Decisioni di breve periodo Flashcards
(15 cards)
Cosa sono le decisioni di breve periodo e quali sono le loro caratteristiche principali?
Le decisioni di breve periodo sono scelte di pianificazione operativa, che servono per tradurre indicazioni strategiche o di lungo termine in azioni e indicazioni pratiche di breve periodo [1]. Solitamente, non sono decisioni routinarie [2]. Le loro caratteristiche includono:
* Hanno effetti limitati nel tempo, ad esempio relativi al singolo esercizio [2].
* Sono prese con risorse strutturali fissate, il che significa che la dotazione esistente di impianti, macchinari e strutture è considerata costante [2].
* Non mutano la struttura organizzativa e produttiva dell’impresa [2].
* Non influenzano la strategia dell’impresa [2].
* Hanno limitato impatto economico-finanziario (in termini relativi) [2].
* Non comportano investimenti in capitale fisico, quindi eventuali investimenti smobilizzabili sono considerati solo nel lungo periodo [3].
* Sono anche definite “decisioni tattiche” per contrapporle alle decisioni strategiche, di livello e “portata” superiore [3].
* Richiedono autorizzazione da parte dei manager di divisione (non del ‘top management’) e nella loro presa è importante la rapidità, applicando criteri decisionali semplici come il fissare un limite massimo di spesa nel budget e considerare costi e ricavi [4, 5].
Quali sono le principali categorie di costi considerate nell’analisi per le decisioni di breve periodo?
Un modello di costo molto semplice, ma altrettanto utile ed efficace, prevede la distinzione fra due categorie di costi di produzione [5]:
* Costi Fissi (CF): Sono costi che non dipendono dal volume di output prodotto. Generalmente, i CF non variano al variare della quantità (Q) prodotta [5, 6].
* Costi Variabili (CV): Sono costi che dipendono direttamente dalla quantità prodotta (Q) [5]. Per semplicità, si ipotizza che il costo variabile unitario (CVu) sia costante, quindi il Costo Variabile totale è dato da 𝐶𝑉 = 𝐶𝑉𝑢 ∙ 𝑄 [5, 6].
La funzione di Costo Totale (CT) è definita come la somma dei Costi Fissi e dei Costi Variabili: 𝐶𝑇 = 𝐶𝐹 + 𝐶𝑉 = 𝐶𝐹 + 𝐶𝑉𝑢 ∙ 𝑄 [6]. Questa funzione descrive l’andamento (lineare) dei costi al variare della quantità prodotta, fornendo una buona approssimazione del comportamento dei costi, ma solo in un certo intervallo di volume, detto “intervallo di rilevanza” [6, 7].
Spiega il concetto di “Intervallo di Rilevanza” (Relevant Range) nell’analisi dei costi.
L’Intervallo di Rilevanza (relevant range) è l’intervallo di attività o di volume produttivo all’interno del quale si suppone valida una specifica relazione tra volume e costo [7]. Spesso questo intervallo coincide con la capacità produttiva esistente dell’impresa [7]. Ad esempio, se un’impresa che produce automobili con gli impianti esistenti riesce a produrre fino a 15.000 unità annuali e i costi fissi complessivi sono pari a 1 milione di euro, l’intervallo di rilevanza va da 0 a 15.000 auto prodotte [7]. Se l’impresa volesse produrre oltre 15.000 unità, dovrebbe acquisire altri impianti (e quindi sostenere altri costi fissi), uscendo così dall’intervallo di rilevanza attuale [7].
Quali sono le ipotesi semplificatrici utilizzate nell’analisi dei costi e ricavi per le decisioni di breve periodo?
Nelle analisi per le decisioni di breve periodo, si adottano diverse ipotesi semplificatrici per rendere i modelli più gestibili [8]:
* Le risorse d’impresa si considerano ‘date’ [8].
* Ipotesi sui costi:
* Si assumono rendimenti (di scala) costanti, il che implica che non si considerano le economie di scala (aumento di costi meno che proporzionale rispetto alla quantità) [8].
* Gli acquisti coincidono con gli esborsi di denaro, implicando che non sorgono debiti [8].
* Ipotesi sui ricavi:
* I ricavi sono realizzati immediatamente, il che significa che non sorgono crediti [8].
* Non vi sono scorte invendute [8].
