P5C1 Nozione e funzioni della pena Flashcards

1
Q

[1] Teorie e prassi sulle funzioni della pena

Che funzione ha pena? Discorso introduttivo

A

LA PENA COME RICHIAMO X VIOLAZIONE DEL PRECETTO PENALE
In via preliminare e sul piano generale della corrispondenza con i principi propri della legalità penale (art. 25 Cost. in combinato disposto con l’art. 27, co. 1 e 3, Cost.) si può affermare che la pena costituisce prima di tutto la sanzione giuridica tipica predisposta dall’ordinamento per la violazione di un precetto penale.
In questo primo significato la sanzione assume la funzione di “richiamo” ad un soggetto che ha violato i principi ordinatori del convivere civile.

LA PENA COME INFLIZIONE AL DESTINATARIO
In secondo luogo, la pena presenta un cogente carattere di afflittività nel senso di sofferenza che patisce il destinatario della sanzione comminata dalla legge penale.
Tale carattere primordiale della pena criminale si identifica infatti con quelle misure capaci di incidere sulla privazione o diminuzione di un bene individuale (vita, incolumità, libertà, rispettabilità, ma anche la proprietà). Il rischio consiste in una certa “eterogenesi dei fini”, nella misura in cui l’inflizione della sanzione contiene in sé forti componenti di esemplarità che strumentalizzano la misura applicabile al singolo, facendola divenire una sorta di monito per la collettività.
Si assiste spesso infatti ad un uso strumentale della pena per il raggiungimento di obiettivi di politica criminale, che sfugge ad una logica special-preventiva (riferita al singolo individuo da “rieducare”) e si dirige, viceversa, verso una finalità general-preventiva positiva.

PROBLEMATICA DELLA POENA NATURALIS
Tale pervertimento dei fini sottesi alla pena criminale si avverte, più di recente, anche nello scambio di funzioni tra misure cautelari e pena vera e propria, che avviene mediante l’anticipazione di quest’ultima attraverso l’adozione delle suddette misure che, anche mediante la gogna mediatica che sovente le accompagna, fanno patire al soggetto raggiunto dall’applicazione immediata di esse una sorta di poena naturalis, anticipatoria degli effetti propri della pena.

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Q

Teorie sulla funzione della pena

A

TEORIA RETRIBUTIVA
Negli anni si sono susseguite varie teorie della pena. La prima da menzionare è quella retributiva rientrante nel novero delle c.d. teorie assolute ed in grado di manifestarsi nella duplice accezione della retribuzione morale e giuridica. Secondo la retribuzione morale, l’applicazione della pena rappresenterebbe il naturale risultato della commissione di un illecito: la regola morale che ne deriva, per la quale al bene deve seguire il bene e all’azioni negative il male. Sulla base della retribuzione giuridica, invece, ad un fatto ingiusto deve seguire una reazione da parte dell’ordinamento uguale e contraria, e ciò non per esigenze etiche ma in quanto la sanzione rappresenterebbe il mezzo per riaffermare il comando violato e per ristabilire l’ordine sociale. Tale teoria, prima ancora della Costituzione, ha consacrato il principio di personalità della pena ponendo al centro l’autore della violazione. Tale concezione richiede anche il principio di proporzionalità, poiché una risposta sanzionatoria eccessiva rispetto alla condotta tenuta dall’agente non avrebbe l’effetto di riequilibrare il sistema ma creerebbe un evidente disparità di trattamento nei confronti del suo destinatario, risultando a sua volta illegittima nella parte eccedente.
L’unica finalità della pena, secondo questa teoria, deve essere allora una punizione che corrisponda esattamente al grado di colpevolezza dell’autore.

[DI SEGUITO: Una diversa impostazione è stata invece assunta dalle teorie preventive, fondate sull’idea dello scopo della pena.]

