catetere venoso centrale Flashcards

1
Q

La gestione dell’accesso vascolare, il catetere temporaneo e il catetere a permanenza.

A

Quando parliamo di accesso vascolare bisogna considerare il fatto che ci sono pazienti con un accesso vascolare periferico oppure un accesso per dialisi o un accesso per terapie particolari come quelle neoplastiche, che non hanno più un albero vascolare e c’è quindi il problema dell’accesso a cui si può ovviare tramite dei dispositivi come per esempio il port-a-cath che è una struttura in titanio che viene posizionata sotto la cute e permette con una siringa di fare le terapie neoplastiche con accesso continuo. Il costo di un accesso vascolare con infezione è di 26,000 $ e il tasso di mortalità è del 25%. In molti casi i pazienti dializzati che hanno un accesso vascolare come ad esempio un tesio permanente, subiranno molti ricoveri ripetuti con alto rischio di mortalità, con costi alti dal punto di vista sanitario e con questioni medico legali importanti a causa delle possibili complicanze dal punto di vista del medico. I problemi dell’accesso vascolare possono essere a breve termine (nel momento stesso in cui si mette un accesso) oppure a lungo termine (da 6 mesi ad 1 anno dopo). Un altro tipo di accesso vascolare è il picc (peripherally inserted central catheter) un dispositivo che somiglia ad un ago cannula che però ha un’inserzione molto più lunga che arriva a livello della vena cava superiore. Ha delle funzioni molto simili ad un catetere venoso centrale: consiste in una somministrazione di sostanze che avviene a livello di una grossa vena centrale attraverso una vena superficiale di braccio o avambraccio, infatti per definizione è un catetere venoso centrale ad inserzione periferica. Solitamente è di competenza infermieristica ed è eco guidato.oi abbiamo un patrimonio venoso che da periferico diventa di tipo centrale, quindi dalle vene più periferiche si arriva poi alla vena succlavia, alla giugulare interna etc. Il problema si presenta quando queste vene vengono utilizzate più volte per qualsiasi tipo di terapia ed è come se si “brucino” a forza di utilizzarle e non saranno quindi più disponibili per terapie successive. Le terapie che danno più problemi alle vene periferiche e che non le rendono più accessibili sono innanzitutto la chemioterapia, poi la terapia con il potassio che infatti andrebbe fatta attraverso una vena centrale, poi la nutrizione parenterale che sono delle soluzioni ipertoniche le quali necessitano di una vena centrale per evitare di esaurire l’albero periferico venoso del paziente. Per evitare le complicanze si usano le linee guida dell’APIC:
Il problema principale di quando si utilizzano le vene è l’infezione che più è distale più parleremo di un’infezione banale come il braccio gonfio etc, quando invece andiamo sul centrale si parla di cose più serie come l’endocardite che significa 30% di mortalità con 3 mesi di ricovero per la terapia. Le linee guida dicono di evitare in emergenza l’accesso centrale, poiché è un procedimento che deve essere programmato sia che si tratti di dialisi sia che si tratti di un port-a-cath poiché deve essere scelta la miglior vena da utilizzare per un certo tipo di trattamento. Inoltre l’operatore (medico o infermiere) deve essere preparato e deve avere una solida esperienza con annessa manualità. Per quanto riguarda nello specifico l’accesso tramite vena femorale, questa è una delle zone più contaminate a causa della sua posizione vicino all’escrezione di urina e feci e quindi facilmente infettabile dai germi. Tra nefrologi e rianimatori c’è una sorta di diatriba tra single-lume e multi-lume: nel reparto di rianimazione il paziente ha vari cateteri (multi lume), per esempio in giugulare, in arteria, in femorale etc con in media 4-5 siti di accesso poiché c’è il problema della distribuzione di determinati farmaci che non possono andare in circolo insieme, ma devono avere delle vie separate. Il problema del multi-lume è che ogni zona di inserzione in più rappresenta un sito in più di possibile infezione. Il catetere meno lo si usa, meno lo si tiene e meno lo si cambia e meglio è, quindi bisogna fare una medicazione corretta e fare qualsiasi cosa possibile che possa precludere un’infezione del sito di inserzione. L’infezione di qualsiasi batterio che passa attraverso un punto nella cute dove è stato inserito il catetere può andare a livello centrale

