P6C1 Le misure di sicurezza Flashcards

1
Q

[1] Nozione + [2] Accertamento/Meccanismo delle presunzioni

Le misure di sicurezza in generale

A

COME SI QUALIFICANO E RATIO
Le misure di sicurezza sono state introdotte attraverso il c.d. sistema del doppio binario e sono espressamente qualificate come sanzioni amministrative.
Il loro obiettivo teorico originario era quello di tentare di bloccare, con interventi preventivi, la pericolosità dell’autore, perché annunciatrice di conseguenze temute dall’ordinamento
(in tal modo si evidenzia la logica autoritaria sottesa a tale istituto: il reo è trattato alla stregua di un soggetto psico-patologicamente deviato da curare).

GIUDIZIO DI PERICOLOSITÀ
Il giudizio di pericolosità si differenzia dal giudizio di responsabilità, in quanto il primo è di tipo prognostico (l’accertamento si riferisce a determinati elementi che assumono valore indiziante); il secondo è di tipo diagnostico (basandosi interamente sull’accertamento e sulla valutazione di dati noti o conoscibili).

L’art. 203 c.p. dispone che è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, che si sia resa responsabile di fatti di reato o quasi reato, quando è probabile che commetta nuovi reati.

La legge, peraltro, stabilisce che la qualità di persona socialmente pericolosa si desume sempre dai fattori contenuti nell’art. 133 c.p. (art. 203, co. 2), creando un immediato raccordo tra pericolosità sociale e capacità a delinquere, nonostante sul versante della modalità dell’accertamento (uno di tipo prognostico 231 e l’altro diagnostico) le due nozioni sono in apparente distonia.

LA PRESUNZIONE ASSOLUTA DI PERICOLOSITÀ
Nel suo aspetto originario, l’art. 204 co. 2, c.p. affermava che in presenza di determinati presupposti relativi alla gravità del fatto commesso e/o particolari condizioni psicologiche dell’agente, era la stessa legge ad attribuire la qualità di persona socialmente pericolosa, con una presunzione che non ammetteva prova contraria (c.d. presunzione juris et de jure, ovvero assoluta).

CORTE COSTITUZIONALE CONTRO LA PRESUNZIONE
Questa presunzione fu censurata dalla Corte costituzionale: la norma in questione si poneva in contrasto con l’art. 3 Cost., dato che le presunzioni di pericolosità utilizzavano parametri normativi astratti (e quindi suscettibili di differenti valutazioni in concreto) per equiparare situazioni soggettive diverse, in tal modo portando a ritenere pericoloso anche chi pericoloso in concreto non è.

LEGGE GOZZINI SULL’ACCERTAMENTO IN CONCRETO
Così, con la legge Gozzini (n. 633 del 1986) si è abrogato il sistema delle presunzioni di cui all’art. 204 c.p., passando ad un sistema imperniato sull’accertamento in concreto.

Peraltro, l’abolizione delle presunzioni di pericolosità ha messo in luce la mancanza di strumenti idonei a formulare in sede giudiziale la prognosi di pericolosità.

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2
Q

[3] Principi

Principi nelle misure di sicurezza

A

Le misure di sicurezza rispondono anch’esse al principio di legalità e al principio di irretroattività, perché incidono sulla libertà del singolo.

SCOPO DELLE MISURE DI SICUREZZA
Ciononostante, pur comportando una diminuzione dei diritti e delle libertà della persona, si tratta di un provvedimento diretto ad uno scopo diverso da quello punitivo: uno scopo special-preventivo, volto alla rieducazione e alla risocializzazione.

PR. DI LEGALITÀ E MIS. DI SICUREZZA
In base al principio di legalità, la legge deve non solo determinare il tipo di misura applicabile, ma anche elencare tassativamente i casi in cui il giudice può adottare la misura di sicurezza.

PR. DI TASSATIVITÀ E MIS. DI SICUREZZA
Il principio di tassatività in questo campo è da ritenersi più elastico, sia perché le fattispecie di pericolosità sono determinabili con minore precisione rispetto alle fattispecie incriminatrici, sia perché le misure di sicurezza hanno una durata indeterminata a priori, in quanto la loro applicazione è legata al perdurare della prognosi di pericolosità sociale e può cessare solo al venir meno del pericolo di ricaduta del reato.

PR. DI IRRETROATTIVITÀ E MIS. DI SICUREZZA
Quanto alla retroattività (ricavabile per implicito dall’art. 25 Cost.), la dottrina prevalente ammette la retroattività sfavorevole, ovvero che possa applicarsi una nuova misura di sicurezza ad un reato per cui originariamente non era prevista alcuna misura o una misura diversa. Ciò in quanto le misure di sicurezza non puniscono un reato commesso, ma tendono a porre rimedio ad uno stato di pericolosità attuale.
Tale conclusione è positivamente confermata dalla comparazione dell’art. 25 co. 2 e co. 3 Cost. (laddove al comma 3, relativo alle misure di sicurezza, nulla si dice sul tempo della loro entrata in vigore), e dalla lettura testuale dell’art. 200 c.p. (secondo cui «1. Le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione. 2. Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo della esecuzione»).

QUANDO NON UTILIZZARE MISURE DI SICUREZZA
Bisogna precisare che la misura di sicurezza non ha luogo quando la finalità special-preventiva può essere perseguita più efficacemente con misure extra penali o penali in senso stretto, meno limitative della libertà del soggetto.