TEORIA DELLA PREVENZIONE GENERALE
La teoria della prevenzione generale in particolare si esprime nella duplice accezione della prevenzione generale negativa o positiva.
11. Secondo la teoria della prevenzione generale negativa, la previsione di una sanzione criminale avrebbe di per sé l’effetto di dissuadere i consociati dal compimento dell’illecito penale. Tale effetto sarebbe tanto più intenso quanto più severa e draconiana sia la sanzione (la pena cioè, per raggiungere il suo scopo intimidatorio, deve essere temibile).
12. La prevenzione generale può assumere tuttavia anche una funzione positiva, intendendo con essa la controspinta alla commissione dell’illecito che sia causata dalla funzione educatrice che la norma penale assume nei confronti dei consociati. Attribuendo rilievo a determinati valori sociali la norma penale riuscirebbe a orientare preventivamente il comportamento del cittadino inducendolo ad aderire spontaneamente alle regole in essa stabilite. Affinché possa realizzarsi un’effettiva funzione di orientamento culturale risulta quindi necessaria la sussistenza di una sostanziale similitudine tra la disapprovazione da parte del legislatore e della società.
13. Un’ulteriore connotazione di questa teoria è quella della c.d. prevenzione generale integratrice, secondo cui la pena avrebbe l’effetto, essenziale per garantire la stabilità sociale, di ripristinare la fiducia della collettività nel sistema istituzionale, senza mirare ad indirizzare preventivamente il comportamento del singolo consociato.

TEORIA DELLA PREVENZIONE SPECIALE
Pone invece l’accento sull’individuo strettamente inteso, la teoria della prevenzione speciale, secondo cui la pena, una volta eseguita, avrebbe l’effetto di eliminare il rischio che il soggetto possa nuovamente delinquere proprio per il timore di subire una nuova sanzione. La teoria si lega dunque anche al concetto di rieducazione, contenendo un evidente fondamento etico che coincide con l’interesse che l’ordinamento nutre rispetto al destino del condannato, in considerazione di quello che sarà il suo futuro reinserimento nella società .

TEORIA DELLA NEUTRALIZZAZIONE
Peraltro, alla luce dei più recenti interventi nel sistema sanzionatorio, affiora insistente la prospettiva odierna di una finalità di pura neutralizzazione del delinquente pericoloso per la prioritaria tutela della sicurezza della collettività. Logica di neutralizzazione che nega qualsiasi strada di recupero e risocializzazione al reo dato che il suo reinserimento sociale viene sostituito con un’inflessibile espulsione definitiva dalla società perché non nuoccia più ad essa in futuro. Lo scopo della neutralizzazione allora è esclusivamente quello di adottare misure di “segregazione” dell’individuo non ritenuto in alcun modo recuperabile per la società di appartenenza.

CONCLUSIONE
Alla luce di quanto esposto sembra dunque evidente come alla pena non possa corrispondere una sola funzione, né che uno degli scopi evidenziati sia prevalente rispetto agli altri: l’incompletezza di ogni singola teoria tesa a rintracciare la funzione propria della pena, comporta la necessità di affermare il carattere polifunzionale della pena, destinato a variare a seconda delle fasi che vengono in riferimento.
È proprio in virtù di tale approccio “sincretistico” che si sottolinea come la funzione di prevenzione generale assume ruolo determinante solo al momento della minaccia della pena, ove a prevalere senza dubbio è l’obiettivo di deterrenza e di orientamento sociale. Nella fase di esecuzione sarebbe invece la rieducazione del condannato a porsi come obiettivo centrale, anche se non possono considerarsi del tutto irrilevanti le istanze retributive e di prevenzione generale positiva. Mentre, da ultimo, avanza in modo dirompente sia nella fase della minaccia della pena che in sede esecutiva un’inedita versione, sempre più radicalizzata, di esclusiva “neutralizzazione” di un nuovo tipo di delinquente irriducibile, rispetto al quale la funzione di richiamo della sanzione penale non sortisce alcun effetto e che reclama la pura e semplice “ghettizzazione” nel trattamento del reo, la sua forzata ed irreversibile eliminazione dal tessuto sociale, che
si coniuga ad un avanzato, neo-autoritario ed escludente “diritto penale del nemico”.

