appunti lezioni grammatica Flashcards

1
Q

l’alfabeto latino:

A

Ha origini dall’alfabeto greco, in particolare dall’alfabeto calcidico di Cuma, che diverrà poi latino attraverso la mediazione etrusca.
Possiede 21 lettere, poi divenute 23 (aggiunte la Y ([u] francese) e la Z nel 1° sec. a.C. per riprodurre suoni greci). La J e la V verranno introdotte solo successivamente.

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2
Q

le pronunce del latino (diacronia e sincronia)

A
  1. pronuncia classica: modo in cui parlava il ceto colto della città di Roma (urbanitas) durante il 1° sec. a.C. (latino di Cesare, Cicerone, del Senato)
  2. pronuncia scolastica: modo in cui si parlava nell’età tardoantica/cristiana (dal 2° sec. d.C. in poi) e che prosegue nel Medioevo e Rinascimento.
  • urbanitas: latino ‘puro’ delle città
  • rusticitas: latino dialettale delle campagne (latino meno colto)
  • peregrinitas: latino parlato nelle province (latino sempre più influenzato dalle lingue di sostrato)

Saranno gli umanisti i primi a indagare come parlassero i latini in età classica, e a voler riformare (con scarsi risultati) tale pronuncia.

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3
Q

quali sono i mezzi usati dagli studiosi per ricostruire la pronuncia classica:

A
  1. le testimonianze dirette dei grammatici antichi
  2. le testimonianza indirette degli antichi scrittori (ex. quando fanno giochi di parole o usano figure di suono come le onomatopee).
  3. la trascrizione di parole latine in greco e viceversa
  4. i termini latini passati in epoca antica in altre lingue, specie nel germanico
  5. i dati della fonetica comparata indoeuropea per il punto di partenza, e romanza per il punto di arrivo.
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4
Q

differenze fra le due:

A

DITTONGHI:
* classica: pronuncia come sono scritti con accento sul primo elemento (a/e) (Caesar&raquo_space; Càesar. Proelium&raquo_space; Pròelium).
Abbiamo prova che questa fosse la pronuncia poichè, data la campagna in Germania, il latino ha lasciato un’influenza forte&raquo_space; accento sul primo elemento (cfr. Cáesar > Kaiser;
l’allitterazione di Enn. sc. 292 caua caerula candent “la volta celeste rifulge”). Essa funziona poco se la proviamo a leggere il verso con la pronuncia scolastica.
* scolastica: pronuncia caratterizzata dalla ‘monottongazione’ (‘ae’&raquo_space; ‘e’). Il mediolatino eliminò i dittonghi anche graficamente; la restaurazione della grafia dittongata si deve agli umanisti.

LA ‘Y’:
Indica un suono estraneo al latino e fu aggiunto solo nel 1° sec. a.C. per trascrivere i nomi greci (che prima erano trascritto con la lettera ‘u’).
* classica: pronunciata come una ‘u francese’ (tyrannus=tiurannus), infatti inizialmente per trascrivere i sostantivi greci si usava la ‘u’ (ampitruo&raquo_space; /amphitryon/)
* scolastica: pronunciata come una ‘i’ (tyrannus=tirannus)

IL ‘SONUS MEDIUS’: (classica)
Quintiliano descrive l’esistenza nella pronuncia classica di una sorta di ‘suono intermedio’ (sonus medius) fra la ‘u’ e la ‘i. Troviamo infatti resa con un’oscillazione grafica fra ‘u’ e ‘i’ una vocale breve dinanza a una labiale in alcune coppie di parole come ‘lŭbet/lĭbet’ ‘optŭmus/optĭmus’ etc. Sulla reale pronuncia di questo fonema si hanno tutt’ora dei dubbi.
Man mano si andò semore più a utilizzare la pronuncia della lettera ‘i’.

‘U’ e ‘V’:
* classica: i latini non avevano il segno della ‘v’ e quindi probabilmente neanche il suono; distinguevano solo in vocali (ex. ‘unus’) e in semivocali (ex. ‘uiuo’), ma la pronuncia di ‘u’ e ‘v’ rimaneva la stessa. Questo è il motivo per cui fino al 1° sec. d.C. la ‘u’ semivocalica prima della ‘o’ impedì a questa di chiudersi in ‘u’, come era invece avvenuto in parole come ‘filios’ > ‘filius’, in cui non è presente la ‘u’ prima della ‘o’). &raquo_space; Valerius = ualerius.
* scolastica: u semivocale = v consonante (ex. Valerius = valerius).

L’ASPIRAZIONE:
* classica: la ‘h’:
-aspirazione iniziale: l’h è aspirata se iniziale (ex. ‘habeo’)
-aspirazione vocalica interna: viene introdotta l’aspirazione nella metà del 2° sec. a.C. in ‘ph’ ‘th’ ‘ch’ (‘philosophus’ ‘thesaurus’), inizialmente trascritte come ‘c’, ‘t’, ‘p’.
-aspirazione consonantica: la ‘h’ diventa muta se intervocalica (‘nihil’, attestato anche come ‘nil’) già in età preletteraria.
* scolastica: la ‘h’ è sempre muta e ‘ph’=’f’ (‘philosophus’&raquo_space; /filosofus/) (o è usata a sproposito)

IL NESSO ‘TI’:
* classica: si legge come scritto (gratia=/gratia/, otium=/otium/)&raquo_space; pronuncia non assibilata.
* scolastica: ti+vocale = /zi/ (gratia=/grazia/)&raquo_space; pronuncia assibilata.
eccezioni: si legge come scritto se è preceduto da ‘s’ ‘t’ ‘x’, oppure se la ‘i’ è lunga (il cambiamento di pronuncia è avvenuto poichè era successo che la ‘i’, divenuta da vocale (gra-ti-a) una semivocale in presenza di iato (gra-tia), aveva intaccato la ‘t’ precedente.

LE VELARI DAVANTI A VOCALE PALATALE (e/i):
* classica: c/g = suono duro (in italiano ch/gh)&raquo_space; gruppo ‘gn’ = pronunciati separatamente (g+n) (Cicero = [kikero]).
* 1. scolastica: ci/gi (palatalizzazione) &raquo_space; pronuncia ‘gn’ = /ɲ/

IL GRUPPO ‘QUU’:
* classica: in età classica esistevano due grafie e due rispettive pronunce di alcuni termini:
1. una popolare: ecus ([ecus])
2. una colta: ecuos ([ecuos])
* scolastica: fra 1° e 2° sec. d.C. nasce un compromesso fra le due forme&raquo_space; ‘equus’ (ma fu un compromesso solo grafico, poichè in realtà si pronunciavano come se ci fosse una sola ‘u’ [ecus]&raquo_space; la seconda u non ha valore vocalico ma è appendice labiale della velare (u)).