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Q

Dove si mette un catetere venoso centrale

A

l punto di inserzione ideale è la giugulare che è in una posizione ben accessibile rispetto alla succlavia poiché c’è meno rischio di pneumotorace e anche rispetto alla femorale si trova in un’area esposta a meno rischi di infezione ed è inoltre più visibile con le indagini strumentali. Anni fa si preferiva la succlavia perché si conosceva meglio e non esisteva l’ecografo, ma oggi si pensa sia molto più rischioso come accesso perché appunto si può arrecare più danno al paziente. I limiti della succlavia sono i problemi medico legali a cui va incontro il medico in caso di danno al paziente perché appunto si dovrebbe preferire la giugulare poi dal punto di vista dell’anatomia per cateteri più grandi accedendo dalla succlavia ci sono più possibilità di problematiche acute o croniche. Nel 50% dei casi la principale problematica di tipo cronico è la stenosi della vena (succlavia) che oltre a causare problemi nel ritorno venoso, non funzionerà mai una fistola e quindi ciò porterebbe a dover usare il Tesio che è meno indicato. Per quanto riguarda la vena iliaca (e quindi la vena femorale) è indicata per un emogas e soprattutto in emergenza poiché è facilmente accessibile ed è difficile sbagliare, inoltre non necessita di ecografo. In nefrologia per una dialisi con ecografo, la via preferita per mettere un Tesio è la vena giugulare interna destra. Con l’ecografo questa vena si vede molto bene poi è una via dritta cioè quando il catetere viene inserito esso scende nella vena e va direttamente a livello della giunzione atrio ventricolare quindi si vede esattamente la punta del catetere, gli errori sono minimi e non si va incontro a problemi di stenosi. Nella dialisi non esiste un accesso preferito ma si va “ad esaurimento” perché ci sono casi in cui il paziente non ha più possibilità di accesso vascolare e questo significa che il medico deve essere capace di utilizzare qualsiasi vena dell’organismo. Il rapid vein assessment è un protocollo semplice ecografico: bisogna avere la manualità del punto di vista ecografico per vedere qual è l’albero venoso del paziente e scegliere l’accesso migliore per quel paziente stesso e non è così semplice. Per quanto riguarda l’accesso dalla vena giugulare interna è mandatorio l’esame ecografico perché la variabilità è enorme cioè non ci si può fidare dei punti standard ma ci vuole l’ecografo per evitare grossi danni al paziente poiché ci sono variazioni della tiroidea superiore, della tiroidea inferiore, linfonodi etc.
Ovviamente tramite ecografo e la succlavia si può pungere da sopra.
Per la succlavia esistono vari tipi di punture come quella retro rispetto al muscolo e cioè invece di entrare nel triangolo, si accede dietro lo sternocleidomastoideo.
Sempre riguardo la succlavia: si fa una puntura manuale, seguendo i punti di repere, si va sotto la clavicola e si punge. La possibilità di pungere l’arteria è del 10-20% ed è una puntura eco guidata. Si può pungere anche nel “confine” tra vena ascellare e vena succlavia sempre tramite ecografo.
Per quanto riguarda la vena femorale bisogna sottolineare la sua posizione anatomica posteriore rispetto all’arteria femorale e in emergenza è difficile sbagliare. Basta sentire l’arteria proprio manualmente, spostarla e sotto si trova la vena, seguendo dapprima i punti di repere.