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Q

[2] I fondamenti costituzionali della pena

Fondamenti costituzionali della pena

A

La pena deve rispettare una serie di principi stabiliti dalla Costituzione.

ART. 25 - PRINCIPIO DI LEGALITA’
In primo luogo, l’art. 25 Cost. consacra il principio di legalità disponendo che i suoi corollari, come la riserva di legge, la tassatività e l’irretroattività, siano validi non soltanto per i reati e le misure di sicurezza, ma anche per le pene in senso stretto (in conformità con quanto stabilito dall’art. 1 c.p.).

ART. 27 - FUNZ. RIEDUCATRICE DELLA PENA
Maggior evidenza assume invece l’art. 27 Cost., secondo il quale la pena non deve consistere in trattamenti disumani o degradanti, ma tendere alla rieducazione del condannato. La Costituzione sembrerebbe dunque sposare la teoria della prevenzione speciale della pena, la quale può essere coniugata nel concetto di risocializzazione e in quello della emenda morale.
L’emenda morale:
Nell’accezione di prevenzione speciale che coincide con la emenda morale del soggetto, alla pena aspetterebbe l’ambizioso compito di trasformare nella sua interiorità l’uomo che si è macchiato di un crimine, ottenendo così – per la via impervia di un sincero ravvedimento e dell’acquisizione di una nuova sensibilità etica – che questi si decida ad astenersi da ogni altro delitto, proprio per effetto del totale mutamento della propria scala di valori.
La risocializzazione del soggetto:
Una più realistica accezione di prevenzione speciale è quella – più moderna – di risocializzazione del soggetto. In tale ordine di idee, la pena non serve certo a imporre delle convinzioni morali, bensì a proporre un nuovo modo di relazionarsi con gli altri consociati che sia più rispettoso dei beni giuridici; dunque, il compito dello Stato non è quello di ingerirsi nella personalità dell’autore di un delitto, ma quello semplicemente di fare il possibile per evitare che egli commetta altri crimini.

QUEST. DI COSTITUZIONALITÀ DELLA NEUTRALIZZAZIONE SOCIALE DEL REO
Di rieducazione non può comunque discutersi qualora il fatto sia così grave e la pericolosità del soggetto così elevata da considerare quale unica soluzione la neutralizzazione sociale del reo, che ha l’obiettivo di impedire, con qualunque mezzo, che il soggetto compia ulteriori reati. In tal modo, però, la risocializzazione viene di fatto sostituita da misure irreversibili che certamente prescindono da un recupero sociale del condannato.
Ci si è chiesto, in proposito, se le pene previste in questi casi – in cui la finalità rieducativa è posta in secondo piano (se non addirittura accantonata) – possano essere considerate costituzionalmente illegittime. La Corte costituzionale, con sentenza n. 264/1974, ha dichiarato la legittimità costituzionale dell’ergastolo (art. 22 c.p.), la quale deriva dalla sua capacità di assolvere funzioni diverse e altrettanto importanti, tra cui figurano in primo luogo gli obiettivi di dissuasione collettiva dal compimento degli illeciti e di tutela degli altri consociati, nei confronti di individui che abbiano dimostrato, per i crimini commessi, un elevato grado di pericolosità.
La stessa Corte ha evidenziato come l’illegittimità non è desumibile neanche dall’obbligo per l’ergastolano di svolgere attività lavorativa, alla stregua di un trattamento disumano e degradante, posto che il lavoro rappresenterebbe non soltanto un dovere, ma anche un diritto sociale attraverso cui risulta possibile migliorare le condizioni psicofisiche del condannato.
In sostanza la dissuasione, la prevenzione e la difesa sociale sono alla radice della previsione della pena dell’ergastolo e tale sanzione, per la funzione cui adempie e per i limiti e le modalità attuali della sua applicazione, non può ritenersi in misura contraria al senso di umanità. Inoltre, l’ergastolo non è neppure ostativo al reinserimento del condannato nella società in quanto, a seguito all’entrata in vigore della l. n. 1634/1962 e della l. n. 354/1975, ha cessato di costituire in concreto una pena perpetua.
Le modalità di esecuzione dell’ergastolo sono oggi sostanzialmente simili a quelle previste per le pene detentive (ad es. è applicabile la liberazione condizionale, la riduzione di pena prevista per la liberazione anticipata, il regime di semilibertà). Oggi, quindi, anche tramite l’ergastolo è possibile conseguire l’obiettivo del reinserimento del reo nel consorzio civile, disattendendo in tal modo qualsiasi ulteriore dubbio in merito alla sua conformità a Costituzione.