LA -S- INTERVOCALICA:
* classica: la ‘s’ è sempre sorda [s], anche se intervocalica&raquo_space; [ro’sa], non [ro’za].
Questo non perchè il latino non avesse la -s- intervocalica sonora [z], ma perchè questa già entro il 4° sec. a.C. si rotacizzò (passò a -r-) ; aurora < ausosa. Così restarono solo -s- intervocaliche sorde.
* scolastica: la -s- cominciò, in posizione intervocalica, a mutarsi in /z/ ([ro’za]).

IL GRUPPO ‘NS’:
* classica: è preletteraria la tendenza del latino a eliminare la ‘n’ davanti alla ‘s’, allungando per compenso la vocale precedente (ex. lupos < lupons < lupoms (desinenza accusativo + desinenza del plurale)).
Questa tendenza continua ad agire nella pronuncia classica anche in contrasto con la grafia (la n davanti alla s in sillabe radicali viene ridotta a una semplice appendice nasale della vocale precedente, che si allunga ex. spōnsa&raquo_space; /ˈspoˑⁿ.sa/).
* scolastica: ‘ns’ resiste alla tendenza e si pronuncia come si scrive.

In questo ultimo caso vi è straordinariamente una divergenza fra la pronuncia scolastica e quello che sarà poi l’esito romanzo:
-scolastica: ‘ns’ resiste alla tendenza e si pronuncia come si scrive.
-lingue romanze: le parole scritte originariamente in ‘ns’ tendono a essere ridotte a ‘s’ (Ex. in siciliano trasire (entrare) &laquo_space;transire).

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5
Q

altezza e intensità dell’accento:

A
  • intensità: forza con cui l’aria in emissione viene spinta dagli organi fonatori (sforzo muscolare)
  • altezza: come una nota può essere più o meno alta di un’altra.
    Da qui la distinzione in lingue con accento intensivo (lingue intensive) e lingue con accento di altezza/melodico.

Tuttavia, si è scoperto successivamente che non esiste un aumento d’intensità senza un aumento di altezza e viceversa. Il latino aveva un accento principalmente melodico.
Esso ha negli anni perso rilevanza rispetto all’intensità, motivo per cui le lingue romanze acquisatrono, e ancora oggi mantengono, un accento intensivo.

In epoca preletteraria, il latino aveva però probabilmente anch’esso natura intensiva.

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6
Q

durata e quantità vocalica: come determinare la quantità di una sillaba:

A
  1. durata: aspetto oggettivo (tutti i suoni hanno una durata)
  2. quantità: aspetto soggettivo che ha però in latino valore distintivo (
    La quantità di una vocale può essere lunga (ē) o breve (ĕ).

In latino non venivano però considerate le quantità dei singoli fonemi, ma solo la quantità complessiva dei fonemi dentro la sillaba.

  • Solo nel caso di sillaba aperta, dove l’unico valore quantitativo è costituito dalla vocale, la quantità della sillaba coincide con la quantità della vocale (in latino esistevano ‘sillabe brevi’ - ‘sillabe lunghe’&raquo_space; la sillaba aperta è breve se la vocale è breve, lungua se la vocale è lunga).

In una sillaba chiusa la quantità della sillaba è data dalla somma della quantità vocalica e della quantità della consonante di chiusura.

ex. nella sillaba ‘fac-‘ di ‘factos’ bisogna sommare lla quantità di ‘a’ la quantità di ‘c’ ; La ‘a’ è la stessa di facere, quindi è breve + la quantità della ‘c’, che non è rilevante; ci basta solo a dire che il valore di ‘c’ è sommato alla quantità breve di ‘a’, che quindi diventa lunga.

ex.2. se la vocale della sillaba chiusa è già lunga, la somma della consonante dopo non fa che ribadire la quantità lunga della vocale.

In conclusione:

  • Una sillaba chiusa è sempre lunga, a prescindere dalla quantità che essa contiene.
  • Un dittongo (=costituito da una vocale sillabica e una vocale asillabica) è assimilabile a una sillaba chiusa, quindi è sempre lungo.
  • Una sillaba aperta seguita da vocale è breve (vocalis ante vocalem brevis est). ex. ‘con-si-li-um’, ‘au-re-us’ eccezioni: confìo’, ‘illìus’.
  • Nei mutamenti vocalici dovuti all’apofonia latina:
    -la -i- è breve se subentra ad -a-, oppure ad -e-
    ex. còncido [cadere], sappiamo che la ‘i’ è breve poiché la parola deriva da con+cado [crollare a terra].
    -la -i- (come ogni altra vocale) è lunga se subentra ad un dittongo.
    ex. concìdo [fare a pezzi] da con+caedo [tagliare].
  • sono brevi-e- che diviene > -ie- italiano (cf. lèvis > lieve) e -o- che diviene > -uo- italiano (rémovet [da re+movet], ital. rimuove).
  • Parole latine con ‘i’ ‘u’ che in italiano hanno ‘e’ ‘o’ sono brevi (ex. ‘ìnuides, no inuidès, poichè in italiano è ‘invidi’).
  • Parole greche:
    1. il suffisso greo -ια in latino diventa -ĭα e rimane prsodicamente intatto quando si aggiunge a temi o radici consonantiche, ma spesso si agglutina a temi in -ε&raquo_space; formando il dittongo -ιε.
    Nel 1° caso il latino riproduce fedelmente la situazione prosodica dell’esemplare greco (Ex. històrĭa, philosòphĭa), nel 2° caso il latino evolve il dittongo ‘ei’ in ī (attraverso la fase ‘ē’, a volte arrestandosi a questa). (elegìa, Alexandrìa, panacéa).
  1. l’esistenza in latino dei due suffissi -ĭdes e -īdes è dovuta alle trasformazioni del suffisso greco -ιδης, che come -ια in certi casi si è unito a -ε ed in latino ciò ha portato a -ī
    (ex. -ιδης&raquo_space; Eurìpides (Euripīdes); -ειδης&raquo_space; Euclìdes (Euclīdes)).
  2. Al suffisso onomastico analogo greco il latino risponde con ‘-eus’ (monosillabico), mentre per intendere il suffisso aggettivale greco il latino usa ‘-eus’ (bisillabico = -é-us).
    ex. 1°=A’treus ; 2°=Aristoteléus.
  3. Temi in -ŏn; alcuni di essi esigono in latino, nei casi obliqui, l’accento di terzultima
    ex. ‘àlcyon, alcy’onis, alcy’one - dàemon, dàemonis.