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3
Q

[4] Presupposti

Presupposti delle misure di sicurezza

A

Ai sensi dell’art. 202 c.p., l’applicazione delle misure di sicurezza necessita di 2 presupposti:

  • PRESUPPOSTO OGGETTIVO → costituito dalla commissione di un fatto previsto dalla legge come reato (a prescindere dall’imputabilità del reo).
    Tale requisito oggettivo, in casi particolari tassativamente individuati dalla legge, non è richiesto (art. 202, co. 2 c.p.): si tratta dei c.d. quasi reati (art. 49, co. 4 c.p. – reati impossibili – e art. 115 c.p. – accordo criminoso non eseguito o di istigazione non accolta).
  • PRESUPPOSTO SOGGETTIVO → è rappresentato dalla pericolosità sociale del soggetto, consistente nella probabilità che egli commetta nuovi fatti previsti dalla legge come reato (art. 203 c.p.).
    I criteri indicati dal legislatore al fine del giudizio di pericolosità sono gli stessi previsti per la determinazione della pena (art. 133 c.p.) .
    Tra i vari metodi di prognosi criminale (tra cui quello intuitivo, quello clinico e quello scientifico) il più diffuso nella prassi giudiziaria è quello intuitivo, che si fonda sul comune modo di pensare e sull’esperienza professionale di vita maturata dal giudice.
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4
Q

[5] Forme qualificate di pericolosità sociale

Quali sono le forme qualificate di pericolosità sociale

A

Nonostante il sistema delle presunzioni sia stato abolito, lasciando il posto al giudizio di pericolosità in concreto, ancora oggi sussistono delle figure intermedie tra il meccanismo della presunzione legale e quello dell’accertamento in concreto: le c.d. forme di pericolosità qualificata.

Il codice prevede 3 tipi legali di delinquenti pericolosi: i) il delinquente abituale;
ii) il delinquente professionale;
iii) il delinquente per tendenza.

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5
Q

[6] Il delinquente abituale

Forme qualificate di pericolosità sociale: Il delinquente abituale

A

L’abitualità è la condizione personale di chi, con la sua persistente attività criminosa, dimostra di avere acquisito una notevole attitudine a commettere reati.
Il codice distingue 2 forme di abitualità:

  • presunta dalla legge → nel caso in cui ricorrono i presupposti dell’art. 102 c.p.:
    i) è stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a 5 anni per 3 delitti non colposi, della stessa indole, commessi non contestualmente entro 10 anni
    ii) riporta un’altra condanna per un delitto non colposo, della stessa indole e commesso entro i 10 anni successivi all’ultimo dei delitti precedenti.
  • valutata e applicata dal giudice → quando, in presenza dei presupposti indicati dall’art. 103 c.p. (due delitti non colposi + nuovo delitto non colposo) e 104 c.p. (arresto per 3 contravvenzioni della stessa indole + nuova contravvenzione della stessa indole), il giudice ritenga che il colpevole** sia dedito al delitto/reato**, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate dall’art. 133 c.p.

NATURA DELLA DICHIARAZIONE DI ABITUALITÀ
Nel primo caso la dichiarazione di abitualità ha natura dichiarativa e nel secondo ha natura costitutiva.

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6
Q

[7] Il delinquente professionale

Forme qualificate di pericolosità sociale: Il delinquente professionale

A

La professionalità nel reato è una tipologia particolare di delinquenza abituale aggravata (è infatti un soggetto «che si trova nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità»).

Essa è connotata dalla circostanza che il delinquente professionale «vive abitualmente, anche se in parte, con i proventi dei reati» (art. 105 c.p.).

Per la dichiarazione di professionalità (sentenza dichiarativa) si discute se occorre la commissione di un altro reato oltre quelli richiesti per la dichiarazione di abitualità, ma è pacifico che non sia necessario che il reo sia già stato dichiarato delinquente abituale.

Non basta, inoltre, che i vari reati siano commessi per lo scopo di lucro ma occorre che forniscano una fonte economica stabile, per quanto non esclusiva di mantenimento.

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7
Q

[8] Il delinquente per tendenza

Forme qualificate di pericolosità sociale: Il delinquente per tendenza

A

La tendenza a delinquere è attribuita a chi, pur non essendo né recidivo, né delinquente abituale o professionale, commette un delitto non colposo contro la vita o contro l’incolumità personale, che riveli una speciale inclinazione al delitto che trovi causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole (a meno che questa inclinazione non derivi da un vizio totale o parziale di mente) (art. 108 c.p.)

COME AVVIENE IL GIUDIZIO DELLA TENDENZA?
Il giudizio sulla personalità del reo e sulla natura e modalità dell’azione deve non solo accertare la speciale inclinazione al delitto, ma anche rendere palese che il fondamento e l’origine di tale inclinazione al delitto siano nell’indole particolarmente malvagia, ossia in una predisposizione naturale, determinante forti impulsi delittuosi, contro i quali la deficienza morale dell’agente non consente freni efficaci.

La valutazione della tendenza a delinquere implica una valutazione in fatto che, ove adeguatamente motivata, non è sindacabile in Cassazione.

CONDIZIONI PER LA TENDENZA A DELINQUERE
Per potersi parlare di tendenza a delinquere devono sussistere alcune condizioni:
- il soggetto agente deve commettere un delitto doloso o preterintenzionale, che lede o mette in pericolo la vita o l’incolumità personale;
- il soggetto agente deve dimostrare una particolare propensione alla commissione di reati, dovuta alla sua personalità perversa e priva di moralità.