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Q

[3] Il prob(anche cost)del sist del doppio binario e il suo superamento

Il sistema del doppio binario: problematicità e superamento

A

IN GENERALE
È indubbio che uno dei maggiori profili di ambiguità presenti nel codice Rocco del 1930 sia costituito dal sistema del c.d. «doppio binario», ovvero la possibilità di infliggere sia la pena che la misura di sicurezza come sanzioni tipiche.

PROBLEMATICITÀ
In questa duplicità di sanzioni, ciascuna avente almeno in teoria una diversa funzione (retributiva la pena e special preventiva la misura di sicurezza), si rinviene il chiaro segno del compromesso culturale tra le posizioni dottrinali allora esistenti. All’epoca dell’entrata in vigore del codice, tale sistema dualistico fu accolto con favore dalla dottrina, che lo ritenne originale ed innovativo. Successivamente, tuttavia, sono emerse le incongruenze insite in un simile compromesso.
[pov giuridico]
Da un punto di vista strettamente giuridico, si è evidenziato che la pretesa di attribuire funzioni diverse alla pena e alla misura di sicurezza, mal si concilia con il dato normativo della affinità sussistente tra i presupposti applicativi delle due sanzioni. Invero, se sotto il profilo teorico il presupposto della pena (la colpevolezza) è diverso dal presupposto della misura di sicurezza (la pericolosità sociale), **sotto il profilo disciplinare-pratico tale diversità è appannata dal fatto che la pericolosità sociale si desume dalle stesse circostanze di cui il giudice deve tener conto nella commisurazione della pena. Ciò, in qualche misura, alimenta dei dubbi sulla validità della giustificazione teorica della duplicità delle sanzioni. **
[problematicità aggravata dal 27 Cost.]
Si tratta di aporie di sistema che si sono ulteriormente acuite con l’entrata in vigore della Costituzione e con la previsione cardine in questo settore dell’art. 27, co. 3, Cost., che detta precisi canoni in ordine alla rieducazione del condannato. Finalità, questa, che evidentemente confligge con un aggravio dell’inflizione della duplice sanzione che presenti identici carichi afflittivi, per giunta omogenei.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA DEL DOPPIO BINARIO
Si è quindi evidenziato che il sistema del doppio binario risponde piuttosto ad una logica deterrente, senza alcun aggancio a finalità terapeutico-rieducative. Ciò non solo fu affermato dallo stesso Rocco all’indomani dell’emanazione del codice, ma è dimostrato, sul piano formale, dal fatto che le misure di sicurezza vengono denominate espressamente come sanzioni «amministrative», facendo chiaramente intendere una loro posizione di complementarità rispetto alle pene, vere ed autentiche sanzioni criminali, di cui dovevano costituire le misure integrative, per pura finalità di deterrenza della risposta punitiva.

PARERE DELLA CONSULTA SUL DOPPIO BINARIO
In tale ottica, l’applicazione congiunta di pene criminali e sanzioni punitivo-amministrative non è considerata incostituzionale dalla Consulta, essendo distinta la finalità di ciascuna misura (penale ed amministrativa).

