesse strettamente personale, le persone non sempre riescono a essere tanto prudenti da valutare adeguatamente i benefici futuri e spesso li attualizzano a un tasso eccessivamente alto. Questo è il cosiddetto problema della “deficienza di facoltà telescopica” posto da Pigou. Lo Stato dovrebbe utilizzare il tasso di sconto che gli individui utilizzerebbero se fossero perfettamente consapevoli del loro
interesse. In questa prospettiva lo Stato dovrebbe forzare i cittadini a consumare meno nel presente affinché nel futuro abbiano più risorse. Come tutte le argomentazioni di tipo paternalistico, anche questa ripropone la questione di quali siano le circostanze che giustificano l’imposizione della volontà dello Stato su quella espressa dagli individui.
o Inefficienza del mercato. Quando un’azienda decide di investire genera conoscenza e know-how tecnologico da cui altre aziende potranno trarre beneficio: l’investimento crea esternalità positive. Lo Stato, però, applicando un tasso di sconto più basso di quello corrente, può correggere questa inefficienza aumentando il livello degli investimenti.
Nessuna delle argomentazioni contrarie all’utilizzo dei tassi di mercato fornisce però indicazioni specifiche circa la scelta di un tasso di sconto per il settore pubblico. Una soluzione praticabile è quella di calcolare il valore attuale di un progetto rispetto a una serie di tassi di sconto e vedere se
rimane positivo per tutti i valori ammissibili di i o meno; se il valore attuale è sempre positivo, è probabile che la conclusione non sia sensibile al tasso di sconto utilizzato.