* Ipotesi sul prezzo:
* Il prezzo è considerato costante rispetto al volume di vendita [9].
Elenca le principali tipologie di decisioni di breve periodo.
Le principali tipologie di decisioni di breve periodo, che rientrano nel contesto della pianificazione della produzione e sono importanti nell’ingegneria industriale, sono [1, 3, 9]:
1. Scelte di ‘Make or Buy’: Riguardano la decisione se produrre un determinato input, componente o prodotto all’interno dell’impresa (MAKE) o acquistarlo sul mercato (BUY) [9].
2. Analisi di Break-Even: Permette di individuare il punto di pareggio, ovvero il livello produttivo che assicura la copertura dei costi o il raggiungimento di un profitto obiettivo [9, 10].
3. Scelta del Mix Produttivo: Consiste nell’ottimizzare quale prodotto sia più opportuno realizzare e quanto conviene produrre di ciascuno dei prodotti dell’azienda, qualora esistano vincoli [9, 11].
Cosa si intende per decisione “Make or Buy” e quali sono i passaggi fondamentali per valutarla?
Le decisioni di ‘Make or Buy’ (produrre o acquistare) ineriscono la scelta tra il produrre un determinato input, componente o prodotto all’interno dell’impresa (MAKE) e l’acquistare lo stesso sul mercato da un fornitore esterno (BUY) [9]. Questo rappresenta un esempio lampante di esternalizzazione o internalizzazione [12]. Gli step fondamentali per la valutazione di una decisione Make or Buy sono [12]:
1. Identificare le alternative di Make e Buy [12].
2. Adottare una delle due alternative come caso base [12].
3. Calcolare i costi e i ricavi differenziali rispetto al caso base [12]. Ciò significa considerare solo i costi e i ricavi che variano tra le due opzioni, ignorando quelli che sarebbero sostenuti in ogni caso (ad esempio, ammortamento di impianti o stipendi di dipendenti ‘insaturi’ che sarebbero pagati comunque) [13].
4. Preferire l’alternativa che crea il maggior valore economico [12].
Quali sono i limiti delle scelte di “Make or Buy” così come presentate in un’analisi puramente quantitativa?
Le scelte di ‘Make or Buy’, così come sono state presentate in un’analisi puramente quantitativa, hanno evidenti limiti in quanto prescindono da considerazioni di tipo qualitativo e da altri fattori strategici [13]:
* Qualità del lavoro del fornitore: Non si considera il livello di qualità che un fornitore esterno può garantire [14].
* Affidabilità del fornitore: Aspetti come la puntualità delle consegne non vengono valutati [14].
* Eventuale stagionalità del fabbisogno di componenti: La variabilità della domanda può influenzare la convenienza della scelta [14].
* Livello di riservatezza delle conoscenze: La protezione di conoscenze necessarie per produrre un componente, specialmente quelle proprietarie, è un fattore critico non considerato [14].
* Non tengono conto dei costi di transazione: Ovvero, i costi di organizzazione e gestione degli scambi con fornitori esterni (es. ricerca, negoziazione, monitoraggio) [14].
* Non considerano l’opzione di collaborazione: Potrebbero esistere soluzioni intermedie tra il fare e l’acquistare [14].
* Inoltre, possono esistere anche costi-opportunità da considerare [14]. Esistono anche scelte di make or buy di lungo periodo (es. acquisire uno dei propri fornitori), i cui criteri decisionali sono più complessi e rientrano nella valutazione degli investimenti [10, 14].
Cosa permette di individuare l’analisi di Break-Even e quali sono i due obiettivi principali che un’impresa può porsi con essa?
L’analisi di Break-Even permette di individuare il punto di pareggio, o Break-Even Point (BE) [10]. Questo punto rappresenta quel livello (o mix) produttivo che assicura all’impresa il raggiungimento di specifici obiettivi [10]:
* Caso A: La copertura dei costi di produzione. L’obiettivo è determinare il minimo volume operativo (𝑄𝐵𝐸) che consente il pareggio tra ricavi e costi totali, cioè dove il margine operativo netto (MON) è pari a zero: 𝑅𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖_𝑇𝑜𝑡 − 𝐶𝑜𝑠𝑡𝑖_𝑇𝑜𝑡 = 𝑀𝑂𝑁 = 0 [10, 15].