CRITICA ALLA CONSULTA
Tale impostazione è tradita dall’artificiosità formale sul piano sostanziale, dato l’identico carico di afflittività riconducibile, rispettivamente, alla pena ed alla misura di sicurezza detentiva.

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Q

[4] La nozione di pena criminale rispetto alle altre “sanzioni punitive”

Differenze e analogie tra sanzione penale e altre sanzioni giuridiche

A

La sanzione penale si inserisce nel più ampio genus delle sanzioni giuridiche, rispetto alle quali presenta sia tratti in comune che aspetti differenziali.

TRATTI COMUNI
In primo luogo, al pari di tutte le sanzioni giuridiche di natura extrapenale, essa si caratterizza per la valorizzazione di due momenti, cui corrispondono diverse funzioni proprie del diritto penale: (1) quello in cui la sanzione viene minacciata e (2) quello in cui essa viene eseguita.

TRATTI DISTINTIVI
Quanto ai tratti distintivi, a differenza delle altre sanzioni giuridiche, la sanzione penale mira a garantire l’osservanza della norma, consentendo, ove possibile, il riadattamento sociale del reo, mentre ad essa risulta estraneo sia l’obiettivo di ristoro del terzo danneggiato dalla violazione, sia qualsiasi funzione di riparazione del danno o reintegratrice, propria, invece, di altre sanzioni civilistiche.

Può quindi concludersi affermando che la pena rappresenti una sanzione giuridica, di tipo punitivo, con cui l’autorità giudiziaria, accertata la responsabilità penale del singolo, limita i suoi diritti in ragione della violazione di una norma comando, che può a sua volta sostanziarsi nella predisposizione di un obbligo di agire (per i reati omissivi) o di astenersi da un dato comportamento illecito (nel caso in cui si configuri un reato commissivo).

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Q

[5] I rapporti tra la pena e le altre sanzioni punitive

Il ne bis in idem processuale: legislazione e giurisprudenza

A

QUADRO INTRODUTTIVO
Accanto alla pena criminale, che si contraddistingue per il suo carattere strettamente afflittivo e personale, all’interno del concetto di pena si collocano oggi anche le misure di sicurezza, che creano così un sistema a doppio binario che affianca al concetto di colpevolezza quello di pericolosità sociale. Sono state, inoltre, introdotte sanzioni punitive che si contrappongono alle c.d. sanzioni premiali, aventi invece funzione di incentivare il soggetto all’osservanza del precetto.

SANZIONI PUNITIVE EXTRAPENALI
Le sanzioni punitive possono generalmente appartenere ad altri settori dell’ordinamento, o possono rappresentare sanzioni che, pur esorbitando dalla cornice codicistica di riferimento, si considerino sostanzialmente penali. Tra queste rientrano le sanzioni previste a carico dell’ente, ai sensi del D.lgs. n. 231/2001 oppure le** sanzioni amministrative tributarie** e le sanzioni previste dal TUF in tema di abusi di mercato.

PROBLEMA DI COMPATIBILITÀ TRA SANZ. PUN. PENALI ED EXTRAPENALI

Le maggiori difficoltà hanno origine dalla non sempre perfetta corrispondenza tra la veste formale loro attribuita e l’effettiva natura assunta, con ripercussioni sul piano processuale in virtù del principio del ne bis in idem: laddove, infatti, la sanzione formalmente “amministrativa” sia considerata sostanzialmente penale, questa non potrebbe cumularsi con altre pene.

CODICE DI PROCEDURA PENALE
L’art. 649 c.p.p. prevede infatti che «l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado e per le circostanze».