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8
Q

Effetti conseguenti alle forme qualificate di pericolosità sociale

A

EFFETTI DELLE FORME QUALIFICATE DI PERSONALITÀ SOCIALE
Le conseguenze derivanti dalle dichiarazioni di abitualità, professionalità, nonché tendenza a delinquere, si distinguono tra:

  • EFFETTO PRINCIPALE, cioè l’applicazione della misura di sicurezza
  • EFFETTI SECONDARI, quali sono l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (art. 29, co. 2 c.p.), l’inapplicabilità dell’amnistia e dell’indulto, se il decreto non dispone altrimenti (artt. 151 e 174 c.p.); divieto di concessione della sospensione condizionale della pena e del perdono giudiziale (art. 164, co. 2, c.p.); l’esclusione della prescrizione della pena per i delitti e raddoppio dei termini di prescrizione delle pene per le contravvenzioni (artt. 172 e 173 c.p.); raddoppio del termine necessario per ottenere la riabilitazione (art. 179, co. 3 c.p.).

PRONUNCIA DELLE FORME QUALIFICATE DI PERICOLOSITA’ SOCIALE
A differenza dell’abitualità e della professionalità, che possono essere pronunciate dal giudice in ogni tempo, la tendenza a delinquere può essere dichiarata solo con la sentenza di condanna (art. 109, co. 3).

DI PIÙ SULLA DICHIARAZIONE DI ABITUALITÀ
La Cassazione ha chiarito che «la dichiarazione di abitualità a delinquere è autonoma dalla misura di sicurezza. Mentre la dichiarazione non è soggetta a revoca, ma ad estinzione per effetto della riabilitazione,* la misura è revocabile al venir meno della pericolosità sociale* (Cass. pen. n. 3185 del 1984).

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9
Q

[9] La disciplina: applicazione e revoca delle misure di sicurezza

Applicazione, revoca ed estinzione delle misure di sicurezza

A

I meccanismi di applicazione delle misure di sicurezza sono disciplinati dagli artt. 205 ss. c.p.

CONDANNA, PROSCIOGLIMENTO O PROVV. SUCC.
Normalmente le misure di sicurezza vengono applicate con la sentenza di condanna o di proscioglimento, ma è possibile che in taluni casi siano ordinate con un provvedimento successivo dal magistrato di sorveglianza o siano disposte in via provvisoria, prima della sentenza definitiva.

ESECUZIONE DELLE MISURE
L’esecuzione delle misurepreceduta dall’esecuzione della pena eventualmente inflitta al soggetto.

A tal proposito, in base all’art. 211 c.p., bisogna distinguere:
- le ipotesi in cui le misure di sicurezza personali vengono disposte con sentenze di condanna
[La misura viene eseguita dopo che la pena sia stata scontata o estinta diversamente]
- le ipotesi in cui e misure di sicurezza personali sono ordinate con sentenza di proscioglimento.
[Si ritiene che l’esecuzione della misura debba avvenire una volta che la sentenza sia passata in giudicato, a meno che non venga disposta la misura provvisoria.]

In base all’art. 213 c.p., l’esecuzione deve essere caratterizzata da un particolare regime educativo, curativo e di lavoro, avuto riguardo alle tendenze, alle abitudini criminose della persona e al pericolo sociale che da esso deriva. A tal fine, il codice fissa in via presuntiva e preventiva un limite minimo alle varie misure di sicurezza, lasciando indeterminata la durata massima.

PRINCIPIO DELLA DURATA INDETERMINATA
Il principio della durata indeterminata discende dalle finalità del provvedimento, che è di rendere innocuo il soggetto, isolandolo per tutta la durata della sua pericolosità. Decorsa la durata minima, il giudice esamina nuovamente le condizioni della persona, effettuando la c.d. prognosi per rilascio, ai fini:
- della proroga della misura, nel caso in cui l’autorizzazione sia negativa (art. 208 c.p.),
- oppure della revoca (art. 207 c.p.), nel caso in cui gli obiettivi di recupero sociale normativamente fissati si ritengano raggiunti.

IPOTESI DI REVOCA DELLA MISURA DI SICUREZZA
Quanto alla revoca occorre distinguere 2 ipotesi:
i) decorso il periodo di durata minima della misura, il riesame della pericolosità è obbligatorio ed il magistrato di sorveglianza revoca la misura se la persona non risulta pericolosa, oppure in caso contrario stabilisce un nuovo termine;
ii) prima che sia decorso il periodo di durata, invece, il riesame è discrezionale, e può portare ad una revoca anticipata da parte del magistrato di sorveglianza (a seguito della censura della Corte costituzionale sull’art. 207, co. 2, c.p., nella parte in cui non prevedeva la possibilità di revoca anticipata).

SOSPENSIONE E TRASFORMAZIONE DELLE MISURE DI SIC.
Accanto alla revoca, occorre menzionare gli istituti della sospensione e della trasformazione, che possono essere disposti in presenza di precisi presupposti (art. 212 c.p.)

ESTINZ. DEL REATO ED ESTINZ DELLE MISURE DI SIC.
L’art. 210 c.p. prevede che l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l’esecuzione; l’estinzione della pena impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza, eccetto quelle per le quali la legge stabilisce che possono essere ordinate in ogni tempo, e quelle già ordinate dal giudice come misure accessorie di una condanna alla pena della reclusione superiore a 10 anni.