* Caso B: L’ottenimento di un certo livello di profitto obiettivo (redditività target). In questo caso, l’obiettivo è raggiungere un volume di produzione (𝑄_𝑇𝑎𝑟𝑔𝑒𝑡) che genera un margine operativo netto superiore a zero e pari al livello desiderato: 𝑅𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖_𝑇𝑜𝑡 − 𝐶𝑜𝑠𝑡𝑖_𝑇𝑜𝑡 = 𝑀𝑂𝑁_𝑇𝑎𝑟𝑔𝑒𝑡 > 0 [10, 15].
Generalmente, l’obiettivo dell’impresa è quello di raggiungere un volume produttivo (e quindi di vendite) superiore al BE, poiché al di sopra di questo punto l’impresa può assicurare un margine operativo positivo (Caso A) o superiore alle aspettative (Caso B) [10, 15].
Definisci il “Margine di Contribuzione” (m) e la sua importanza nel calcolo del Break-Even Point.
Il Margine di Contribuzione (m) è definito come la differenza tra il prezzo di vendita unitario (p) e il costo variabile unitario (CVu): 𝑚 = 𝑝 − 𝐶𝑉𝑢 [16]. Esso rappresenta il contributo ‘al margine’ realizzato dalla vendita di un’unità aggiuntiva di prodotto [16]. In altre parole, è la quota di ricavo di ciascuna unità venduta che contribuisce alla copertura dei costi fissi e alla generazione del profitto [16].
La sua importanza nel calcolo del Break-Even Point (QBE) per imprese monoprodotto è fondamentale. Per raggiungere il pareggio (margine operativo ∏ = 0), i ricavi devono coprire tutti i costi. Partendo da ∏ = (𝑝 − 𝐶𝑉𝑢) ∙ 𝑄 − 𝐶𝐹, e sostituendo m, si ottiene 𝑚 ∙ 𝑄𝐵𝐸 − 𝐶𝐹 = 0 [16, 17]. Risolvendo per QBE, si deriva la formula: 𝑄𝐵𝐸 = 𝐶𝐹 / 𝑚 [16]. Questo dimostra che il margine di contribuzione unitario è il “denominatore” che permette di capire quante unità devono essere vendute per coprire i costi fissi [16].
Come si calcola la Quantità di Break-Even (QBE) per un’impresa monoprodotto, sia per coprire i costi che per raggiungere un profitto target?
Per un’impresa monoprodotto, dove i Ricavi totali (𝑅𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖_𝑇𝑜𝑡) sono 𝑝 ∙ 𝑄 e i Costi totali (𝐶𝑜𝑠𝑡𝑖_𝑇𝑜𝑡) sono 𝐶𝐹 + 𝐶𝑉𝑢 ∙ 𝑄 [17]:
* Per coprire i costi di produzione (Caso A - Pareggio): L’obiettivo è che il Margine Operativo (∏) sia uguale a zero [15]. Utilizzando la definizione di Margine di Contribuzione (𝑚 = 𝑝 − 𝐶𝑉𝑢), la formula per il pareggio è ∏ = 𝑚 ∙ 𝑄𝐵𝐸 − 𝐶𝐹 = 0 [16]. Risolvendo per 𝑄𝐵𝐸, si ottiene:
* 𝑄𝐵𝐸 = 𝐶𝐹 / 𝑚 [16].
* Esempio: Se 𝐶𝐹 = 20.000 € e 𝑚 = 50 €/pezzo, 𝑄𝐵𝐸 = 20.000 / 50 = 400 pezzi [18].
* Per ottenere un livello prefissato di margine operativo o profitto target (Caso B - Redditività Target): Si generalizza la formula precedente includendo il profitto target (∏_𝑇𝑎𝑟𝑔𝑒𝑡) nell’ammontare che deve essere coperto dal margine di contribuzione [15, 19]. La formula diventa:
* 𝑄_𝑇𝑎𝑟𝑔𝑒𝑡 = (𝐶𝐹 + ∏_𝑇𝑎𝑟𝑔𝑒𝑡) / 𝑚 [19].
* Esempio: Se 𝐶𝐹 = 20.000 €, ∏_𝑇𝑎𝑟𝑔𝑒𝑡 = 30.000 € e 𝑚 = 50 €/pezzo, 𝑄_𝑇𝑎𝑟𝑔𝑒𝑡 = (20.000 + 30.000) / 50 = 1.000 pezzi [18].