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Q

criteri da utilizzare per scegliere cateteri

A

I criteri da utilizzare quando si sceglie una vena dipendono innanzitutto dal tipo di infusione che si deve fare poiché se è un’infusione normale, l’infermiere prende una vena cefalica e non sorge nessun problema in particolare. Quando si parla invece di un’infusione più complicata come ad esempio la chemioterapia è preferibile la succlavia con un port-a-cath perché è facile mettere il port sotto la clavicola e quindi la vena è facilmente raggiungibile, si sceglie anche la giugulare. C’è un centimetro di cute e un ago apposito con una sorta di imbuto e questa operazione si può fare anche a domicilio perché l’ago è appunto guidato dall’imbuto e deve semplicemente aspirare dopo di che si possono fare le terapie. Altri criteri sono il calibro della vena e la profondità. Il calibro è importante perché se si devono fare delle terapie infusive non riveste grande importanza ma per la dialisi sì, poiché si devono scegliere vene centrali quindi giugulare interna, femorale e in alcuni casi succlavia. Per quanto riguarda la profondità, se si tratta di un paziente obeso, andare a prendere la femorale risulta difficoltoso, quindi sarà meglio optare per una giugulare perché in questo caso è più facile raggiungerla e controllarla. Un altro criterio è la compressione: mettiamo il caso che il medico sbagli con l’accesso in femorale e punga l’arteria oppure sbraghi la vena stessa, la gamba è un territorio facilmente comprimibile quindi si metterebbe una fascia compressiva così da arginare il problema, se invece l’errore si fa in giugulare il quadro si complica e se si fa in succlavia il paziente viene portato direttamente in sala operatoria andando incontro ad un intervento complicato perché si deve tagliare la clavicola, deve intervenire un chirurgo vascolare che deve suturare la vena, poiché non è una vena comprimibile. Un altro problema è la pleura, si possono causare pneumotoraci gravi. In conclusione bisogna stare attenti a cosa c’è in vicinanza della vena. L’eccezione della succlavia si fa in determinati tipi di pazienti per esempio anziani a cui bisogna infondere una nutrizione parenterale; in questo caso è più facile da maneggiare rispetto alla giugulare, inoltre è più facile da gestire per l’infermiere, non c’è il problema del collo che si gira a sinistra o a destra, il paziente si strappa la medicazione con meno facilità.
Per dialisi con accessi da tenere a lungo termine è mandatario un accesso o giugulare o femorale, invece per la nutrizione parenterale in un paziente neoplastico si preferisce la succlavia.
Il diametro di una giugulare interna va da 0,6 a 1 cm ma ci possono anche essere giugulari di 0,3-0,4 cm che non sono per niente facili da pungere poiché già l’ago di per se è di 0,3 cm. È molto importante da valutare anche la profondità della vena e la presenza di linfonodi che non dovrebbero essere toccati. Quando c’è un’emergenza di un paziente tachipnoico, la vena (soprattutto la giugulare interna) diventa dif