*Relativamente all’estinzione delle forme speciali di espiazione della pena alternative alla detenzione (ad es. l’affidamento in prova al servizio sociale), la Cassazione ha affermato che l’affidamento al servizio sociale è misura alternativa alla detenzione e pertanto l’esito positivo del periodo di prova comporta esclusivamente l’estinzione della pena detentiva e non della pena pecuniaria e delle misure di sicurezza (Cass. pen. n. 762/2004). *

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10
Q

[10] Le misure di sicurezza personali: premessa

Le categorie di misure di sicurezza

A

Le misure di sicurezza si dividono in 2 macrocategorie: le misure di sicurezza personali (le quali a loro volta si dividono in misure detentive e non detentive); le misure di sicurezza patrimoniali.

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11
Q

[11] Le misure di sicurezza detentive

Le misure di sicurezza personali detentive: in generale

A

Le misure di sicurezza detentive sono disciplinate dagli artt. 215 ss. c.p. e sono nell’ordine:
a) l’assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro;
b) il ricovero ad una casa di cura e custodia;
c) il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario;
d) il ricovero in un riformatorio giudiziario.

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12
Q

[12] Assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro

Le misure di sicurezza personali detentive: Assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro

A

SOGGETTI
L’assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro (art. 216 c.p.) si configura come una misura di sicurezza che viene applicata:
i) a coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza;
ii) a coloro che essendo stati dichiarati tali e non essendo più sottoposti a misura di sicurezza, commettono un nuovo delitto non colposo, che sia nuova manifestazione della abitualità, della professionalità o della tendenza a delinquere;
iii) alle persone condannate o prosciolte, negli altri casi espressamente indicati dalla legge.

DISCREZIONALITÀ DEL GIUDICE NELLA SCELTA DEL TIPO E DIFFERENZA
L’art. 216 c.p. rimette alla discrezionalità del giudice la scelta della misura da applicare, in considerazione delle condizioni e delle attitudini del soggetto agente, ferma restando la possibilità di modificare il provvedimento lungo il corso della sua esecuzione.

La distinzione tra colonia agricola e casa di lavoro si coglie in relazione al tipo di attività che vi si svolge. L’internamento in una di queste strutture avrebbe la finalità di assicurare il riadattamento sociale del delinquente mediante il lavoro.

DURATA MINIMA
L’assegnazione ha una durata minima di 1 anno, ma nei casi di pericolosità specifica è più lunga (2 anni per i delinquenti abituali, 3 anni per i delinquenti professionali e 4 anni per i delinquenti per tendenza).

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13
Q

[13] Assegnazione ad una casa di cura e di custodia

Le misure di sicurezza personali detentive: Assegnazione ad una casa di cura e di custodia

A

SOGGETTI
L’assegnazione a una casa di cura e di custodia (art. 219 c.p.) è una misura che si aggiunge alla pena ed è applicata a coloro che sono stati condannati ad una pena diminuita:
- per infermità psichica
,
- per cronica intossicazione da alcol o sostanze stupefacenti
- per sordomutismo.

La misura può essere applicata anche:
i) a coloro che siano stati condannati alla reclusione per delitti commessi in stato di ubriachezza, se abituale (art. 221 c.p.)
ii) a coloro che sono sottoposti ad una diversa misura di sicurezza detentiva e vengono colpiti da una patologia mentale che non comporta il ricovero in un ospedale psichiatrico
iii) a coloro che soffrono di un infermità psichica ma non possono essere sottoposti a libertà vigilata, vista la loro pericolosità o della incapacità di affidarli alle persone obbligate a curare la loro educazione
iv) a coloro che si trovano in stato di infermità psichica e che durante la libertà vigilata si siano rivelate di nuovo pericolose (art. 232 c.p.).

DURATA MINIMA
La durata minima dell’assegnazione varia da 6 mesi a 3 anni ed è proporzionata alla pena edittale.

RICOVERO PRIMA DELL’ESECUZIONE DELLA PENA
Può essere prevista la possibilità di ordinare il ricovero prima dell’esecuzione della pena restrittiva qualora l’immediata esecuzione della pena possa ulteriormente aggravare le particolari condizioni di infermità psichica del condannato.

INCOMPATIBILITA’ CON ALTRE MIS. DETENTIVE
Quando viene ordinato il ricovero in una casa di cura o di custodia non può essere applicata un’altra misura di sicurezza detentiva, in quanto le altre misure pur perseguendo fini custodiali non tendono alla cura del soggetto che subisce il provvedimento restrittivo della libertà.

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14
Q

[14] Ricovero in un ospedale psichiatrico

Le misure di sicurezza personali detentive: Ricovero in un ospedale psichiatrico

A

SOGGETTI
La misura del ricovero in un ospedale psichiatrico (art. 222 c.p.) si applica ai soggetti non imputabili per infermità di mente, intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti o per sordomutismo, purché gli stessi risultino essere socialmente pericolosi, ad eccezione dei minori.

Il ricovero in questa tipologia di struttura trova applicazione nei confronti di soggetti a favore dei quali sia stata pronunciata una sentenza di proscioglimento per ragioni relative alle condizioni di cui sopra o nei confronti di coloro che sono sottoposti ad una misura di sicurezza detentiva diversa ma che a causa del sopraggiungere di un’infermità psichica necessitano di particolari cure.

DURATA MINIMA
In ordine alla durata, la norma stabilisce un tempo minimo di 10 anni, se il fatto criminoso commesso è punito con la pena dell’ergastolo e di 5 anni se la sanzione prevista è la reclusione non inferiore a 10 anni.