Spiega il concetto di “Margine di Sicurezza” e la sua rilevanza per un’impresa.
Il Margine di Sicurezza è un indicatore che consente all’impresa di valutare il proprio rischio operativo [20]. Esso misura quanto è possibile ridurre la produzione rispetto alla capacità produttiva massima (𝑄_𝑚𝑎𝑥) prima di entrare in perdita, ovvero prima che il volume di vendite scenda al di sotto del punto di break-even (𝑄𝐵𝐸) [20]. Viene calcolato come:
* Margine di Sicurezza = (𝑄_𝑚𝑎𝑥 − 𝑄𝐵𝐸) / 𝑄_𝑚𝑎𝑥 [20].
Questo parametro è rilevante perché indica la “distanza” tra il volume di produzione massimo che l’impresa può sostenere e il volume minimo necessario per coprire i costi [20]. Se il 𝑄𝐵𝐸 è molto vicino a 𝑄_𝑚𝑎𝑥, ogni fluttuazione che riduce i volumi di produzione conduce rapidamente a perdite per l’impresa, indicando una bassa resilienza [20]. Un margine di sicurezza elevato, al contrario, denota una maggiore robustezza dell’impresa alle variazioni negative del mercato.
Cosa indica il “Grado di Leva Operativa” (DOL) e come influisce l’incidenza dei costi fissi su di esso?
Il Grado di Leva Operativa (DOL) è un parametro che cattura l’elasticità del margine operativo (∏) rispetto alla quantità prodotta (Q), ovvero la sua sensibilità alla variazione delle vendite [21]. Indica di quanto aumenta percentualmente il margine operativo ∏ all’aumentare di un punto percentuale di Q [21]. La formula del DOL, basata sulle ipotesi standard, è [21]:
* 𝐷𝑂𝐿 = 1 / (1 − 𝐶𝐹 / (𝑚𝑄))
L’incidenza dei costi fissi (CF) ha un effetto significativo sul DOL [21, 22]:
* Se 𝐶𝐹 = 0: Allora 𝐷𝑂𝐿 = 1 [21]. Questo significa che un aumento delle vendite (o produzione) del 15% corrisponderà esattamente a un incremento lineare del 15% del margine operativo. La redditività cresce proporzionalmente alle vendite [21].
* Se 𝐶𝐹 > 0: In generale, 𝐷𝑂𝐿 > 1 se la quantità prodotta (Q) è superiore alla quantità di Break-Even (QBE) [22]. Al crescere dei costi fissi, il DOL cresce, generando un “effetto leva” [22]. Questo porta a incrementi maggiori del margine in periodi di vendite elevate, ma anche a maggiori problemi e amplificazione delle perdite in momenti di congiuntura sfavorevole e contrazione delle vendite [22]. Un’impresa con bassa incidenza dei costi fissi avrà risultati più stabili, ma meno variabili (sia in bene che in male) [22].
Come si calcola il Break-Even Point per un’impresa multiprodotto?
Per un’impresa multiprodotto, che ha a catalogo un mix di N prodotti diversi, il calcolo del Break-Even Point (BE) richiede un approccio specifico [23]. È necessario definire il mix di produzione, ovvero la quota (𝑥𝑖) di produzione da allocare a ciascun prodotto i-esimo, data da 𝑥𝑖 = 𝑄𝑖 / 𝑄_𝑇𝑜𝑡 [23]. Successivamente, si deve calcolare il “margine di contribuzione medio ponderato” (𝑚̅), che considera il margine di contribuzione specifico (𝑚𝑖) di ciascun prodotto ponderato per la sua quota nel mix [23]:
* 𝑚̅ = Σ (𝑚𝑖 ∙ 𝑥𝑖) (sommatoria per i da 1 a N) [23].
A questo punto, il punto di break-even totale (𝑄𝐵𝐸_𝑇𝑜𝑡) si calcola utilizzando il margine di contribuzione medio ponderato, in modo analogo al caso monoprodotto [24]:
* 𝑄𝐵𝐸_𝑇𝑜𝑡 = 𝐶𝐹 / 𝑚̅ [24].
