propedeutica Flashcards

1
Q

latino e indoeuropeo:

A

il latino è una lingua indoeuropea, come lo sono anche il greco e altre lingue europee e asiatiche.
L’indoeuropeo è inteso come la lingua comune parlata fra Europa e Asia tra il 4° e il 3° millennio a.C..

Grazie alle migrazioni da parte delle tribù parlanti, l’indoeuropeo ha soppiantato ovunque le lingue indigene (parlate prima dell’indoeuropeo), che hanno però ovviamente avuto influsso di sostrato > differenziazione in una serie di lingue (fra cui il latino).

In particolare, il latino è ‘figlia’ del greco, poichè lo stesso alfabeto latino sembra derivare da un alfabeto greco occidentale (quello di Cuma), ma attraverso l’influsso etrusco (in epoca storica, il latino confinava a est e sud con l’osco, a nordo con l’estrusco (etrusco=quasi certamente non indoeuropeo!)), anche a seguito della monarchia etrusca a Roma (Tarquini).

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2
Q

le fasi del latino (differenze diacroniche):

A
  1. latino preletterario: fino al 3° sec. a.C.
  2. latino arcaico: da Livio Andronico (240 a.C.= sua prima rappresentazione) all’inizio del 1° sec. a.C. (età di Silla).
  3. latino classico: durante l’età di Cesare e Cicerone (1° sec. a.C.).
  4. latino augusteo: 0-14 d.C. (fino alla morte di Augusto).&raquo_space; Tito Livio
  5. latino imperiale: 1-2 d.C. (fino alla morte di Marco Aurelio = 180 d.C.), caratterizzato dal progressivo divergere di una lingua letteraria e di una lingua parlata.
  6. latino cristiano: attestato negli scrittori cristiani a partire dalla fine del 2° sec. d.C. (volgarismi, semitismi)
  7. tardolatino: fino agli ultimi secoli (5-6° sec. d.C.).
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3
Q

gli strati del latino (differenze sincroniche):

A

Se prendiamo uno strato qualunque del latino in generalmente qualunque fase, lo vedremo composto da diversi strati/livelli linguistici:
1. la lingua letteraria.
2. le lingue tecniche delle varie arti e attività (quella agricola, militare, giuridica…).
3. la lingua d’uso (la lingua media, quella della conversazione e della corrispondenza).
4. il latino volgare, che ci dà un’idea del latino parlato (quella dell’‘Appendix Probi’, del ‘Satyricon’ di Petronio).

!!: la lingua letteraria era a sua volta diversificata nei vari generi letterari; la diversificazione era realizzata attraverso l’uso dei sinonimi.
Il confine fra le diverse connotazioni che i termini potevano avere era più sentito di quanto o sia in italiano (ex. ‘gladius‘=termine usuale per dire ‘spada ; ‘ensis‘=termine poetico per dire ‘spada’).

Ovviamente i diversi strati non erano completamente stagni, ma c’era un continuo ricambio fra di loro. Tuttavia, nel complesso, le differenze erano nette.

Il solco fra lingua letteraria e lingua parlata si approfondisce sempre più in epoca imperiale, quando il latino era ormai parlato in un immenso territorio da moltissimi popoli, che lasciavano tracce della loro lingua originaria. Quindi mentre il latino letterario rimaneva generalmente lo stesso, quello palrato se ne differenziava sempre più.

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4
Q

il latino dopo Roma:

A

Dopo la caduta di Roma, la Chiesa fece del latino la lingua liturgica dell’occidente. Tuttavia, man mano il latino venne schiacciato da mutamenti sia interni che esterni (i punti di maggior cedimento furono la sintassi (sov»svo) e il lessico).

I primi documenti romanzi risalgono all’8° sec. d.C.

Carlo Magno tenta di salvaguardare l’importanza del latino, abbracciando la Chiesa ed elevandolo a lingua dotta.

L’Umanesimo parve segnare la rivalsa del latino, data la sua riscoperta da parte degli intellettuali, ma quest’idea andò a cadere dopo la Riforma Protestante, che spezza l’unità religiosa, e l’affermazione dei nazionalismi a spesa dell’idea imperiale.

Il latino continuò a essere il veicolo della scienza (opere di Copernico), ma con l’avvento del romanticismo (anticlassicismo) il latino cessa di avere un ruolo attivo.