CORTE COSTITUZIONALE PRONUNCIA
Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono stati aboliti nel 2015 (l. n. 81 del 2014), e sostituiti dai REMS (residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria). Sull’art. 222 c.p. si era più volte espressa la Corte costituzionale, che con la sentenza n. 253 del 2003 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo “nella parte in cui non consente al giudice di adottare, al posto del ricovero in ospedale psichiatrico, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure per l’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale”.

Sulla scia di tale interpretazione, il legislatore ha stabilito che il giudice deve disporre nei confronti dell’infermo e del seminfermo di mente una misura di sicurezza diversa dal ricovero in ospedale giudiziario o in una casa di cura e di custodia, a meno che da determinati elementi acquisiti risulti l’inidoneità di qualsiasi misura diversa ad assicurare cure adeguate e a far fronte alla pericolosità sociale del soggetto.

Inoltre, la legge di riforma, introdue nuove indicazioni in ordine al relativo giudizio di pericolosità sociale: l’accertamento della pericolosità prescinde dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale (in deroga all’art. 133, co. 2 n. 4 c.p.) e si fonda sulle qualità soggettive della persona.

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15
Q

[15] Ricovero in un riformatorio giudiziario

Le misure di sicurezza personali detentive: Ricovero in un riformatorio giudiziario

A

SOGGETTI 1/2
Il ricovero in un riformatorio giudiziario (artt. 223-224 c.p.) è una misura speciale applicabile ai minori di anni 14 e ai minori di anni 18 riconosciuti non imputabili, che abbiano commesso un delitto e siano pericolosi.

SCELTA TRA RIFORMATORIO E LIBERTA’ VIGILATA
Il giudice può applicare in alternativa il riformatorio o la libertà vigilata: la scelta dipende dalla valutazione delle circostanze presenti, operata prendendo in considerazione la gravità del fatto criminoso compiuto e le condizioni familiari e ambientali in cui il minore ha vissuto e nelle quali si è sviluppata la sua personalità.

INCOSTITUZIONALITA’ DELL’AUTOMATISMO
Il secondo comma dell’art. 224 c.p. è stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale nella parte in cui si presuppone l’automatica e obbligatoria applicazione della misura di sicurezza del riformatorio giudiziario per almeno 3 anni, quando il minore compie un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione per un periodo non inferiore al minimo di 3 anni.

SOGGETTI 2/2
La misura è altresì applicata (art. 225 c.p.) ai minori che hanno un’età compresa tra i 14 e i 18 anni, riconosciuti imputabili, potendo il giudice ordinare (dopo l’espiazione della pena) o la misura del riformatorio giudiziario o la libertà vigilata, in base ad una valutazione discrezionale relativa alla gravità del fatto e alle condizioni ambientali in cui il minore ha vissuto. Infine, la misura si applica al minore di 18 anni che sia delinquente abituale, professionale o per tendenza.

MODALITÀ
La misura si esegue nella forma del collocamento in comunità, sia essa una struttura pubblica o privata.

ALTRO PER RIEDUCAZIONE
Il giudice, al fine di garantire che lo strumento penale persegua il recupero sociale del minore, ha il potere poi di impartire al minore «eventuali specifiche prescrizioni inerenti alle attività di studio, di lavoro oppure ad altre attività utili per la sua rieducazione».

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16
Q

[16] Le mis. di sic. pers.non detentive: classific. e singole previsioni

Le misure di sicurezza personali non detentive: classificazione

A

Le misure di sicurezza personali non detentive sono:
a) libertà vigilata;
b) divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province;
c) divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche;
d) espulsione dello straniero dallo Stato.

17
Q

Le misure di sicurezza personali non detentive: Libertà vigilata

A

La libertà vigilata (art. 228 c.p.) consiste in una limitazione della libertà personale del soggetto, attuata mediante un complesso di prescrizioni a contenuto positivo e negativo, diretto ad impedire il compimento di nuovi reati e a facilitare l’inserimento sociale.

CONTENUTO DELLE PRESCRIZIONI
La legge non stabilisce espressamente il contenuto di tali prescrizioni che, in genere, consistono:
- nell’obbligo di darsi ad un lavoro stabile
- di non ritirarsi la sera dopo una certa ora
- di non uscire la mattina prima di un’altra certa ora
- di non accompagnarsi a pregiudicati
- di non trattenersi in osterie o spacci di bevande alcoliche
- di non partecipare senza permesso dell’Autorità a spettacoli pubblici
- di non portare addosso strumenti atti ad offendere.

DURATA MINIMA
La sorveglianza della persona in stato di libertà vigilata ha una durata minima di 1 anno ed è affidata all’autorità di pubblica sicurezza.

LIB VIG FACOLTATIVA E OBBLIGATORIA
Il codice distingue 2 ipotesi di applicazione della libertà vigilata:

  • FACOLTATIVA (art. 229 c.p.) → nel caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore ad 1 anno e nei casi in cui il Codice penale autorizza una misura di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato;
  • OBBLIGATORIA (art. 230 c.p.) → se:
  • è inflitta la pena della reclusione per non meno di 10 anni (e in tal caso, la durata minima è di 3 anni);
  • quando il condannato è ammesso alla liberazione condizionale;
  • il contravventore abituale o professionale, non essendo più sottoposto a misure di sicurezza, commette un nuovo reato;
  • negli altri casi stabiliti dalla legge.