Anche il suffisso -ĭnus&raquo_space; accenti di terzultima
ex. ‘crystàllinus, elephàntinus…

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7
Q

cos’è una sillaba?

A

La sillaba è la più piccola unità linguistica dotata di autonomia
Essa si compone di uno o più fonemi:
-un fonema di base (la vocale), senza di cui la sillaba non esiste.
-uno o più fonemi che possono aprire e/o chiudere la sillaba (consonanti).

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8
Q

divisione in sillabe latina:

A
    1. 2 consonanti consecutive: si dividono sempre (vir-tus , sum-mus), anche in italiano funziona così con qualche eccezione

eccezioni in italiano:
-Nei casi della ‘s impura’, i latino dividono magister&raquo_space; ‘ma-gis-ter’, e non ‘ma-gi-ster’ come faremmo in italiano.

-Nei casi di ‘sc’ e gn’ i latini dividono ‘dis-ce-re’ ‘mag-nus’.

  • caso delle consonanti composte [x, z]: dividere [exitus > ec-si-tus; gaza > gad-sa];
  • unica eccezione: muta cum liquida [momentanea (p,b,c,g,d,t) seguita da liquida (l,r,)]> normalmente le due consonanti formano un unico nesso (te-ne-brae; pa-trem) [ma non sempre!!!]
  • l’ “h” va sempre ignorata
  • ‘qu’ e ‘NASALE (n) +’gu’ fanno sillaba con la vocale che segue [a-qua; e-quus; an-guis] (per il resto, il gruppo gu va trattato normalmente: ar-gu-o; am-bi-gu-i-tas; ec-si-gu-i-tas).
  • ‘i/u’ +’ vocale’ non fanno dittongo, ma si dividono in 2 sillabe (pa-tri-a; am-bi-gu-i-tas).
  • ‘i/u’ + ‘semivocali’ sono da considerarsi come consonanti (iu-ven-tus) = unica sillaba.
  • la ‘i’ intervocalica è sempre consonantica ed era sempre pronunciata doppia, perciò andava divisa fra due sillabe (ex. ‘maius’&raquo_space; ‘mai-ius’).
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9
Q

sillabe aperte e chiuse

A

-aperte: sillabe che terminano in vocale
-chiuse: sillabe che terminano in consonante (poe-na; vin-co)

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10
Q

le leggi dell’accento:

A
  1. l’accento non risale oltre la terzultima (legge del trisillabismo)
  2. l’accento non cade sull’ultima (legge della baritonesi). L’unica eccezione è costituita dalle cosiddette ossitonie secondarie.
  3. Nelle parole composte da più 2 sillabe (legge della penultima)
    se la penultima sillaba è lunga, l’accento cade sulla penultima
    se la penultima sillaba è breve, l’accento cade sulla terzultima.
  4. l’accento cade solo sulla penultima o terzultima

Quindi per la legge della penultima si avrà: derí-dĕ-o; per-táe-sum; ho-nés-tus

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11
Q

casi particolari:

A
  • enclisi: le enclitiche sono parole che si appoggiano alla parola precedente non perchè siano in assoluto prive di accento ma perchè tendono a privarsene o per esiguità del corpo fonetico (in latino esistono solo enclitiche monosillabiche, ex. -que, -ne, -ve, -ce) o per funzione, generalmente accessoria, del valore semantico. Quando viene a formarsi un nesso fra parola ortotonica e parola enclitica, queste portano l’accento sulla sillaba che le precede (a prescindere dalla sua quantità.
    ex. ‘rosàque’, ‘armàque’
    Questa non è però un’eccezione alla legge della penultima, poichè essa è la legge dell’accento di parola; nel nesso encliticale una ‘penultima’ non esiste più.
  • epectasi: eccezione all’enclisi; in alcuni casi, l’enclitica si è unita alla parola precedente creando un nesso permanente, al punto che i parlanti non la distinguono più come enclitica. In questi casi, si applica normalmente la legge della penultima (ex. ùtinam, ìtaque).
  • il tipo ‘Valeri’: I nomi della cosiddetta 2° decl. che formano il tema col suffisso ‘-iŏ’ (filius - filios / imperium - imperio / Valerius - Valerio), nei vocativi presentano un’apparente difficoltà:
    sono di tipo ‘Vàleri’, come sosteneva Nigidio Figulo, o ‘Valéri’, come era di uso comune?
    Valéri era l’opzione suggerita dall’analogia del rimanente paradigma: Valérius, Valérium etc.
    Nel caso del genitivo invece, l’uso grafico univa le due ‘i’ etimologiche (impérii > impéri ; Valérii > Valéri) rispecchiando il fattoc he in latino due ‘i’ consecutive facciano sempre un unico fonema (mihi/mi).
    La scrittura delle due ‘i’ si avrà solo con i primi tempi del periodo imperiale
  • I ‘composti’ di facio: I composti di facio si dividono in di tipo ‘conficio’ (»facio si è unito con dei suffissi/preverbi e ha subito l’apofonia latina) e ti tipo ‘calefacio’ (»facio si è unito ad avverbi (ex. satis-facio) o con veri e propri temi verbali (assue-facio, made-facio, cale-facio)).
    In questo secondo caso è in realtà improprio parlare di composti, poichè è avvenuto solo un allineamento, senza una rigorosa saldatura dei due elementi come accade invece nei composti; non è infatti raro il caso, specie nel latino arcaico, di trovarli divisi.
    Motivo per cui il primo elemento di questi giustapposti non è un un vero e proprio preverbio, ma solo una parola indeclinabile, ed il verbo ‘facio’ conserva intatta la sua fisionomia anche sotto il profilo dell’accento.
    Questo è il perchè i giustapposti di tipo ‘calefìs’ ‘calefìt’ (calefacio) mantengono l’accento del semplice ‘fis’ ‘fit’ (non seguono quindi la ‘legge della penultima’ e della ‘baritonesi’).
  • ossitonie secondarie: parole originariamente accentate sulla penultima, divenute tronche per apocope o sincope (ex. illìc < illìce; adhùc < adhùce (eclittica -ce), Aprinàs < Arpinàtis).
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12
Q

cos’è l’apofonia?

A

L’apofonia è un cambiamento vocalico che riguarda:
-la quantità delle vocali
-la qualità delle vocali

Esse possono anche avvenire contemporaneamente:
ex. fācit – fēcit

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13
Q

apofonia latina:

A

mutamento del timbro vocalico (tipico del latino) che si verifica allorché una sillaba originariamente iniziale o finale di parola, con vocale breve viene a trovarsi in sillaba interna (declinazione, composizione).
La vocale apofonica, qualunque sia il timbro originario, generalmente a - e (purchè di quantità breve) si cambia in ĭ o ŭ.
con+facio => con-ficio;
milet+is => mili-tis

L’apofonia latina non incide sui valori grammaticali e semantici della parole; ex. il passaggio da ‘facio’ a ‘conficio’, e quindi da ‘fare’ a ‘compiere’ non dipende dall’oscuramento di ă in ĭ, ma esclusivamente dal prefisso ‘con-‘. Infatti se l’apofonia indoeuropea è funzionale, quella latina è meccanica.