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5
Q

cos’è l’infisso nasale:

A

L’infisso nasale è quella -n- (o -m-) che troviamo nella radice dei verbi; essa serviva originariamente a indicare il dinamismo (incompiuto) del processo verbale (e perciò era propria dell’infectum, essendo il perfectum statico per sua natura).
In latino questo valore si è conservato solo nella coppia cubo/cumbo (‘sto sdraiato’ - ‘mi sdraio), infatti l’infisso nasale è potuto passare per analogia al perfectum e al participio perfetto (iungo, iunxi inuctus ; finxi, punctus).

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6
Q

‘desinenza zero’:

A

E’ detto ‘desinenza zero’ il caso come il nominativo ‘timor’/’dolor’ (timore), a cui manca una desinenza (infatti il paradigma continua come ‘timoris, timori, timorem, timor, timore).

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7
Q

‘vocale tematica’:

A

La vocale tematica è la vocale che termina il tema (tema=ciò che rimane della parola una volta tolta la desinenza.
ex. in ‘timere’&raquo_space; time-&raquo_space; ‘e’ è la vocale tematica.

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8
Q

‘preverbi’:

A

preverbi: i prefissi messi prima di un tema verbale (Ex. ‘ex-timescere’ ‘ex-agitare’).

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9
Q

motivi per cui spesso radice, tema e suffissi non sempre sono ben riconoscibili:

A
  1. per le modificazioni fonetiche dovute all’apofonia latina (ex. concutere < com-quat-i-se)
  2. per l’alterazione della vocale in sillaba finale (timidus < tim-id-o-s)
  3. per la caduta della consonante finale
  4. per la sincope (posno < po-sin-o)
  5. per l’assenza dei suffissi tematici o della desinenza (Ex. nella 2° pers. dell’imperativo presente ‘tim-ē’ si ha il puro tema verbale dell’infectum, con desinenza zero rispetto alla 2° pers. plur. ‘tim-ē-te’).
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10
Q

anomalie della flessione nominale: genitivo singolare in -ās dei temi in -ā-:

A

Alcuni (pochi) nomi con tema in -ā- (comunemente detti appartenenti alla 1° decl.) possiedono il genitivo in -as (Ex. ‘pater familias’).
Si tratta del genitivo singolare indoeuropeo dei temi in -ā-, sopravvissuto in latino come residuo di una norma più antica.
Ad oggi i nomi che lo possiedono hanno generalmente funzione di arcaismi solenni.

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11
Q

anomalie della flessione nominale: il genitivo plurale in -um dei temi in -o/e-

A

Il confronto col greco mostra che la forma -um <-om è quella originaria del genitivo plurale, e quella in -ōrum<-osom è analogica del genitivo plurale dei temi in -a- (lupōrum come rosārum).
Non si deve quindi parlare di ‘genitivo sincopato’, perchè la sincope non affetta le vocali lunghe!

ex.
deus, deum
vir, virum

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12
Q

anomalie della flessione nominale: il vocativo di ‘deus’

A

Fin dall’età di Augusto non si incontra nessuna forma che valga come vocativo di ‘deus’; a partire da Orazio appare ‘dive’ (in realtà vocativo di ‘divus’), altre volte viene usata la forma del nominativo come vocativo (‘o deus!’).

La mancanza del vocativo di deus si spiegherebbe col fatto che gli antichi, in quanto politeisti, si rivolgevano alla singola divinita con il suo nome (ex. Minerva, Marte etc), mentre usavano normalmente il vocativo plurale ‘dī’.

Tuttavia questa spiegazione non è del tutto convincente poichè esiste ed è spesso usato il vocativo femminile ‘dea’.

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13
Q

anomalie della flessione nominale: i plurali eterogenei dei temi in -o/e-:

A

Il caso classico è il doppio nominativo plurale loci/loca (che ad oggi hanno assunto il significato rispettivamente figurato (ex. ‘i luoghi di un libro’) e letterale).
In realtà in origine il primo caso era quello di un plurale singolativo (distingue), nel secondo di un plurale collettivo (ammassa). Questa opposizione rimane viva in qualche passo del latino arcaico.

Lo stesso accade in italiano con ‘frutti/frutta’ ‘membri/membra’ ‘muri/mura’.

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14
Q

anomalie della flessione nominale: vis, sus, bos:

A
  • ‘vis’ (forza) è un nome difettivo per genitivo e dativo singolare; per il genitivo autori diversi propongono versioni diverse (ex. vis, roboris, altri danno prova attraverso perifrasi che non esiste forma genitiva).