Infine, per ottenere la quantità di break-even per ciascun prodotto specifico (𝑄𝐵𝐸𝑖), si redistribuisce la quantità di break-even totale in base al mix di produzione [24]:
* 𝑄𝐵𝐸𝑖 = 𝑄𝐵𝐸_𝑇𝑜𝑡 ∙ 𝑥𝑖 [24].
È importante notare che, in un mix multiprodotto, un singolo prodotto potrebbe anche avere un margine di contribuzione negativo (es. 𝑚𝑍 < 0 nell’esempio), che l’impresa potrebbe tollerare per ragioni strategiche o di marketing, come la volontà di fornire al cliente una gamma di prodotti completa [25, 26].
Qual è l’obiettivo nell’ottimizzazione del “Mix Produttivo” per un’impresa multiprodotto e quali tipi di vincoli possono influenzare questa scelta?
In caso di impresa multiprodotto, l’obiettivo dell’ingegnere gestionale è cercare di capire come ottimizzare il mix produttivo, ovvero quale prodotto è più opportuno realizzare e quanto conviene produrre di ciascuno dei prodotti dell’azienda [11]. L’ottimizzazione del mix produttivo è cruciale quando esistono diversi tipi di vincoli che limitano le scelte dell’impresa [11]:
* Vincoli relativi al consumo di risorse: Questi includono limitazioni sulla disponibilità di input come ore di lavoro, macchinari o materia prima [27].
* Vincoli relativi alle politiche aziendali: Possono essere imposti dall’impresa stessa, come la volontà di non superare una certa quota di unità prodotte (es. per prodotti di lusso o per vincoli tecnologici), o la necessità di offrire comunque una gamma variegata di prodotti, anche a costo di margini inferiori per alcuni di essi, o di rispettare vincoli di produzione minima [27-29].
* Vincoli di mercato: Riguardano le limitazioni imposte dal mercato, ad esempio la saturazione del mercato oltre una certa quota di unità prodotte o la necessità di rispondere alla competizione con i concorrenti [27, 28].
In assenza di vincoli, si produce il prodotto con il margine di contribuzione maggiore [27]. Tuttavia, in presenza di vincoli, si deve risolvere un problema di ottimizzazione vincolata, che non per forza favorisce il prodotto con il margine più alto, poiché la scelta dipende dalla quota di utilizzo della risorsa scarsa o dal rispetto delle politiche/limiti di mercato [28, 30].
In presenza di vincoli di risorse limitate, quale criterio si adotta per massimizzare il profitto nel “Mix Produttivo” e cosa rappresenta il “prezzo ombra” di una risorsa scarsa?
In presenza di risorse in input limitate (risorse scarse), per massimizzare il profitto, si adotta il criterio di massimizzare il margine di contribuzione per risorsa scarsa (𝑚∗) [30, 31]. Questo valore si calcola dividendo il margine di contribuzione unitario (𝑚𝑖) del prodotto per il coefficiente tecnico di assorbimento della risorsa scarsa (𝛼𝑖), che rappresenta il consumo standard della risorsa considerata per la produzione di un’unità di output finito del prodotto i-esimo [31]:
* 𝑚𝑖* = 𝑚𝑖 / 𝛼𝑖 [31].
L’intuizione è che si andrà a privilegiare il prodotto che offre il margine di contribuzione per unità di risorsa scarsa più elevato, poiché un’unità aggiuntiva di quella risorsa genererà più margine con quel prodotto [31, 32].
Il “prezzo ombra” (shadow price) della risorsa scarsa è un concetto correlato e rappresenta quanto un’impresa sarebbe disposta a pagare in più per ‘acquisire’ nuove unità di tale risorsa nel breve periodo (es. salario orario per lavoro straordinario, terzisti) [33]. Nei problemi di massimizzazione vincolata, il prezzo ombra della risorsa è pari al margine di contribuzione per risorsa scarsa (𝑚) del prodotto più remunerativo che si può produrre con quell’unità di risorsa aggiuntiva [33, 34]. Ad esempio, se il 𝑚𝑋 più alto è 6 €/ora e il salario attuale è 12 €/ora, l’impresa sarebbe disposta a pagare fino a 18 €/ora (12€ + 6€) per lavoro straordinario, poiché ogni ora aggiuntiva dedicata al prodotto X genera un margine positivo di 6 € [34, 35]. Questo valore indica proprio il profitto addizionale che si otterrebbe con un’unità in più della risorsa scarsa [34].