TRASGRESSIONE
In caso di trasgressione degli obblighi imposti al vigilato il giudice può aggiungere la cauzione di buona condotta.

Controlla il libro, facoltativa e obbligatoria forse non vanno memorizzate

18
Q

Le misure di sicurezza personali non detentive: Divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province

A

(S)OGGETTI
Il divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province (art. 233 c.p.) è una misura che si applica per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico oppure per un delitto commesso per motivi politi o occasionato da particolari condizioni sociali o morali esistenti in un determinato luogo.

COSTITUZIONALITA’
La disposizione ha sollevato dubbi di costituzionalità con riferimento all’art. 16 Cost., che consente di limitare la libertà di circolazione e soggiorno solo per motivi inerenti alla sicurezza e alla sanità e non per ragioni legate a delitti politici o contro l’ordine pubblico.

DURATA MINIMA E TRASGRESSIONE
La durata minima è di 1 anno e in caso di trasgressione il termine minimo ricomincia a decorrere e può essere ordinata la libertà vigilata.

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Le misure di sicurezza personali non detentive: Divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche

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S(OGGETTI)
Il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche (art. 234 c.p.) consiste in una misura che si applica ai condannati per ubriachezza abituale o per reati commessi in stato di ubriachezza abituale, sempre in aggiunta alla pena.

Si tratta di una misura che incide sulla libertà di circolazione del soggetto che la subisce e si sostanzia nel divieto di frequentare assiduamente luoghi nei quali vengono coltivate abitudini di vita poco raccomandabili, che potrebbero eliminare la possibilità di un concreto reinserimento sociale dell’interessato.

L’applicazione non è una conseguenza automatica della abitualità nell’uso di sostanze alcoliche, ma esige il previo accertamento della pericolosità sociale della persona.

Ha una durata minima di 1 anno.

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Le misure di sicurezza personali non detentive: Espulsione o allontanamento dello straniero dallo stato

A

L’espulsione o allontanamento dello straniero dallo Stato (art. 235 c.p.) è una misura di allontanamento coattivo dello straniero dal territorio italiano quando la sua presenza può essere considerata pericolosa, ed è orientata a contrastare l’ingresso e la permanenza nel territorio dello Stato di soggetti che non hanno titolo per soggiornarvi.

SOGGETTI
Per quanto riguarda i destinatari del provvedimento, accanto al cittadino extracomunitario (entrato clandestinamente o espulso dal territorio nazionale), è prevista anche per il cittadino dell’UE.

CRITERI OGGETTIVI
Quanto ai criteri oggettivi, si richiede una condanna alla reclusione per un tempo superiore a 2 anni e l’accertamento della pericolosità sociale del reo, intesa come possibilità di reiterazione dei reati.

L’art. 235, co. 3 c.p. prevede che «il trasgressore dell’ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni. In tal caso è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto, anche fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo».

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[17] Le misure di sicurezza patrimoniali

Le misure di sicurezza patrimoniali: classificazione

A

Il codice disciplina 2 tipologie di misure patrimoniali:
a) la cauzione di buona condotta;
b) la confisca.

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[18] La cauzione di buona condotta

Le misure di sicurezza patrimoniali: Cauzione di buona condotta

A

COS’È
La cauzione di buona condotta si esegue attraverso il deposito di una somma di denaro presso la “Cassa delle ammende”, oppure mediante la prestazione di una garanzia ipotecaria o di una fideiussione solidale avente ad oggetto una somma equivalente.

FINALITA’ DELLA MISURA
La finalità della misura, che a differenza della confisca è applicabile solo a soggetti ritenuti in concreto socialmente pericolosi, è quella di distogliere il soggetto dal commettere nuovi reati, prospettandogli come conseguenza il danno patrimoniale conseguente alla perdita della somma depositata oppure all’esecuzione della garanzia prestata.

SOGGETTI
La misura, prevista in alternativa o in aggiunta alla libertà vigilata, si rivolge a coloro che:
a) sono stati sottoposti all’assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro, al termine del quale il giudice non ritiene opportuno applicare la libertà vigilata;
b) trasgrediscono le prescrizioni imposte della libertà vigilata;
c) non rispettano il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche.

DURATA MINIMA E MASSIMA
La legge stabilisce per questa misura una durata minima pari ad 1 anno e una durata massima pari a 5 anni. La misura non è prorogabile, non essendo ammesso il riesame della pericolosità.

IN/ADEMPIMENTO DELLA BUONA CONDOTTA
Qualora l’obbligo di buona condotta venga adempiuto la somma sarà restituita, l’ipoteca cancellata e la fideiussione estinta. Nel caso in cui, invece, colui che è sottoposto alla misura della buona condotta commette un delitto o una contravvenzione punibile con l’arresto, la somma depositata o per la quale è stata prestata garanzia viene devoluta alla Cassa delle ammende.

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[19] La confisca

Le misure di sicurezza patrimoniali: Confisca

A

DEFINIZIONE
La confisca consiste in un procedimento ablatorio patrimoniale volto allo spossessamento definitivo di un bene attinente ad un reato o di per sé criminoso, a favore della pubblica autorità che lo dispone.

In altri termini, si tratta di un’espropriazione, ad opera dello Stato, di cose che servirono per commettere il reato o che ne sono il prodotto o il profitto.