Il suppletivismo ‘vis, roboris’ (e ‘robori’ al dativo sing.) usato oggi al posto del genitivo sing. è in realtà non totalmente corretto: vis e robur indicano due concetti leggermente diversi:
-vis: forza in movimento, generalmente animata, e quindi che può agire in bene e in male.
-robur: letteralmente ‘legno della rovere’ e in senso figurato la ‘forza statica/inanimata’, che sostiene e resiste.

  • ‘sūs, suis’ (maiale) è un raro tema in -ou- della 3° decl.; ha una doppia forma del dativo/ablativo plurale: sūbus, suibus. La seconda deriva dall’analogia con gli altri nomi tema in -i della 3° decl.
  • bōs, bovis (bue) è un raro tema in -ou- della 3° decl. (boum);
    -nei casi obliqui > bou-is etc.
    -la forma ‘boum’ del genitivo plurale è analogica ( < bouum < ‘bouom’).
    -originariamente al dativo/ablativo plurale dava ‘bou-bus’ > ‘bubus’. Abbiamo anche la forma ‘bōbus’, dall’influsso del nominativo ‘bōs’. In molti casi le due forme vengono usate indistintamente.
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15
Q

classificazione verbale: verbi tematici e verbi atematici:

A

I verbi latini possono essere raggruppati in 2 categorie:
* verbi tematici: verbi con una vocale di collegamento fra la radice e la desinenza (ex. leg-e-re, am-a-re)
* verbi atematici: sono nettamente inferiori in latino rispetto ai verbi tematici; verbi in cui manca la vocale di collegamento e la desinenza si unisce direttamente alla radice (Ex. fer-re, es-se).

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16
Q

classificazione verbale: i 5 temi:

A

Più che per coniugazioni, i verbi, come i nomi, andrebbero classificati per temi (-a, -è etc.)
Tuttavia, questa classificazione è innanzitutto valida solo per i tempi derivati dal presente (infectum) e poi non tiene in conto dei verbi in -io della 3° con. (ex. capio - capere, facio… (originari temi in -ī- poi abbreviatasi in -ĭ- e infine diventata -e- per apofonia latina davanti a r).
Tali verbi hanno tema in -ĭ-, la cui coniugazione è venuta parzialmente a coincidere con quella dei temi in -ī- dove quest’ultima si è abbreviata (audīo > audĭo).

Quindi andrebbero riconosciuti non 4, ma 5 temi raggruppabili in categorie (vocale lunga: -ā-, -ē-, -ī-) (vocale breve: -ĕ-, -ĭ-, anche se quest’ultima è poi diventata -ĕ- per apofonia per apofonia latina).
Oppure riconoscere che nella 3° con. convergono i temi in -ĕ- e quelli in -io

17
Q

la questione del ‘genitivo locativo’:

A

Il genitivo locativo in realtà non esiste, perchè genitivo e locativo sono casi differenti usati in contesti differenti, che però nel latino classico risultano avere delle desinenze comuni.
Alcuni grammatici infatti usano la regola: genitivo per i nomi della 2° declinazione (-i)., dativo per i nomi della 1° (-ae) e della 3° (-i).

In realtà, l’indoeuropeo aveva 8 casi: oltrei i 6 del latino, possedeva lo strumentale e il locativo, che serviva a localizzare nello spazio e nel tempo.
Lo strumentale e il locativo sono stati eliminati e le loro funzioni sintattiche sono state ereditate dall’ablativo.

La caratteristica desinenza del locativo era -ĭ, che compare nei temi -o/e- (Tarentī < Tarentei) e in consonante; nei temi in -a- si è mutata in -e (Roase<Romā-i; diverso dunque dal genitivo Romāī).

Le forme locative latine sono ormai dei fossili emarginati dalla flessione, degradati ad avverbi locali e temporali (hīc, illīc, ibī, ubī).

Il valore avverbiale del locativo è confermato anche dal fatto che tali forme non sopportano più determinazioni aggettivali: Romae, ma ‘in ipsa Roma’ ; ‘domi (meae)’, ma ‘in magna domo’.

Il locativo è stato per funzione soppiantano progressivamente in realtà dall’ablativo (non dal genitivo) o da sintagmi preposizionali (in, ad, apud).