Non è una legge, ma una tendenza (che ha operato in età preletteraria, prima del III a.C.). Ad esempio l’evoluzione in ŭ o ĭ avviene solo se la vocale breve viene a trovarsi in sillaba aperta. In sillaba chiusa infatti, l’evoluzione verso ĭ è arrestata dalla consonante di chiusura allo stadio ĕ (cosicchè una ĕ di partenza rimane immutata).
făctus : confĕctus
ănnus: biĕnnium
cĕrno: discĕrno.

A sua volta, l’evoluzione verso ŭ può avvenire in sillaba chiusa (!!!) solo a partire da ŏ (ex. mŏntem: promŭntorium).

Inoltre, sia in sillaba chiusa che in sillaba aperta il mutamento del timbro può essere variamente condizionato dalla qualità dei fonemi vicini. ex.
tăngo: attĭngo
frăngo: confrĭngo
sĕptem: septĭngenti (nonostante a sillaba chiusa, ă e ĕ passano a ĭ davanti a ‘n’ velare).

dăre: reddĕre
cinĭs: cinĕris (nonostante la sillaba aperta, le vocali brevi passano a ĕ davanti a ‘r’).

sălio: desĭlio
sălto: exsŭlto (davanti a ‘l palatale’ (=seguita da ‘i’ o doppia) l’apofonia è normale; davanti a ‘l velare’ (=seguita da a, o, u / da altra consonante) l’esito è invece ŭ, sia in sillaba aperta che chiusa.

Per quanto riguarda i dittonghi interni -ai- e -au-, il latino tende a evolvere ‘ai’ in ‘ae’ e ‘au’ in ‘o’ (caido>caedo / aurum > oro (ita.)). Ma poichè il dittongo è in sostanza una sillaba chiusa con vocale breve, la ă dei dittonghi subisce anch’essa, in sillaba interna, il trattamento riservato ad ă in sillaba chiusa.
Ex. di fronte a ‘caedo’ si ha la prima evoluzione ‘decēido’; successivamente, si ha un’ulteriore evoluzione che, indipendente dall’apofonia, toccò in latino a tutti i dittonghi ‘ei’ e ‘eu’ davanti a consonante. (> ‘i’, >u).
deceido > decìdo
excleudo > exclùdo

Eccezioni:
1. termini di formazione più recente (apofonia non più attiva)
2. giustapposti e non composti (prima parte avverbiale, e non preposizione):
per-ăgo
bene-facio
cale-facio

Tutt’altro che raramente però l’apofonia non si verifica in casi in cui sarebbe dovuta accadere. (Ex. ago > exĭgo > perago).

L’apofonia latina è quindi in pratica un indebolimento della vocale, una vera e propria riduzione che, spinta al limite, può condurre alla totale scomparsa (sincope) della vocale interessata.
ex.
‘conquătio’ > ‘concŭtio’

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14
Q

apofonia indoeuropea:

A

mutamento del timbro vocalico proveniente dalla lingua madre indoeuropea (di cui nel latino troviamo strasichi e non è più operativo); la variazione avviene nell’elemento radicale, cui corrisponde un cambiamento di funzione (es. verbo/sostantivo) e di significato (es. presente / perfetto) della parola.
»> nel momento in cui accade l’apofonia, il verbo si biparte nelle varie categorie che va a rappresentare attraverso il cambiamento della radice (ex. presente e perfetto).
ex. făcio (apofonia grado zero ‘ă’) - fĕcit (apofonia grado normale medio).

Le alternanze possono essere di tipo:
1. qualitativo (timbro medio [e] vs. forte [o])
2. quantitativo (grado normale / allungato), con possibilità di riduzione.

Si hanno quindi così 4 alternanze:
-grado normale medio: ĕ
-grado normale forte: ŏ
-grado allungato medio: ē
-grado allungato forte: ō

Ma riguardo all’alternanza quantitativa, sia il grado normale che il grado allungato potevano subire una riduzione: per il grado normale essa comportava la scomparsa assoluta della vocale, mentre per il grado allungato o la vocale scompariva o veniva posta una vocale di timbro indistinto, che in latino in particolare diventa ă. (ex. fĕci > făcio).

-grado normale ridotto: zero
-grado allungato ridotto: zero oppure ă

Si vedano gli esempi:
-ě/ŏ (těgo copro/ tõga toga)
-ě-zero (fěido > fīdo)
-ō-zero: (genitōrem > genet-ricem > > genetricem (invece di ‘genetōricem’)).
-ĕ/ē (věnio vengo / vēni venni
-ǎ/ē (făcio faccio / fēci feci)

Dagli esempi proposti dalla tabella sul libro deduciamo che la lingua non sfrutta pienamente le possibilità offerte dal sistema delle alternanze; anzi questo sistema cessa di essere produttivo già nello stadio più antico del latino (e resta solo un fenomeno residuale, cioè sono generalmente prive di funzione semantica).

La funzione semantica delle alternanze vocaliche radicali in latino è operante solo nell’opposizione infectum/perfetcum (ex. facio - feci / ago - egi) e, in piccola parte, nella caratterizzazione degli antichi verbi causativi (nŏc-eo (arreco danno ; subisce mutamento in grado normale forte) < nec-em (danno)).

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15
Q

cause e prove dell’apofonia latina:

A

Il fatto che le vocali lunghe rimangano intatte si spiega con la stessa considerazione che il cambiamento che avviene nelle brevi non è altro che un ‘indebolimento’: le vocali lunghe, dotate di maggiore durata e quindi più robuste, hanno la capacità di resistere alla forza che ne modificherebbe il timbro.

Inoltre, l’apofonia latina spiega la posizione dell’accento nel latino preletterario; partendo dall’assunto che la sillaba più debole, e quindi apofonica, deve essere dopo la sillaba tonica, parole come ‘conficio’ (con-fi-ci-o) impediscono di pensare che l’accento cadesse sulle ultime sillabe (poichè non contingue alla sillaba della vocale apofonica).

Poichè dunque la sede tipica dell’apofonia meccanica è la seconda sillaba, possiamo concludere che l’accento latino in epoca preletteraria aveva la sua sede fissa nella prima sillaba, qualunque fosse la lunghezza della parola (la conferma di ciò è che una vocale breve di sillaba iniziale resta intatta, come deve accadere in sillaba accentata/lunga).