UE, CEDU E CORTE EDU
Similmente, l’art. 50 della Carta di Nizza e l’art. 4, prot. n. 7 della CEDU. In particolare, la Corte EDU negli ultimi anni ha interpretato in senso ampio tali norme, riconoscendo in più occasioni il carattere sostanzialmente penale delle sanzioni che gli ordinamenti interni tradizionalmente qualificano come amministrative. In particolare, al fine di individuare la concreta natura da attribuire ad una data sanzione e al relativo procedimento, la giurisprudenza europea si è servita dei criteri previsti dalla nota sentenza Engel (Corte EDU, Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976), secondo cui oltre alla qualificazione formale ad essa attribuiti dal diritto interno, occorre valutare da un lato la natura dell’infrazione, dall’altro la natura e la severità della sanzione stessa (la sanzione in astratto applicabile, non in concreto applicata).

CASSAZIONE
La Corte di Cassazione invece è solita interpretare restrittivamente la preclusione disposta dall’art. 649 c.p.p., considerandola applicabile solo ai casi in cui dopo l’instaurazione di un processo penale l’imputato «sia stato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuto irrevocabile». In altri termini, solo l’instaurazione di un procedimento penale da cui derivi l’applicazione di una pena criminale consentirebbe l’operatività dell’art. 649 c.p.p., mentre lo stesso non potrebbe estendersi ai casi in cui la sanzione si sostanzi in un provvedimento amministrativo.

CORTE EDU vs ITALIA: CASO VARVARA
La distanza tra le posizioni della giurisprudenza Europea rispetto a quella italiana è stata confermata in primo luogo in tema di confisca urbanistica; infatti, la Corte EDU ha sostenuto, nella nota sentenza Varvara c. Italia, che questa avrebbe natura penale e che dovrebbe quindi considerarsi illegittima nel caso in cui fosse comminata nonostante l’avvenuta estinzione del reato.

CORTE EDU vs ITALIA: CASO GRANDE STEVENS
Nella sentenza Grande Stevens e altri c. Italia la Corte EDU ha ripreso il problema del «doppio binario sanzionatorio» italiano, affermando la natura «penale» delle sanzioni irrogate dalla Consob in tema di abusi di mercato (ex art. 187 ter e ss. TUF) e l’illegittimità dell’applicazione congiunta di esse con la sanzione penale detentiva e pecuniaria prevista dall’art. 185 TUF (per violazione dell’art. 4, prot. 7, CEDU), condannando l’Italia per non aver interrotto il procedimento penale una volta divenuto definitivo il processo amministrativo per l’illecito di cui all’art. 187 ter TUF (che invece, testualmente, fa salve le eventuali ulteriori sanzioni penali).

CORTE EDU vs ITALIA: SANZIONI TRIBUTARIE SOSTANZ. PENALI
Il problema è identico per le sanzioni amministrative tributarie: a fronte della posizione della Corte di Strasburgo di qualificare taluni sanzioni tributarie come afflittive e sostanzialmente penali, per il consolidato orientamento della Cassazione risulta certa la natura amministrativa dell’illecito previsto per l’omissione di versamenti dovuti alle scadenze prescritte (art. 13 d.lgs. n 471/1997), non ponendosi tal modo alcun problema riguardo la violazione del ne bis in idem (in particolare, rispetto al reato di omesso versamento delle ritenute – art. 10 bis d.lgs. n. 74/2000).
La giurisprudenza nazionale sembra quindi sorda alle istanze della Corte di Strasburgo, e anzi riafferma con decisione la propria interpretazione del principio del ne bis in idem, come espresso dall’art. 649 c.p.p.: al fine di applicare la norma in esame è necessaria la sussistenza della comune riferibilità di più procedimenti, riguardanti il medesimo fatto, all’autorità giudiziaria penale (per cui è esclusa l’applicabilità del principio del ne bis in idem se le sanzioni sono irrogate l’una dal giudice penale, l’altra da un’autorità amministrativa). La ricostruzione operata dal giudice nazionale si palesa però carente, poiché si basa solo su di un criterio formale, quale quello emergente dalla norma codicistica italiana, contrariamente a quanto evidenziato dalla Corte EDU, secondo cui vanno verificati anche profili di ordine sostanziale.