18
Q

sui pronomi indefiniti:

A

I pronomi indefiniti in latino sono in tutto 5 (+ composti), e si collocano lungo una scala che va da un minimo a un massimo di indeterminatezza (fino a sconfinare nella negativià):
pronomi indefiniti: composti di quis quae quid (quis… , quae…, quid…)
aggettivi indefiniti: composti di qui quae quod (qui…, quae…, quod…)

  1. quīdam: individua ma non specifica (più determinato=un certo, un tale) (quiddam: aggettivo indefinito, quoddam: pronome indefinito).
  2. alĭqui: afferma l’esistenza di persona o cosa non individuabile
  3. quispiam, quaepiam, quodpiam/quidpiam: è l’indefinito della probabilità.
  4. quis (enclitico): è l’indefinito della pura possibilità (ex. aliquis aliquid)
  5. quisquam: pone in discussione l’esistenza di qualcuno o qualcosa (meno determinato=alcuno/qualcuno).

E’ evidente che l’indefinito originario è ‘quis’, corradicale del relativo ‘quī’ e risalente all’indoeuropeo.
E’ un fatto originale latino la creazione di una ricca serie di sinonimi di indefiniti mediante composizione con altri pronomi (alius) o particelle generalizzanti (-dam, -piam, -quam).

19
Q

‘facio + infinito’: un aspetto del causativo:

A

In latino per dire ‘far tremare i pilastri’ si userebbe con una frase che in italiano corrisponderebbe a ‘fa’ si che i pialstri tremino’ (‘efficit ut ipsae antae tremant’).
Tuttavia, molti autori usano ancora forme come ‘facit tremĕre pilastros’.

Facio + infinito, nell’accezione di ‘far fare’, è attestato sin dal latino arcaico, ma il latino classico preferirà la forma completiva ‘facio ut + congiuntivo’).

La forma ‘facio + infinito’ è un surrogato (cioè derivato) perifrastico dei fattivi, cioè di quei verbi la cui azione è direttamente o indirettamente provocata dall’agente in altri (‘addormentare’ rispetto a ‘dormo’).
Morfologicamente questa categoria era caratterizzata dal vocalismo radicale ‘o’ e dal tema in -ē- (‘moneo’ ‘doceo’).
La scarsità e l’improduttività in latino di questi verbi provenienti dall’indoeuropeo pose il problema di rendere il causativo con altri mezzi analitici/perifrastici (‘facio + infinito’, ‘facio + ut’ e poi nelle lingue romanze di nuovo ‘facio + infinito’).

20
Q

sull’ “aspetto” verbale: cos’è l’aspetto:

A

Per noi è ovvio che la categoria fondamentale del verbo sia quella del tempo: ogni accadimento si situa in una successione progressiva che, in rapporto al momento in cui parlo, si segmenta in passato, presente, futuro.

L’uomo primitivo sentiva invece il tempo concretamente come durata, cioè come un flusso continuo in cui è immerso. Il riflesso linguistico di questa esperienza è la categoria dell’aspetto.

La differenza fra ‘scrivo’ e ‘sto scrivendo’ non è di tempo, poichè entrambe le azioni avvengono nel presente, ma di aspetto: ‘sto scrivendo’ rende esplicito, al rallentatore, il valore durativo. E’ invece implicito in ‘scrivo’.
‘scrissi’ e ‘scrivevo’: entrambe azioni nel passato, ma ‘scrissi’=azione compiuta ; ‘scrivevo’=azione continuata.

Da qui ‘aspetto’=categoria che definisce il processo verbale in rapporto alla durata.

In latino le opposizioni fondamentali sono:
* incompiuto/compiuto.
* durativo/momentaneo.

21
Q

sull’ “aspetto” verbale: opposizione ‘incompiuto/compiuto’:

A

L’azione in via di svolgimento (scribo: scrivo, sto scrivendo) è opposta all’azione giunta a compimento (scripsi: scrissi, ho finito di scrivere).
Su questa opposizione è basata la morfologia del verbo latino, bipartita in ‘infectum’ (incompiuto, tema del presente) e ‘perfectum’ (compiuto, tema del perfetto).

Tuttavia, se il valore durativo dell’infectum è sempre rimasto vivo, dal valore incompiuto del perfectum è sempre più sviluppato il valore temporale di passato/anteriorità a svantaggio di quello aspettuale.

Il prevalere del valore temporale su quello aspettuale nel perfectum ha avuto come conseguenza la creazione di una nuova forma perifrastica che esprimesse il valore dell’aspetto compiuto: ‘habeo + participio perfetto’, destinato poi a creare il passato prossimo nelle lingue romanze.