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16
Q

altri fatti di vocalismo:

A

Oltre all’apofonia latina vi sono altri fenomeni evolutivi che caratterizzano il comportamento delle vocali latine nel passaggio da epoca preistorica all’epoca classica. Questi, a differenza dell’apofonia (indoeuropea), colpiscono la parola nella sua parte finale, e proprio perchè incidono sulla struttura fonetica della desinenza (a cui il latino affida funzioni morfologiche essenziali) assumono un rilievo morfologico di primo piano.

  • Ex. perchè l’imperativo di ‘capio’ (capire) concide con quello ad esempio di ‘lego’ (lègere)?
    cape - lege.
    L’imperativo infatti dovrebbe coincidere con il tema esteso dell’infectum/presente (capi).

La risposta alla domanda è che in effetti inizialmente l’impertivo di capio era proprio ‘capĭ’, ma il preistorico accento iniziale, va a modificare la vocale breve della sillaba postonica ed è quindi responsabile dell’apertura in -ĕ dell’originario ĭ.

Per le stesse ragioni esiste la categoria dei nomi neutri in -e della 3° decl. (ex. mari > mare).

Ed ancora l’influsso protosillabico da un lato e la tendenza delle sillabe finali a ridurre la durata della propria vocale dall’altro spiega le apocopi di -ĕ nei tipi ‘duc(e)’ ‘illic(e)’ e le sincopi di -ĭ- in ad esempio ‘Maecenat(i)s’.

  • la questione del ‘genitivo locativo’:
    La desinenza del locativo -ĭ si agglutinava ai temi della 1° decl (in ă - attraverso -ăĭ) e ai temi della 2° decl. (in -o/e - attraverso -ĕĭ). La naturale evoluzione di -ai in -ae e di -ei in -i portò alla completa omofonia fra locativo e genitivo, benchè i due partissero da basi e avessero funzioni completamente diverse.
  • la legge dell’abbreviamento giambico:
    In base a questa legge, bisillabi di struttura giambica (=∪ —) tendono a trasformarsi in pirrìchi (=∪ ∪). ex. mălē > mălĕ).
    Secondo molti l’abbreviamenti giambico è responsabile in parte della desinenza -ă nel nominativo della 1° declinazione, a partire appunto da parole orginariamente giambiche (rŏsā > rŏsă).
  • Una vocale lunga tende ad abbreviarsi se, nella stessa parola, è seguira da un’altra vocale (ex. da ‘rēi’ a ‘rĕi’). Ma non tutti gli scrittori rispettano questa norma (ex. Plauto).
  • I polisillabi uscenti in consonante diversa da -s abbreviano la vocale dell’ultima sillaba (ex. amăt, audĭt rispetto a amās audīmus).
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17
Q

alcuni esiti italiani del vocalismo latino:

A

Poichè in fase preromanza il latino perse le distinzioni quantitative, ne conseguì l’unificazione dei timbri: in italiano ĭ e ū corrispondono ai timbri chiusi ‘e’ e ‘o’.
Ciò permette spesso di riconoscere la quantità breve di ‘i’ e ‘u’ latine (poichè sappiamo che queste in italiano corrispondono a ‘e’ e ‘o’).
ex.
metto (it.) < mitto (lat.)
croce (it) < crucem (lat.)

Un altro esito dell’italiano è la dittongazione avvenuta in sillaba tonica aperta di ĕ in ‘ie’, di ‘ŏ’ in ‘uo’.
ex.
dieci < dĕcem
nuovo < nŏvum

Anche per questi mutamenti, come già per quelli apofonici, dobbiamo tenere presente che la loro presenza garantisce la quantità breve della vocale originaria ma la loro assenza non indica di per sè il contrario, cioè la quantitò lunga!.

18
Q

Le ‘semivocali’:

A

In latino come in italiano ‘i’ e ‘u’ hanno 2 distinte funzioni:
* quella di veri e prorpio fonemi consonantici (in ieri, uomo - iam, uorax)
* quella di vere e proprie vocali (in invece, unico - ita, uxor)

Questo perchè in posizione iniziale prevocalica o mediana intervocalica, ‘i’ e ‘u’ diventano le più aperte tra le consonanti (in casi normali invece sono semplicemente le più chiuse fra le vocali).
ex.
iecur, maior lauare, suadeo.

!!: i grecismi seguono invece le norme del greco, che ignoa ‘i’ consonantico/semivocalico, che viene invece considerata sempre vocale. (ex. Troius, Iulus).

Riguardo alla -u- intervocalica, essa era soggetta a sparire se si trovava tra due vocali di timbro uguale se la seconda era atona (ex. ‘oblitus’ < ‘obliuitus’ ; ‘latrina’ < ‘lauatrina’).

19
Q

fatti di consonantismi: il rotacismo:

A
  • Il ‘rotacismo’ un mutamento consonantico, avvenuto già prima del IV sec. a. C., per il quale la -s- intervocalica è passata ad -r-

Es. infinito dei verbi: am-a-se > amāre; monē-se > monēre; mitte-se > mittere; audi-se > audire [ma es-se]

Il rotacismo non si verifica:
1. parole di origine non indoeuropea (rosa)
2. parole mutuate da altre lingue (basium)
3. parole in cui -s-<-ss- (dopo vocale lunga o dittongo): caussa > causa; quaesso > quaeso
4. parole in cui si ha dissimilazione: Caesar, miser
5. Grecismi ( pausa < πаŨƠIS)

  • Un altro mutamento consonantico è quello dellla cosiddetta ‘-s caduca’: ovvero in alcuni casi metrici la -s non viene scandita leggendo (‘non fa posizione’). Questa tendenza poetica seguiva probabilmente una tendenza parlata.
    Ciò è testimoniato da alcune iscrizioni, come quelle di molti nomi propri al nominativo senza -s (ex. Cornelio al posto di Cornelius).

Il fenomeno della -s cadùca fu comunque limitato nel tempo: in epoca classica la lingua aveva già completato la reazione cominciata in epoca arcaica&raquo_space; il tipo ‘sumu(s) Romani’ va a coesistere con il tipo ‘sumus Romani’).

Esempio: ‘Ennio nos sumŭs Romani qui fūimus ante Rudini’&raquo_space; chiaramente la -s di
sumus non va letta altrimenti sarebbe sillaba lunga mentre occorre la breve, e con ‘fuimus’
vediamo che non c’era ancora stato abbreviamento ante vocalem.