NATURA MULTIFORME
Nell’ordinamento italiano la confisca ha natura multiforme essendo preordinata ad assolvere una pluralità di funzioni tra loro distinte a seconda delle specifiche finalità che persegue.
Accanto al modello codicistico di confisca (art. 240 c.p.), che sicuramente è inquadrabile come misura di sicurezza, ha fatto seguito, nel corso degli anni, la proliferazione di ipotesi speciali di confisca, tale da infrangere l’unitarietà dell’istituto, pur nella comunanza degli effetti espropriativi (assumendo a volte funzione preventiva, altre volte funzione punitiva, altre ancora funzione ripristinatoria).

MODELLO ORIGINARIO (240)
Il modello originario di confisca (art. 240 c.p.) è cristallizzato nell’ambito delle misure di sicurezza: la norma dispone l’applicabilità della misura patrimoniale su cose legate a filo doppio al reato (di cui costituiscono profitto, prodotto o prezzo, svolgendo la funzione di neutralizzare la pericolosità sociale connessa alla persistente disponibilità della cosa.
Infatti, le cose su cui la stessa confisca incide, essendo caratterizzate da un legame pertinenziale con il reato commesso, potrebbero costituire un fattore di incentivo alla reiterazione della condotta criminosa.

NUOVE FORME DI CONFISCA
Dagli anni 80 vi è stata però una riconduzione, all’interno dell’istituto della confisca, di misure ablatorie che spesso sono destinate ad incidere su beni che non presentano alcun legame con il reato, così** annullando la funzione di neutralizzazione della pericolosità sociale**, per sostituirla con una funzione afflittiva e sanzionatoria (più vicina alle pene che non alle misure di sicurezza).
Visto ciò, la giurisprudenza e la dottrina continuano a chiedersi se debba operare il regime di retroattività sfavorevole dettato per le misure di sicurezza (ex art. 200 c.p.) oppure se la connotazione sanzionatoria afflittiva delle stesse non debba comportare un rigoroso rispetto del principio di irretroattività sfavorevole, ai sensi degli artt. 25, co. 2 Cost. e 7 CEDU.

A prescindere dalle varie “tipologie di confisca”, l’istituto come disciplinato dall’art. 240 c.p. prevede due tipologie di confisca: una facoltativa e una obbligatoria.

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Confisca: analogie e differenze con le altre misure di sicurezza

A

Con le altre misure di sicurezza la confisca condivide lo scopo di prevenzione dei reati, ma se ne differenzia per i presupposti, dato che normalmente le misure di sicurezza richiedono la pericolosità del soggetto, mentre la confisca richiede la pericolosità della cosa.

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Confisca facoltativa

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L’art. 240 co. 1 c.p. stabilisce che «nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto».

LA DISCREZIONALITÀ
L’ablazione è rimessa alla discrezionalità del giudice: tale potere è esercitato in vista di una finalità di prevenzione speciale, nel senso che si tratterà di **accertare in concreto la necessità di acquisire quel determinato bene connesso al reato in quanto potrebbe costituire uno stimolo alla commissione di nuovi reati. **
In questo caso, il giudice deve adeguatamente motivare la sua scelta discrezionale.

PRESUPPOSTI DELLA CONFISCA FACOLTATIVA
Al fine dell’erogazione della confisca facoltativa sono necessari 2 presupposti (art. 240, co. 1 e 3):
- una sentenza di condanna che accerti la responsabilità penale dell’imputato;
- la proprietà del bene oggetto della confisca in capo al reo, non potendo essere oggetto di confisca facoltativa la cosa di proprietà di un soggetto diverso dall’autore o da un concorrente nel reato;

OGGETTO DELLA CONFISCA FACOLTATIVA
Quanto all’oggetto della confisca facoltativa, l’art. 240 c.p. indica 2 categorie di res:

  • gli instrumenta sceleris → «Le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato»: sono il mezzo che ha reso possibile l’esecuzione del reato, che in altro modo non avrebbe potuto essere realizzato nella forma voluta dall’agente. Le “cose che servirono”, sono quelle effettivamente utilizzate dal reo; le “cose che furono destinate” a commettere il fatto sono quelle predisposte per la commissione del fatto ma che in concreto non sono state utilizzate. **Si tratta di cose che con il reato devono presentare un rapporto causale diretto e immediato. **
  • i producta sceleris«le cose che sono il prodotto o il profitto del reato»: con la nozione di “prodotto del reato” s’intende il risultato empirico dell’esecuzione criminosa che deve presentare un rapporto di derivazione causale diretta; per “profitto” invece, si intende il vantaggio economico oppure il beneficio aggiunto di tipo patrimoniale di diretta derivazione causale dall’attività del reo.
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Confisca obbligatoria

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L’art. 240 co. 2 c.p. stabilisce che «è sempre ordinata la confisca:
1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato;
1-bis)** dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati in ambito informatico**, nonché dei beni che ne costituiscono il profitto o il prodotto ovvero di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il colpevole ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto, se non è possibile eseguire la confisca del profitto o del prodotto diretti;
2) delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione costituisce reato, anche se non è stata pronunciata sentenza di condanna».

La disposizione, nel delineare il quadro di possibili oggetti suscettibile di confisca, individua come sempre confiscabile il prezzo del reato, i beni informatici o telematici utilizzati per la commissione di reati prettamente informatici, nonché le cose intrinsecamente criminose. Quest’ultime devono sempre essere confiscate, «anche se non è stata pronunciata condanna» (art. 240, co. 2, n. 2).