22
Q

sull’ “aspetto” verbale: opposizione ‘durativo/momentaneo’:

A

Il processo verbale considerato nel suo durare indefinito (aspetto durativo: ‘sto gridando’) si oppone al processo verbale condensato in un punto (aspetto momentaneo: ‘getto un grido’): tale punto può poi essere il momenti iniziale di un grido (aspetto ingressivo) o quello finale (aspetto egressivo).

Per esprimere queste sfumature aspettuali, il latino ricorre ai preverbi detti ‘perfettivizzanti’: ab-, ad-, -dis-, con-…
‘bello’=faccio la guerra ; ‘debello’=pongo fine alla guerra
‘tonat’=tuona
‘contŏnat’=scoppia un tuono
‘detŏnat’=finisce di tuonare

ex.
diu clamaui=gridai a lungo
diu conclamaui=gettai un grido
In questo caso è opportuno usare il termine di aspetto ‘complessivo’ (al posto di durativo) in opposizione al momentaneo o puntuale.

23
Q

cos’è la ‘paratassi’:

A

la paratassi è una relazione del periodo molto comune in latino che prevede l’accostamento di più frasi mediante o coordinazione implicita/mediante asindeto (veni, vidi, vici) o subordinazione implicita (uolo facias…).

La paratassi prevede quindi l’assenza di ogni indizio di collegamento grammaticale fra due proposizioni contigue, il cui rapporto sintattico resta implicito, del tutto psicologico (iube veniat=comanda venga!=comanda: venga!=comada che venga).

Subordinazione esplicita sarebbe invece mediante una congiunzione subordinante (uolo ut facias…), e si chiamerebbe ‘ipotassi’.

Dal latino alle lingue romanze vi è un progressivo passaggio dalla paratassi all’ipotassi.

24
Q

le principali congiunzioni subordinanti: quod, quia:

A
  • quod’ è il neutro del pronome relativo, probabilmente un originario accusativo di relazione.
    Nel latino volgare, ‘quod’ si estende a scapito di altre congiunzioni (ut, quin etc.) fino a diventare l’antecedente del nostro ‘che’.
  • quia’ è in origine il neutro plurale del tema in -i- del relativo-indefinito-interrogativo (ad oggi=quae), ma, diversamente da ‘quod’, il suo punto di partenza per il valore causale sarà stato il valore interrogativo (anche qui mediato dal valore di accusativo di relazione).
    L’originario valore interrogativo di ‘quia’ potrebbe spiegare perchè il suo uso è prevalente nelle causali, ma limitato nelle dichiarative, riservate a ‘quod’.
25
Q

le principali congiunzioni subordinanti: ‘cum’, ‘quoniam’:

A
  • ‘cum’ < ‘quom’: dal suo valore temporale (‘nel momento che’, ‘quando’) si è sviluppato il valore causale (‘dal momento che’ ‘poichè) e il valore concessivo-avversativo quando sovraordinata e subordinata indicano azioni in antitesi.

Il congiuntivo si stabilizzerà in epoca classica per distinguere tali valori da quello temporale, caratterizzato dall’indicativo.

  • ‘quoniam’: eredita il valore causale di ‘cum’ il composto ‘quoniam’<’quom-iam), benchè rimangano tracce del valore temporale nel latino arcaico.
26
Q

le principali congiunzioni subordinanti: ‘quin’, ‘quominis’:

A
  • ‘quin’ è di origine interrogativa, composto da ‘quī’ ablativo in tema -i- e dalla particella interrogativa -nĕ, poi apocopata.
    Secondo l’ipotesi prevalente, questo valore interrogativo sarebbe alla base di molti costrutti ipotattici (ex. ‘nequeo contineri quin loquar’=non posso trattenermi dal parlare).
  • ‘quominus’: è un giustapposto di origine relativa ‘per cui non = quo minus’.
    Nel latino classico si diffonde a spese di ‘quin’, con verbi e locuzioni implicanti l’idea di impedimento.
27
Q

le principali congiunzioni subordinanti: ‘ut’:

A

‘ut’ è un originario avverbio di modo e ha 3 valori:
* ut interrogativo: ‘in che modo?’
* ut relativo: ‘al modo che’.
* ut indefinito: ‘in qualche modo’.
Ognuno di essi è alla base degli usi ipotattici di ut.
Più problematico è l’ut consecutivo col congiuntivo, che è forse di origine mista, volitiva e potenziale.