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4
Q

pro e contro

A

Riassumendo: l’utilizzo del PICC è per terapie a lunga durata, come terapie di tipo oncologico o terapie di tipi infusionale come nutrizione parenterale totale per via periferica. Sono dei cateteri solitamente installati tramite guida ecografica su una vena cefalica o sulla vena brachiale. I vantaggi sono che permettono l’infusione di sostanze ipertoniche perché vanno su una vena centrale e non ci sono problematiche di inserzione quindi causare complicanze con un pic è difficile. Può capitare di rompere una vena, ma essendo periferica rimane comunque l’altro albero. Il PORT viene messo da un chirurgo però il grande vantaggio è che è facilmente gestibile a domicilio. È una capsuletta in alluminio, in cui c’è una specie di imbuto con un ago che non è un vero e proprio ago ma è quasi capsulato che entra dentro questo imbuto e attraverso questo si può fare qualsiasi tipo di terapia. Provoca scarse infezioni e può essere trattato a domicilio. I CVC (catetere venoso centrale) vengono usati nelle dialisi e si classificano in acuto e non acuto. Nell’acuto si mettono delle spade che sono dei cateteri molto grossi che però teoricamente dovrebbero rimanere non più di qualche giorno o qualche settimana e sono indicati per il trattamento dialitico acuto (esempio: 30 di creatinina, 300 di urea). Il tunnellizzato è una situazione completamente diversa: ha sempre la stessa sede di accesso, ma si tratta di un paziente che o ha esaurito l’albero vascolare o è un paziente che doveva fare una dialisi e allora come prima opzione si sceglie sempre la fistola, ma se una volta fatta la fistola questa non funziona oppure si blocca, si fa un’altra fistola e se non funziona si fa il catetere di tipo tunnellizzato.
C’è differenza fra CVC normale e CVC tunnellizzato: nel tunnellizzato c’è un canale che andrà sotto la pelle. Quando ci si trova di fronte ad un’urgenza renale acuta, si mette un CVC solitamente in giugulare e la dializzazione deve essere fatta nell’immediato, mentre il tunnellizzato è un intervento programmato esattamente come il PORT. Sia il PORT (che ha un cilindrino sotto la cute) che il CVC tunnellizzato (con un tubicino sottocute) sono fatti così perché quel tratto che va sotto cute protegge dalle infezioni.
Stesso discorso vale per il PICC che entra a livello di una cefalica o di una brachiale e ha un tratto di circa 20-30 cm che non sono un’inserzione diretta alla vena centrale quindi è anche in questo caso una protezione dalle infezioni. Per un CVC urgente, senza possibilità di approccio ecografico si utilizza la femorale perché se dovesse succedere qualsiasi tipo di complicanza si riesce a tamponare l’errore, invece sempre in un CVC urgente se ci fosse la possibilità di un approccio ecografico si usa la giugulare interna (destra o sinistra). Per quanto riguarda un CVC non urgente quindi un tunnellizzato, per un paziente che ha esaurito l’albero vascolare, si preferisce la giugulare interna sinistra come primo approccio per poi passare alla giugulare interna destra perché dopo sei mesi o un anno quella giugulare non è più utilizzabile e quindi si usa prima l’approccio più difficile per arrivare poi al più facile.
Nell’albero vascolare, seconda cosa indispensabile è il carrellino dell’emergenza perché se mettendo un catetere il paziente va in arresto o ci sono altre complicanze bisogna avere a portata di mano un ambu e tutta la strumentazione necessaria. Terza cosa è l’ecografo parlando di giugulare interna in particolar modo, perché senza ecografo c’è il rischio di bucare la carotide interna ad esempio.
Quando il medico posiziona un CV centrale o periferico deve essere sicuro di avere un altro accesso venoso in più, una pressione e una frequenza perché possono succedere delle complicanze anche rare ma irrimediabili che possono portare il paziente a morte. L’accesso venoso in più, serve nel caso in cui serva iniettare atropina o adrenalina o cortisone e non può essere fatta a livello intracardiaco, ma bisogna appunto avere un accesso periferico. Quando si inserisce un CVC in succlavia o giugulare, si mette un filo guida dopo la puntura che è un filo lungo che va poi a finire a livello cardiaco, ma può succedere ci sia un’aritmia cardiaca improvvisa che può portare a morte il paziente perciò bisogna sempre monitorare il ritmo con il macchinario perché il medico può non accorgersi di questa aritmia. Il paziente deve essere quindi monitorato con ECG, pressione e accesso periferico. Anche per questi motivi la femorale è meno problematica perché appunto non c’è il filo guida collegato al cuore. Il paziente deve firmare un consenso informato per l’inserimento del CVC o periferico che ad oggi viene fatto o dal nefrologo o dal rianimatore, però dal punto di vista medico legale questo non è sufficiente, se il medico non è coperto da assicurazione può andare incontro a problemi di tipo legale.
Ci sono tre tipi di conoscenze che il medico deve possedere la prima è la competenza cioè sapere cosa fare (knowledge) e la conoscenza. Il secondo punto è lo skill cioè saper fare determinate cose, quindi non solo avere la conoscenza, ma anche l’esperienza pratica. La terza cosa è sapere quando farlo (judgement / attitude) cioè sapere quando fermarsi e per apprenderlo ci vogliono tanti anni. Quindi ci deve essere un’integrazione fra knowledge e skill.
Un altro punto fondamentale vale soprattutto in ambito chirurgico ed è l’ambiente sterile e poi mantenere la concentrazione senza distrarsi con altri discorsi soprattutto durante un intervento chirurgico (avoid unessential conversation). Bisogna poi controllare punto per punto di aver fatto tutti i passaggi (ceck list), per esempio in un accesso vascolare periferico monitorato bisogna ad esempio chiedersi se è stata controllata la coagulazione, se si ha l’ECG etc. Poi breathing and debriefing cioè un’analisi del problema prima e dopo cioè cosa si sarebbe potuto fare per far andare meglio le cose, non nel senso punitivo ovviamente, però in Italia non è molto utilizzato. Un altro punto fondamentale è la comunicazione che deve essere chiarezza e concisione cioè il problema è A, la portata B e la mancata soluzione è dovuta a C. Ci deve essere un codice per l’allarme per esempio rosso. Per essere bravi operatori ci deve essere esperienza, coraggio ma anche prudenza in dosi uguali, concentrazione e sapere quando fermarsi e possibilmente essere affiancati da un collega che possa dare una mano. Le spade sono diverse per ogni tipo di accesso. Per la femorale sono lunghe 20 cm perché deve superare il livello al di sopra della biforcazione delle iliache altrimenti se va nella biforcazione e basta non prende il sangue.
Il catetere della giugulare è curvo, di 16 cm.