  • interessa invece tutto l’arco del latino il fenomeno della ‘-m cadùca’. Anche per ‘-m’ vi è la tendenza a scomparire in fine di parola. E mentre ‘-s’ arcaico cadeva davanti a consonante e persisteva davanti a vocale, ‘-m’ fa posizione davanti a consonante e la perde davanti a vocale.
    ex. ‘non equide(m) inuideo’.

-m era un suono evanescente, e poteva perciò ridursi ad appendice nasale della vocale precedente; secondo il linguistica Niedermann il nesso ‘vocale+m’ aveva comportamento da pura vocale se era seguito da vocale, un allungamento della quantità se era seguito da consonante.

20
Q

radice, desinenza, suffisso, prefisso, tema:

A
  1. radice: elemento minimo comune a una famiglia di parole, esprime il significato fondamentale (ex. ‘reg-’).
  2. desinenza: parte finale variabile di una parola (ex. ‘regn-0’)
    -sostantivi, aggettivi, pronomi: la desinenza veicola il caso, numero e genere.
    -verbi: diatesi (attiva, passiva, media), modo, tempo persona
  3. suffisso: elemento intermedio tra radice e desinenza che ne sfuma il significato (reg-ul-a, reg-in-a)
  4. prefisso: elemento che precede la radice ‘(e-rigo’).
  5. tema: parte rimanente di una parola a finale variabile tolta la desinenza. Può coincidere o meno con la radice (ex. ‘regul-a’, ‘regin-a’).
21
Q

caratteristiche della 3° declinazione:

A

-è la declinazione più complessa e utilizzata.

-comprende:
a. sostantivi M/F/N:
b. grado comparativo degli aggettivi
c. participi presenti

-possiede il genitivo in -is

-comprende due gruppi di nomi:
1. tema in consonante
2. tema in -ĭ

-progressiva confusione, dovuta a:
1. evoluzioni fonetiche della lingua latina
2. meccanismi analogici

-due nominativi:
1. nominativo sigmatico [con desinenza -s]
2. nominativo asigmatico

-alcuni nomi hanno
1. solo il plurale (ex. ‘maiores’=gli antenati ; manes=i Mani ; ‘moenia’=le mura ; ‘Penates’=i Penati).
b. significato diverso in singolare e plurale (ex. ‘aedes-is’=tempio / ‘aedes-ium’= palazzo ; ‘finis-is’=fine / ‘fines-ium’=confini o territorio ; ops-is=soccorso / opes-um=ricchezze ; pars-partis=parte / partes-ium=partito ; sal-is=sale / sales-um=arguzie).
c. anomalie nella flessione (ex. ‘iter-itineris’ ; ‘senex-senis’ ; ‘iecur iecinoris’ ; supellex-supellectilis’).
d. i sostantivi eterocliti (oscillanti): sostantivi che oscillano fra due diverse declinazioni. Ex. ‘iugerum-i’ (al sing: 2° dec. / al plur. della 3°) e ‘vas-vasis’ (al sing.: 3° dec. / al plur.: 2° dec.).

22
Q

modi per classificare i lemmi delle 5 declinazioni:

A
  1. per temi: la classificazione in temi (ricavati dal genitivo plurale togliendo -(r)um) è quella più esatta poiché è il tema l’elemento distintivo della flessione, sia nominale che verbale.
  2. per desinenze:
    Vi è infatti una netta opposizione fra la 1° e la 2° decl. da una parte e la 3° e 4° decl. dall’altra nella distribuzione delle desinenze.
    1° e 2° = flessione di temi in vocale (rosae, domini, rosarum)
    3° e 4° = flessione di temi in semivocale/consonante (puppis, regis, regum, manuum)

le desinenze della 5° invece sono un misto delle due opposizioni, e poi i nomi che le hanno sono veramente esigui (dies, res etc.)
Si discute tutt’ora se si tratta di un fossile indoeuropeo e di un’innovazione latina abortita.

23
Q

modi per classificare i sostantivi della 3° decl.:

A

Classificazione scolastica/tradizionale: parisillabi vs. imparisillabi (puramente empirica)

Classificazione «scientifica»: temi in –i vs. temi in consonante

Ognuno dei due temi (-i- ; consonante) aveva una flessione propria, ma poi le due flessioni si andarono unificando con prevalenza di quella dei temi in consonante.
Dei temi in -i- rimasero tracce nel genitivo plurale, come detto, nell’accusativo singolare in -im (puppim) e nell’ablativo singolare in -i (ex. gli aggettivi di 2° classe) e nel nom/accus/vocat neutro plurale in -ia (maria, acria), nell’acc

24
Q

classificazione scolastica: parisillabi e imparisillabi:

A

è la distinzione antica (Prisciano) e deriva empiricamente dalla distinzione dei due temi. Tuttavia è meglio classificare i nomi e gli aggettivi della 3° decl. attraverso i due diversi temi e non attraverso la divisione in sillabe, poichè quest’ultima è soggetta a numerose eccezioni (che hanno reso numerosi nomi con tema in -i- imparisillabi e altri con tema in consonante parisillabi):

  1. temi in -i: tendenzialmente parisillabi (=stesso numero di sillabe nel nominativo e nel genitivo singolare); ma:
    -casi di sincope della vocale tematica nel nominativo:
    artis > ars, artis; montis > mons, montis; falcis > falx, falcis (temi in -i che per la sincope non sono più parisillabi).
    -aggettivi in -as / -is (nostratis > nostras, nostratis) (temi in -i non parisillabi)
    -monosillabi (partis > pars, partis; dos, dotis) (temi in -i non parisillabi)
    -apocope di-i finale > neutri in ali / āri (animali > animal, animalis; calcari > calcar, calcaris). (temi in -i che per apocope non sono più parisillabi)
  2. Temi in consonante: tendenzialmente imparisillabi (=hanno al genitivo singolare una sillaba in più rispetto al nominativo singolare); ma:
    -pater, mater, frater (il latino ha abbreviato la vocale al nominativo (patĕr) e negli altri casi ha generalizzato il grado 0 di apofonia indoeuropea&raquo_space; patr-is, patr-um…)&raquo_space; a causa del grado 0 diventano così parisillabi
    -iuvenis, senex, canis, mensis (parisillabi con tema in consonante; sono divenuti man mano imparisillabi solo successivamente, o aggiungendo il suffisso -i- al nominativo o ricavando casi obliqui da un tema diverso.
    prima
    ‘senex’, senis, seni etc.
    nel corso dei secoli
    ‘senex’ (f) > senecs, senec-a
25
Q

classificazione scientifica: sui temi in -i:

A

temi conservativi: temi in -i che mantengono la vocale in tutta la declinazione (ex. ‘puppis’)&raquo_space; i nomi conservativi hanno generalmente acc. sing. in -im (e non in -em) e ablativo in -i (e non in -e).
puppis
puppis
puppi
puppim
puppis
puppi

26
Q

classificazione scientifica: sui temi in consonante:

A
  1. dentale: t/d+s>s, talora con apofonia e/i tra nom. s. e altri casi (miles [<milet-s], militis; pes pedis)
  2. velare: c/g+s>x (rex, regis; lux, lucis)
  3. labiale: p/b+s> ps/bs (princeps, principis; plebs, plebis)
  4. sibilante: con rotacismo (talora anche nominativo rotacizzato (flos/flor, floris, mas / mar maris)
  5. liquida (l/r): nom. = tema puro (sol solis, soror sororis)
  6. nasale: -n cade per lo più, tranne nei neutri: regio regionis, flumen fluminis).
27
Q

cos’è il verbo?