28
Q

le principali congiunzioni subordinanti: ‘nē’:

A

Siamo abituati dalla scuola a sentire ‘nē’ come la negazione di ‘ut’, ma in realtà nē è semplicemente la forma rafforzata della particella negativa ‘nĕ-‘ (conservatasi solo nei composti nĕ-que, ne-uter, nĕ-hemo>nemo…).

La lingua ha riservato ‘non’ alla negazione negativa oggettiva, nē alla negazione volitiva (cioè con l’imperativo e il congiuntivo).

29
Q

le principali congiunzioni subordinanti: ‘dum’:

A
  • ‘dum’: è una particella temporale di discussa etimologia; essa indica durata. In italiano è sopravvissuta in ‘dun(que)’.
30
Q

le principali congiunzioni subordinanti: ‘simul(atque)’:

A

Questa volta l’origine paratattica è trasparente: ‘simul’ (antico neutro dell’aggettivo della 2° classe a 2 uscite ‘similis’ ; ora il neutro è ‘simile’) è un avverbio indicante contemporaneità: ‘a un tempo’, ‘allo stesso tempo’.

E’ più comune il giustapposto ‘simulatque’, di origine coordinante: ‘uidit simul atque venit’ (vide insieme e venne) > ‘vidit simulatque venit’ > ‘simulatque venit vidit’ (appena venne, vide).

31
Q

le principali congiunzioni subordinanti: ‘modo’:

A

mŏdŏ < mŏdō (per abbreviamento giambico) è l’ablativo di ‘modus’ usato come avverbio: ‘limitatamente’, ‘soltanto’ (Ex. non modo, sed etiam…), con anche il valore condizionale di ‘purchè’.

Si trova al limite fra la paratassi e l’ipotassi: ‘poterimus autem, adnitamur modo’ = lo potremo, facciamo solo un sforzo/purchè facciamo uno sforzo.

32
Q

le principali congiunzioni subordinanti: ‘licet’:

A

Se ‘modo’ è di origine nominale, ‘licet’ è di origine verbale, nè ha mai perso il suo carattere di verbo.
Dal fatto si trovarsi paratatticamente a un congiuntivo concessivo (ex. ‘habeas, licet’ = abbila, è lecito) gli viene associato il valore di congiunzione concessiva (anche a costo che…).

33
Q

le principali congiunzioni subordinanti: ‘si’, ‘ni’, ‘nisi’, ‘quasi’:

A
  • ‘si’: si<sei è una particella di origine pronominale; il suo significato ‘così’ è poi passato al composto ‘sic’ (sei-ce).
    ‘tuam rem tu ages, si sapis’ (Plaut.) = ti farai gli affari tuoi, così sei saggio. Sembra questo il punto di partenza per lo sviluppo del valore ipotetico e ipotattico di ‘se’.
  • ‘ni’<ne-i. è composto quindi dalla negazione ‘nĕ-‘ e dalla particella epidittica/espositiva -i. E’ dunque una negazione rafforzata, presente ad esempio in ‘quid-ni?’ (perchè no?) e in ìni-mirum (non (è) strano).
  • ‘nisi < ne-sei: la negazione premessa e conglobata a ‘si’ nega l’ipotesi in blocco, mentre in ‘si non’, in quanto posposta e isolata, può negare un singolo elemento dell’ipotesi.
  • ‘quasi’: deriva da < quam-sei. Ha valore comparativo-ipotetico (‘come se’).
34
Q

sul periodo ipotetico:

A

La denominazione ‘periodo ipotetico della realtà’ è ambigua, poichè non può applicarsi nè alla protasi, che è per sua natura eventuale, nè all’apodosi, la cui realizzazione dipende dalla protasi.
Motivo per cui è più corretto chiamarlo ‘periodo ipotetico dell’oggettività’ (1° tipo ; negazione: non) a cui affiancare il ‘periodo ipotetico della soggettività (della possibilità=2° tipo ; dell’irrealtà=3° tipo ; negazione: ‘ne’).

Tuttavia, anche questa sistemazione è criticata poichè opera con categorie non linguistiche.
Si propone quindi la denominazione basata sulla marcatezza:

Nel periodo ipotetico latino l’elemento non marcato sarebbe l’indicativo (1° tipo) e l’elemento marcato (fornito di un valore aggiunto) il congiuntivo (2 e 3° tipo): a sua volta il 3° tipo, che ha generalmente in comune col 2° tipo il modo e l’aspetto (congiuntivo e infectum), ha in più del 2° il valore preteritale/passato del piuccheperfetto (si fuisset) e quindi si presenterebbe come elemento marcato di fronte al 2° tipo.