I cuffiati (o tunnellizzati) hanno una parte di circa 5-10 cm che va nel sottocutaneo ed è proprio il tratto che preserva dall’infezione.

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Q

importanza lavaggio mani

A

Un punto fondamentale è il lavaggio delle mani prima della medicazione, chiaramente a meno che non si tratti di un’emergenza come un arresto cardiaco, ma in generale l’accesso della dialisi meno lo si tocca meglio è, bisogna avere molta esperienza perché è come un accesso diretto all’endocardio in poche parole. La profilassi inoltre è sempre sconsigliata, per fare una terapia antibiotica bisogna trovarsi di fronte a tanti antibiogrammi, PCR, febbre etc, insomma deve essere specifica in modo da non aumentare le resistenze ai batteri. Gli antibiogrammi possono essere fatti tramite tampone cutaneo nell’exite site, oppure dal catetere oppure con emocolture periferiche. La medicazione dell’exite site deve essere sempre fatta in maniera sterile con detersione, antisepsi etc. I CVC vanno spesso incontro ad infezione e quindi si procede alla rimozione del CVC con svariati mesi di terapia e con altissimo rischio di morte per il paziente. Si deve sempre detergere il punto che si vuol pungere, va sempre fatto uno spurgo (qualunque sia la via, la soluzione che c’è dentro va lavata in maniera tale da evitare di iniettare ciò che c’è dentro che non è sterile), dopo aver fatto il prelievo si rifà il lavaggio e l’eparinizzazione. Quest’ultima consente che quel catetere non si occluda e in ogni catetere è indicata la quantità di eparina da usare che può andare da 0,1 a 1 cc, 2, 2.5 cc. Inoltre con la fisiologica si fanno pressioni elevate di tipo pulsante in modo da non avere reflusso di sangue nel CVC. È importante anche la rimozione per esempio nelle vene del collo bisogna aumentare la pressione a livello toracico altrimenti penetra l’aria e si rischia l’embolia gassosa. Bisogna comprimere per qualche minuto.