A

Il verbo è quella parte variabile del discorso che indica un’azione
(Carlo studia), un sentimento (Carlo si pente), uno stato (Carlo è studioso), un possesso (Carlo ha molti libri)

28
Q

le 4 coniugazioni:

A

I. temi in -ā
II. temi in -ē
III. comprende temi in -ĕ e temi originariamente in -ĭ che sè poi diventata ĕ (ma che mantengono la -i, ex. ‘capio’)
IV. temi in ī

29
Q

perchè è importante trovare per prima cosa il verbo della frase quando si traduce?

A

Poiché dal verbo (che è sempre presente tendenzialmente) ricaviamo il soggetto, e dal soggetto i complementi.

30
Q

perchè è importante conoscere il paradigma di un verbo?

A

Poiché conoscendo il paradigma possiamo flettere tutti i tempi del verbo.

31
Q

formazione del tema dell’indicativo perfetto attivo:

A

Il perfetto indicativo è una forma sincretica, cioè il suo tema può essere formato in vari modi, i quali hanno origini e funzioni originariamente differenti (nel perfetto latino confluiscono forme del perfetto indoeuropeo ma anche forme di aoristo, che ad esempio in greco sono ancora due cose differenti).
-aoristo: forma verbale che esprime un’azione momentanea (che sta ancora accadendo)
-perfetto: originariamente indica l’azione compiuta

Il motivo per questa sincresi è che il sistema verbale indoeuropeo era fondato sull’idea di aspetto verbale: l’aspetto descrive la durata dell’azione espressa dal verbo (momentanea/compiuta, durativa/incompiuta).
Il perfetto indicava originariamente l’azione giunta a compimento (perfectum) in opposizione a quella in svolgimento (infectum).
Assumendo il perfetto progressivamente il valore dell’aoristo (momentanea), il sistema verbale latino inizia a non basarsi più sulla nozione di aspetto, ma su quella di tempo (passato).

32
Q

tipi di perfectuum:

A
  1. perfetto in ‘-vi-‘
    E’ il tipo di perfetto più comune e probabilmente ha subito l’influsso del perfetto di sum ‘fui’; è il perfetto proprio dei temi in vocale lunga.
    L’analogia ha avuto larga parte nella diffusione di questo tipo. ex.
    ‘cupio’, attratto parzialmente nella 4° coniugazione, ha ricevuto il pefetto ‘cupīui’, che ha influito su una serie di verbi semanticamente o fonicamente affini (ex. petīui, quaesīui…).
  2. perfetto sigmatico (con suffisso ‘-s’).
    Interessa soprattutto i verbi il cui tema termina in consonante.
    Ex.

con le velari
dico -is -ere&raquo_space; dixi (< dic-si)
conspicio -is -ere&raquo_space; conspexi
iungo -is -ere&raquo_space; iunxi

con le dentali
mitto -is -ere&raquo_space; misi (< mitt-s-i)
claudo -is -ere&raquo_space; clausi (<clauds-i)
sentio -is -ire&raquo_space; sensi

con le labiali
scribo -is -ere&raquo_space; scripsi
con le sibilansi
gero -is -ere&raquo_space; gessi.

  1. perfetto con apofonia (indoeuropea)
    -quantitativa (ĕdo/ēdi)
    -quantitativa e qualitativa (căpio/cēpi - făcio/fēci).
    -perfetto con apofonia e assenza di infisso nasale rispetto all’infectum
  2. perfetto con raddoppiamento

a. con -e- nella sillaba del raddoppiamento (+ apofonia latina nella radice)
* cădo, is, ere > cecidi
* fallo, is, ere > fefelli

b. con assimilazione della vocale del raddopp. a quella della radice:
mordeo, es, ēre - mo-mordi
curro, is, ere - cu-curri ; posco, is, ere
* tondeo, es, ēre ; fe-fěll-i ; pe-pu-li

c. verbi composti di verbi con raddoppiamento: si perde il raddoppiamento
accurro, is, ere - accurr-i
incido. (> cecidi)

  1. perfetto non caratterizzato (perfectum = infectum)
    bibo, is, ere = bib-i
    minuo, is, ere = minu-i
    solvo, is, ere = solv-i
    Essi coincidono con il presente nella 3° pers. sing. e nella 1° plur.
33
Q

verbi derivati: i verbi frequentativi:

A

il suffisso -ito si è esteso per analogia anche ad altri verbi che avrebbero un altro participio perfetto.

La durata può avere valore:
-iterativo = l’azione si ripete più volte (iacto=io scaglio più volte, pulso, vorso)

-conativo = tentare di compiere l’azione (capto=tento di prendere, fugito)
-intensivo = si rafforza l’idea espressa dalla radice (rapto, prenso)

-di consuetudine = l’azione viene svolta in maniera abitudinaria (lectito = leggo continuamente, potito, scriptito).

-attenuante = si attenua l’idea espressa dalla radice (dormito=sonnecchio, dormo=dormo).

-A volte assumono un significato diverso rispetto al semplice (ex. ‘dico’=dico, ‘dicto’=detto (da dettare) ; ‘salio’=salto, ‘salto’=ballo).

34
Q

verbi derivati: i verbi incoativi:

A

verbi della 3° con. (derivano però solitamente da un verbo di 2° con.) caratterizzati dal suffisso ‘-sco’ (solo nel tema dell’infectum). (non hanno perfectum poichè il perfectum ha valore aspettuale compiuta, non può essere durativa).

Esprimono un progressivo cambiamento di stato, in opposizione al verbo da cui derivano.