1° tipo (non marcato) - 2° tipo (marcato con il 3° rispetto al 1°) - 3° tipo (marcato rispetto al 2°).

35
Q

sulla natura dei verbi irregolari:

A

EO:
Anche eo, come sum, presenta un’alternanza vocalica radicale indoeuropea e/zero: ei-/ĭ-.
Il latino ha esteso ovunque il grado pieno ei- tranne che nel supino ‘ĭtum’.
Tuttavia all’interno del grado pieno ‘ei-‘ si è estesa un’alternanza secondaria tutta latina, e-/ī- = poichè davanti a una vocale ‘i’ cadeva, mentre prima di una consonante o semivocale il dittongo ‘ei’ si chiudeva in ī.
ex.
ĭtum (grado 0)
ei-o > eo (grado pieno ; ‘i’ cade perchè davanti a vocale)
ei-s>īs (grado pieno ; alternanza secondaria perchè ‘i’ prima di consonante)
ei-t>ĭt
ei-mos>īmus
ei-o-nti>eunt.

La radice ei-/ĭ- era imperfettiva, come quella di sum e di fero, e quindi non comportava perfectum.
ei-uĭ > īuī (trasformazione del dittongo -ei- in i lunga davanti a semivocale)> iī (sincope della u) (perfetto attuale di ‘eo’) è di formazione recente (Livio, quindi dopo il periodo classico), probabilmente sul modello dei perfetti in -ui, comunque molto fragile (le due i tendevano a contrarsi).
In realtà il vero perfetto classico di eo è ‘ueni’ (verbo ‘venire’).

NEQUEO
il verbo ‘nequeo’ (non posso) deriva probabilmente dalla locuzione impersonale ‘neque it’ (non va).
Invece da nequeo, falsamente scomposto ne-queo, si è ricavato ‘queo’ (posso).

VOLO:
In ‘volo’ il timbro della vocale (vol, vel, vul) dipende dalla natura della ‘l’ seguente.
Se è l palatale (è prima a ‘i’ o ‘l’) resta ĕ ; se è l velare (è prima di ‘a’, ‘o’, ‘u’ o altra consonante) ĕ > ŏ > ŭ

Riguardo a ‘uolebam’ ‘uolens’ è incerto se la -o- sia dovuta alla l velare o all’influsso di ‘uolo’.

FERRE:
Il suppletivismo del tema del perfectum è dovuto al fatto che essendo ritenuta la radice indoeuropea ‘bher-‘ (da cui poi ‘ferro’) imperfettiva, si iniziò a usare la forma ‘tuli’, che era in realtà l’originario perfetto di ‘tollo’ (‘sollevare’), poi integrato nel paradigma di ‘fero’.

‘tollo’ ricevette in cambio il perfetto ‘sustuli’ (subs + tuli = portare dal basso verso l’alto).

Il verbo ‘fero’ era troppo irregolare e troppo generico (‘portare’, ‘sopportare’, ‘produrre’ etc.) per sopravvivere nella lingua parlata, motivo per cui le lingue romanze lo sostituirono con il verbo regolare ‘porto’.

EDO:
Dei cinque verbi anomali, ‘edo’ è stato il primo a essere normalizzato attraverso la progressiva scomparsa delle forme atematiche, che avevano inoltre lo svantaggio di confondersi con quelle di ‘sum’.
ed-se > esse > ĕdĕre

SUM:
la desinenza della prima persona singolare -m (sum) probabilmente deriva dalla radice indoeuropea -mi.

È caratterizzato poi dall’alternanza -e-/-zero della radice es- s-.

Il suppletivismo del perfetto (fui) è dovuto probabilmente a una radice (fu-) indoeuropea indicante il divenire.

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Q

differenze ne (subordinante, interrogativo, negativo)

A
  • nē: congiunzione subordinante (introduce volitive, finali)
  • nĕ: particella interrogativa (nĕ… an)&raquo_space; da cui nasce la congiunzione subordinante ‘qui-n’
  • nĕ: particella negativa (nĕ-hemo, nĕ-que)&raquo_space; da cui nasce ‘nē’ e ‘ni/nisi’