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6
Q

ecografia renale

A

La sintomatologia, l’esame obiettivo in nefrologia risultano scarsamente utilizzabili, anche gli esami di base come ematuria e leucocituria sono estremamente poveri. L’esame obiettivo può essere utile in casi come il rene policistico o neoplasie molto importanti ma solo nel caso in cui il rene vada a ingrandirsi fino ad arrivare all’arcata costale, nella Sindrome di Alport l’unica alterazione che si può vedere è la microematuria. Ma anche in questi casi ci danno informazioni molto vaghe e non ci danno risposte univoche, perciò gli strumenti diagnostici più utili per le malattie nefrologiche sono la valutazione della clearance ripetuta nel tempo, indispensabile per diagnosticare un’insufficienza renale e distinguere tra una acuta e cronica e il grado della stessa, e l’ecografia. L’ecografia è estremamente importante e d’aiuto per la diagnosi in quanto ci permette di inquadrare subito il problema, restringere il campo delle ipotesi diagnostiche, orientare il trattamento e fornire elementi prognostici. In linee generali il rene normale ha un’ecogenicità inferiore al parenchima epatico, se risulta iperecogenico rispetto al fegato allora indica una malattia renale cronica.

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7
Q

casi clinici ecografia

A
Cisti renali, uno dei casi più frequenti e semplici. Il 50 % dei casi in età superiore ai 50 anni, possono essere di dimensioni notevoli e dilatarsi, generalmente sono monolaterali, ma anche nei casi di bilateralità restano comunque “semplici”. Le cisti renali semplici hanno contenuto anecogeno, ossia contenuto esclusivamente liquido, e non danno né sintomi né problemi. Ci si deve preoccupare quando hanno contenuto non anecogeno e quindi sono cisti complesse. Possono contenere materiale di diversa origine come materiale di tipo settico o pus, sangue o essere di tipo non definito che può far pensare a una neoplasia intracistica. 
Altro criterio di allarme sono ispessimenti della parete e la presenza di setti grossolani.
La sintomatologia è assente, nel 98% dei casi non da dolore, non da problemi sul deflusso delle urine, non da problemi vascolari il che gli permette di crescere anche fino a raggiungere dimensioni notevoli. In qualsiasi caso le cisti non devono essere drenate per evitare rischi di sepsi e emorragie, sarebbe in ogni caso inutile in quanto si riformano in breve tempo andando a riassumere le dimensioni originarie. Ovviamente esistono casi eccezionali.
Rene policistico (ADPKD/ARPKD), malattia genetica che esiste in variante dominante, recessiva e   x-linked causata da un’anomalità genetica che causa la formazione di svariate cisti a livello sia renale che epatico. Le cisti si possono formare in qualsiasi periodo della vita, da quella fetale all’età adulta. La diagnosi è di tipo genetico ed ecografico. È quindi consigliato fare uno screening a figli di persone affette. Esistono oggi farmaci come il Tolvaptan per poter intervenire per ritardare lo sviluppo della malattia.
Rene multicistico caratterizzato da presenza di più cisti renali ma l’eziologia non è genetica, sono assenti quindi le concomitanti cisti epatiche e non viene indicato screening familiare. Più diffusa nell’anziano, può essere legata a ipertensione non trattata, anche se non sono da escludersi fattori genetici. Di per sé non tende a evolvere in uremia. La diagnosi quindi è solamente ecografica si vedranno le cisti che però non causano il sovvertimento della struttura del rene. Nei pazienti in dialisi (ma non negli altri) è associato a un rischio maggiore di neoplasie renali, è perciò mandatorio in tali pazienti un follow up mediante ecografie con mezzo di contrasto o TC periodicamente.
Entrambe le patologie danno gli stessi segni e sintomi tra cui:
Sintomi da compressione causati dalla presenza di numerose cisti spesso di dimensioni notevoli fino a 20-30 centimetri a testa.
Emorragia interna causata dalla rottura delle cisti che può andare incontro a sepsi e quindi febbre.
Sepsi dovuta al ristagno dell’urina nella cisti, va trattata con ricovero ospedaliero con cicli di antibiotici.
Ematuria imponente causata dalla rottura di una cisti che può andare a causare anche coaguli.
Febbre e lombalgia.