Hanno originario valore imperfettivo o durativo, ma se entrano in composizione con un preverbio assumono valore ingressivo e perfettivo (esprimono il momento in cui avviene il cambiamento)
rubesco (divento rosso) > erubesco (finisco di diventare rosso = momento in cui avviene il cambiamento) > rubeo (sono rosso)

-rubeo (sono rosso) rubesco (arrossisco)
-floreo (sono fiorido) floresco (fiorsico)
-frigeo (ho freddo) frigesco (mi sto raffreddando)

A volte però il verbo incoativo non proviene da un verbo primitivo di 2° con., ma da un sostantivo (Ex. ira > ‘irascor’) o da un aggettivo (ex. ‘durus’>’duresco’, divento duro)&raquo_space; cioè è un ‘denominativo’ e non un ‘deverbativo’.

A volte il supplemento di significato originariamente conferito dal suffisso tende ad attenuarsi fino a perdersi (esistono verbi che formalmente sono coativi ma che hanno perso il significato coativo/non esprimono più l’evoluzione di un processo).
ex. ‘quiesco’ (non ‘mi zittisco’, ma ‘sto zitto).

35
Q

verbi derivati: i verbi desiderativi

A

i verbi desiderativi esprimono un desiderio (valore volitivo), tentativo (valore conativo).
hanno due formazioni differenti:

  1. in -so (-sere): capesso, facesso, viso (forse da congiuntivi sigmatici in -so)
  2. in -urio (-urire): esurio, parturio (da una forma affine al suffisso del participio futuro in -urus).

I verbi del secondo gruppo hanno più valore conativo, che i verbi del primo hanno valore volitivo.
(quaeso < quais-so ; quaero < quais-o)
entrambi significano ‘cercare’, ma quaero viene da quaiso (per rotacismo), quaeso viene da quais-so (non avviene il rotacismo perchè la -s- non è intervocalica).

36
Q

i 3 significati di ‘dum’:

A
  1. dum: ‘mentre’ ; esprime concomitanza fra il processo della subordinata e quello della reggente; si costruisce sempre con indicativo presente, a prescindere dal verbo nella sovraordinata​.
  2. dum: ‘finchè/per tutto il tempo che’. ; esprime il parallelismo cronologico fra la subordinata e la reggente, nella quale è a volte anticipato o richiamato dalle correlative tamdiu e usque. Il verbo è all’indicativo ( congiuntivo nel pensiero indiretto).
  3. dum: ‘finchè non’. ; indica una successione immediata fra la subordinata e la reggente; si ha l’indicativo per esprimere circostanza di fatto, il congiuntivo qualora si esprima un’attesa, un’ aspettativa (‘in attesa che’).
37
Q

espressione di un ordine con verbi attivi e passivi: eccezioni alla regola delle infinitive:

A
  1. con verbi di forma attiva (ex. volo/nolo/malo, cupio, iubeo, veto, prohibeo etc): si usa:
    ‘soggetto dell’infinito=acc’. + ‘infinito’ (soggetto dell’infinito è la persona che riceve l’ordine. Se questa non è espressa, soggetto diventa l’oggetto su cui si esegue l’ordine).
  2. con verbi di forma passiva (ex. iubeor, vetor, prohibeor etc.)
    si usa:
    ‘soggetto dell’infinito=nom’. + ‘infinito’ (soggetto dell’infinito è la persona che riceve l’ordine. Se questa manca soggetto è l’oggetto su cui l’ordine si deve eseguire.
    ex.
    ‘iubeo viros pontem rescindere’ = ordino ai soldati di tagliare il ponte (viros: soggetto di ‘rescindere’).
    ‘iubeo pontem rescindi’ = ordino di tagliare il ponte
    ‘viri iubentur pontem rescindere’ = si ordina ai soldati di tagliare il ponte
    ‘pons iubetur rescindi’ = si ordina si tagliare il ponte
38
Q

‘decet’, ‘fugit’, ‘fallit’, ‘praeterit’, ‘latet’:

A

‘decet’, ‘fugit’, ‘fallit’, ‘praeterit’ e ‘latet’ sono verbi ‘semi impersonali’, cioè verbi che hanno tutte le persone ma che quando sono usati alla 3° pers. sing. e plur. si costruiscono con il nominativo della cosa o persona che si addice, piace o sfugge e l’accusativo della cosa o persona a cui si addice.
ex.
‘urbanitas decet liberos cives’ = a liberi cittadini si addice la vita a Roma.

In alcuni casi pero, la cosa o persona che si addice è un verbo all’infinito o una frase infinitiva.

39
Q

il calendario romano:

A

I mesi romani (Ianuaris, Febrarius etc.) sono aggettivi che sottintendono il sostantivo ‘mensis’; dopo la riforma di Cesare avevano lo stesso numero di giorni dei nostri.

  • kalendae: 1 del mese
  • nonae: 5 del mese / 7 del mese per marzo, maggio, luglio, ottobre (marmaluot).
  • idus: 13 del mese / 15 del mese per marzo, maggio, luglio, ottobre (marmaluot).
  1. se la data cade in uno di questi giorni fissi: ablativo concordato con il nome del relativo mese
  2. se la data cade il giorno precedente uno dei giorni fissi: pridie + acc.
  3. se la data cade il giorno successivo uno dei giorni fissi: postridie + acc.
  4. per le altre date: si contano i giorni mancanti al giorno fisso più vicino (contando anche il giorno di partenza e di arrivo) ; si usava spesso una perifrasi costituita da ante + accusativo di tutta l’espressione.
    ‘die nono (=abl.) ante Kalendas Apriles (=acc.)’ = 24 marzo
    ‘ante diem nonum Kalendas Apriles’. = 24 marzo
40
Q

questione ‘cado’ e ‘caedo’:

A

‘cado’/’cadĕre’ (tagliare) e ‘caedo’/’caedĕre’ (fare a pezzi) sono due verbi differenti entrambi della 3° coniugazione, ma hanno lo stesso tema del perfectum (‘cecid-‘) e svariati composti omografi (ma non omofoni).

Quando troviamo un composto ambiguo per pronuncia, per capire come pronunciarlo ci basta pensare da quale dei due verbi proviene.
ex.
còncido’ (cadere) = la i è breve poichè subentra per ipofonia a ‘a’ «« con+cado
concìdo’ (fare a pezzi) = la i è lunga poichè subentra per una mutazione indipendente dall’apofonia a un dittongo «« con+caedo.

41
Q

verbo ‘uti’:

A

il verbo deponente ‘uti’ regge l’ablativo strumentale tranne quando vi è un pronome/aggettivo neutro, in quel caso regge l’accusativo come in italiano.

42
Q

verbo ‘sum’: differenza fra indicativo piucc e futuro semplice:

A

Nel verbo ‘sum’ una differenza fra indicativo imperfetto e futuro semplice è che:
* imperfetto indicativo: eram, eras, erat, erāmus, erātis, erant.
* futuro semplice: ero, eris, erit, erĭmus, erĭtis, erunt.