LA CORTE COSTITUZIONALE SE NE LAVA LE MANI
La stessa Corte costituzionale, del resto, investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., quale norma interposta alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 4, prot. 7, CEDU) ha ritenuto di non potersi pronunciare sul tema, formulando una pronuncia di inammissibilità, sia per ragioni procedurali, attinenti all’ordinanza di rinvio, sia, anche e soprattutto, in quanto viene riconosciuto al legislatore il compito di stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni che il sistema del «doppio binario» (amministrativo e penale) genera tra l’ordinamento nazionale e la CEDU (Corte cost. n. 102/2016).

LA ECJ CONFERMA LA CASSAZIONE…
La questione è stata inoltre sollevata più volte dalla Corte di cassazione alla ECJ, sia relativamente a illeciti tributari che finanziari (Cass. civ., nn. 20675, 23232 e 23233 del 2016). In tutti questi casi, la sanzione amministrativa era stata impugnata lamentando la violazione del ne bis in idem (non solo alla luce dei principi espressi dalla CEDU, come interpretata dalla Corte EDU, ma anche in virtù della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – già Carta di Nizza – che stabilisce che «Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge» – art. 50, CDFUE). La Corte di Giustizia si è pronunciata sui tre rinvii contemporaneamente (20 marzo 2018, Cause C-524/15, C-537/16, C-596/16 e C-597/16), affrontando nel dettaglio la questione. In sintesi, le sentenze, salve alcune riserve rimesse ai Giudici del rinvio, hanno per lo più confermato la tenuta del sistema di duplicazione di procedimenti e sanzioni previsto dalla legge italiana, benché si sia al contempo confermata la natura penale delle sanzioni in questione.

…MA EVIDENZIA IL BIS PENALE DELLE SANZIONI AMM. ITA.
In tutte e tre le pronunce, in realtà, all’atto di analizzare il sistema di duplicazione per illeciti fiscali e quello per illeciti finanziari, la Grande Sezione ha raggiunto alcuni punti fermi:
i) per quanto riguarda le sanzioni amministrative in esame, si tratta di misure aventi natura penale, perseguendo esse una chiara finalità repressiva e mostrando un elevato grado di severità, di qui la sussistenza di un “bis penale”;
ii) i fatti illeciti cui seguono sanzioni penali ed amministrative mostrano evidenti tratti di identità fra loro, di qui la sussistenza dell’”idem factum”;
iii) siffatto cumulo di sanzioni e procedimenti costituisce quindi una limitazione al diritto fondamentale garantito dall’art. 50 della Carta. Tuttavia, la Corte evidenzia che l’art. 52 della Carta di Nizza ammette eventuali limitazioni ai diritti e alle libertà riconosciuti dalla Carta, a patto che: a) siano previste dalla legge; b) rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e libertà; c) rispettino il principio di proporzionalità, d) siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
La verifica di tali requisiti in ordine al regime di doppia sanzionabilità è rimessa al giudice nazionale, il quale potrà, se li ritenesse assenti, ravvisare la contrarietà del doppio binario all’art. 50 della Carta.

REVIREMENT RECENTE DELL’OPINIONE DELLA CORTE EDU
La Corte Edu, peraltro, ritornando più recentemente sul tema del «doppio binario» sanzionatorio, amministrativo e penale, ha in parte operato un revirement della propria giurisprudenza (A. e B. v. Norway del 15 novermbre 2016): viene considerata infatti non sussistente una violazione della CEDU se tra i due procedimenti, amministrativo e penale, intercorre una stretta connessione sostanziale e temporale, tale che le due sanzioni, comminate per il medesimo comportamento, si configurano quale parte di una reazione sanzionatoria unitaria, apprestata dall’ordinamento.

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