Le malattie cistiche del rene (semplici, complesse, policistite, multicistite) anche se sintomatiche non vanno trattate. Gli unici casi in cui vanno trattate sono: ematurie non controllabili e rottura di più cisti, frequenti infezioni della cisti estremamente recidivanti non più controllabili dal punto di vista clinico, trapianto renale perché non c’è più lo spazio per mettere l’altro rene.
Angiomiolipoma, piccola massa iperecogena a margini netti, solitamente di dimensioni inferiori a 1cm e compresa nello spessore parenchimale. È una neoplasia benigna renale, generalmente non crea nessun problema e perciò non è necessario intervenire, si deve effettuare un controllo ecografico annuale. Si interviene solo se molto grande (>4cm) in quanto c’è il rischio di  rottura e quindi emorragia. In caso di angiomiolipomi multipli si sospetta la sclerosi tuberosa, una sindrome che può causare anche calcificazioni encefaliche (che vanno a causare ritardo mentale e convulsioni), amartomi retinici e chiazze cutanee.
Carcinoma renale, massa iperecogena può avere dimensioni di qualche centimetro ed è ben vascolarizzato, può presentare delle zone più o meno cistiche. È consigliabile intervenire al più presto per riuscire a salvare il resto del rene ed evitare che vada a invadere la capsula e che si formino metastasi. Il limite per la sopravvivenza è di 3cm, se è di 3cm o superiore significa che ha già invaso la capsula perirenale e che ci sono o compariranno secondarismi.
Pielonefriti acute, dal punto di vista obiettivo è di facile diagnosi in quanto il paziente presenta febbre settica, giordano positivo PCR alta, disuria, leucocitosi e neutrofilia, dolore lombare e anomalie urinarie. L’ecografia serve per riscontrare se il rene si presenta ingrandito a causa dell’edema e escludere la presenza di calcoli, di dilatazione delle cavità dei calici o lesioni ascessuali che vanno a essere estremamente gravi e pericolose per la vita.
Pielonefriti croniche, una delle cause di insufficienza renale cronica, successiva a numerose cisto pieliti non trattate o trattate male che lasciano quindi cicatrici, all’ecografia si vedono quindi le cicatrici e i segni delle passate infezioni acute. spesso associata a reflusso perché lo sfintere va a non funzionare più. Man mano che si formano le cicatrici la corticale va incontro a regressione. Può andare a degenerare in Malattia Renale Cronica terminale.
Malattia Renale Cronica, si ha riduzione del filtrato, diminuzione delle dimensioni dell’organo che si presenta agli ultimi stadi grinzo, corticale con spessore sempre minore e manca la differenziazione cortico-midollare, la corticale si presenta più scura all’ecografia in quanto costituita da materiale fibroso e soprattutto uno scarso afflusso di sangue.  Tipica anche la presenza di cisti multiple. 
Nefrolitiasi, dà problemi dal punto di vista infettivo, di insufficienza renale sia cronica che acuta. L’ecografia è l’esame diagnostico di elezione, anche per il monitoraggio periodico, in quanto permette di effettuare il 99% delle diagnosi, in alcuni casi particolari può essere necessaria la TC. I sintomi e i segni clinici sono molto palesi, si ha giordano positivo, febbre, talvolta difficoltà a urinare, dolore alla minzione. All’ecografia i calcoli risultano iperecogeni e sono quindi facili da individuare. Per i calcoli di dimensione compresa tra 1 e 5mm la sensibilità all’ecografia varia a seconda della sede del calcolo, spessore dei tessuti, frequenza della sonda e focalizzazione, invece non si hanno problemi a visualizzare i calcoli di 5mm o più grandi, per cui si ha una sensibilità alta. Finché restano fermi in sede i calcoli non danno problemi, anche se potrebbero degenerare in una MRC, quando invece si muovono andando nella pelvi o nell’uretere danno ostruzione e quindi una dilatazione delle vie escretrici che gli stanno a monte, di diverso grado a seconda della localizzazione, causando quindi dolore insieme al resto della sintomatologia. Il grado della gravità dipende da quanto il calcolo va a scendere e da quanto le vie a monte vanno a dilatarsi. Se la dilatazione è importante o il calcolo va a bloccare la pelvi, il parenchima del rene può arrivare a essere compresso. Arrivato alla vescica, se il calcolo si ferma allo sbocco dell’uretere può dare ureteroidronefrosi.
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8
Q

ecografia renale e ipertensione

A

Ecografia renale e ipertensione
Bisogna iniziare facendo una distinzione tra ipertensione essenziale e ipertensione secondaria.

Ipertensione secondaria: l’ipertensione nefrovascolare viene causata principalmente da due patologie: la displasia fibromuscolare dell’arteria renale e la stenosi dell’arteria renale. Dal punto di vista dell’ecografia non si vedono differenze morfologiche, l’arteria renale a prescindere dalla eziologia appare identica in quanto chiusa da diverso tempo, e ha fatto si che il rene diventasse “grinzo” cioè piccolo e senza differenziazione. La diagnosi ecografica è quindi parziale in quanto si sa solo che probabilmente è una patologia vascolare.
Ipertensione essenziale: si ha una pressione sistolica e diastolica aumentata. A livello renale tenderà quindi di far arrivare lo stesso volume di sangue il che causa vasocostrizione, quindi dal punto di vista ecografico noi possiamo andare a vedere gli indici di resistenza renale, cioè il rapporto tra flusso sistolico e flusso diastolico. Se troviamo indici di resistenza aumentati significa che c’è qualcosa (il maggiore flusso sanguigno) che va a spingere contro una resistenza (il glomerulo). Quindi se aumenta la pressione l’apparato iuxtaglomerulare risponde aumentando le resistenze e misuriamo delle diastoliche uguali o diminuite, e quindi gli indici di resistenza risulteranno superiori a 0.6/0.7 il che va a mostrare che è una patologia di natura vascolare. L’ecografia renale in caso di nuova diagnosi di ipertensione, o come follow up annuale, è fondamentale per fare diagnosi differenziale di ipertensione secondaria e valutare lo stato delle arterie renali e l’evoluzione della situazione.

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9
Q

ecografia renale, quando è necessaria

A

È necessario fare l’ecografia renale in caso di:
Trapiantati
Insufficienza renale di primo riscontro
Peggioramento improvviso di insufficienza renale cronica per capirne le cause che possono essere un’insufficienza renale acuta aggiuntiva alla patologia di base, aggravamento della malattia di base
Ematuria in assenza di altri sintomi che può far pensare a un carcinoma
Pielonefrite acuta per andare a vedere l’eventuale presenza di ascessi e la loro posizione, che siano a livello della pelvi, in zone particolari o addirittura peri renali, vanno a comportare un serio rischio alla vita del paziente che vanno trattati in tutta urgenza
Microematuria persistente che può far pensare alla sindrome di Alport, malattia genetica molto frequente in Sardegna, diagnosticabile principalmente con esame urine dove si vedranno gli schistociti (eritrociti passati a forza attraverso il glomerulo) senza altri sintomi.
Calcolosi
Coliche renali
Proteinuria
Sintomi intensi da uropatia ostruttiva
Oligoanuria improvvisa o progressiva per capirne le cause e valutare se l’afflusso di liquidi al rene è sufficiente al normale funzionamento dell’organo
Sospetta ipertensione secondaria

È inutile farla in caso di Malattia Renale Cronica in quanto il rene è ipotrofico e a seconda della gravità anche difficile da trovare.

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