PREZZO DEL REATO
Per prezzo si intende il compenso dato o promesso per indurre, istigare e determinare un altro soggetto a commettere il reato: rappresenta, in altre parole, un fattore di promozione causale. Il carattere obbligatorio di questa ipotesi di confisca riflette una presunzione di pericolosità delle cose che sono state corrisposte per commettere un reato, nel senso che se rimanessero nella disponibilità dell’istigato, potrebbero generare l’idea che “il delitto paga” e potrebbero quindi costituire un incentivo alla commissione di nuovi reati.

STRUMENTI INFORMATICI UTILIZZATI NEL REATO
Per strumenti informatici si intendono oggi (art. 15, l. n. 12 del 2012) anche i beni informatici o telematici utilizzati per la commissione di reati prevalentemente informatici.

COSE INTRINSECAMENTE CRIMINOSE: SVILUPPI GIURISPRUDENZIALI
La circostanza che la possibilità di disporre la confisca pur in assenza di una sentenza di condanna venga espressamente accordata solo relativamente alle cose intrinsecamente criminose ha indotto l’orientamento giurisprudenziale maggioritario a ritenere che le ulteriori altre ipotesi in cui può essere applicata la confisca richiedano necessariamente una previa sentenza di condanna.
La tesi opposta, che si fonda sulla valorizzazione del combinato disposto degli artt. 236, co. 2 e 210 c.p. (secondo cui l’estinzione del reato non preclude la confisca), ritiene invece che il giudice potrebbe applicare le misure di ablazione patrimoniale anche in caso di estinzione del reato per prescrizione.
Quest’ultima chiave di lettura non aveva trovato ampio seguito nella giurisprudenza di legittimità, ancorata all’idea della necessaria presenza di una pronuncia di condanna per legittimare la misura patrimoniale, esigenza espressa dall’art. 240, co. 1 c.p. e confermata anche da riscontri di carattere processuale stante la considerazione secondo la quale la confisca può essere adottata solo all’esito di precisi accertamenti fattuali preclusi da una declaratoria di estinzione del reato.
Tuttavia, evidenziando le criticità implicite in un’impostazione di questo tipo, legate in primo luogo all’eventualità, del tutto deprecabile sul piano morale, che il reo, non punibile per qualsiasi causa, possa giovarsi del denaro che egli abbia ottenuto commettendo il fatto delittuoso, alcune pronunce successive della Corte di cassazione hanno dato luogo ad un autentico revirement in materia, sottolineando come non sia del tutto estranea all’ordinamento italiano la circostanza per cui si possa procedere ad un sostanziale accertamento di responsabilità nonostante vi sia una sentenza di proscioglimento (si pensi alle statuizioni contenute nella sent. n. 49 del 2015 della Corte cost. attinente alla controversa ipotesi della confisca urbanistica).
Le esposte argomentazioni sono state fatte proprie anche da una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza Lucci) , la quale ha prospettato la possibilità di disporre la confisca del prezzo e del profitto del reato anche in caso di prescrizione se vi è stata una precedente pronuncia di condanna.
I giudici di legittimità hanno affermato, infatti, che la confisca diretta del prezzo del reato non rappresenta una vera e propria pena, come tale non presupponente un giudicato formale di condanna come unica fonte adatta a svolgere le funzioni di titolo esecutivo: quello che risulta necessario è che la responsabilità sia stata accertata con una precedente sentenza di condanna, ancorché non definitiva e sebbene il processo si sia successivamente concluso con una dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione .
Infatti, la Corte ha affermato che «il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può applicare, a norma dell’art. 240, co. 2, n. 1 c.p., la confisca del prezzo e, a norma dell’art. 322 ter c.p., la confisca del prezzo o del profitto del reato sempre che si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato» [Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2015, n. 31617, Lucci].
Valorizzando la ratio della sentenza Lucci appena citata, parte della giurisprudenza successiva ha ritenuto applicabili i medesimi principi anche alla confisca facoltativa: se infatti è la finalità preventiva che giustifica un’interpretazione in senso sostanziale del concetto di ‘condanna’, allora lo stesso vale nell’ipotesi di confisca facoltativa (le due ipotesi condividendo la medesima finalità special-preventiva). Peraltro, la praticabilità di una simile estensione è stata negata da Cass., Sez. V, sent. n. 52/202112. La Corte ha osservato che già la sentenza Lucci ha operato un’estensione dei principi elaborati in tema di confisca urbanistica alle altre ipotesi di confisca obbligatoria (estensione, peraltro, già criticata da alcuni autori, i quali hanno osservato che il legislatore in tema di confisca urbanistica utilizza il termine ‘accertamento’, mentre nell’art. 240 c.p. è utilizzato il termine ‘condanna’). La scelta di estendere il dictum di Lucci anche alle ipotesi di confisca facoltativa del profitto rappresenta una duplice estensione in malam partem di principi elaborati con riferimento ad ipotesi diverse (le ipotesi di confisca obbligatoria), costituendo 244 pertanto una violazione del principio di legalità.
Contrasterebbe inoltre con la scelta del legislatore: l’art. 578 bis c.p.p., infatti, nell’ammettere la confisca anche nelle ipotesi di intervenuta prescrizione restringe il suo ambito applicativo alla confisca “in casi particolari” – così dimostrando la volontà del legislatore di non intendere tale regola come regola ‘generale’ applicabile a tutte le ipotesi di confisca. Ciò anche in quanto nell’applicare la confisca facoltativa il giudice deve motivare in ordine alla pericolosità della res, obbligo motivazionale che verrebbe sacrificato ingiustamente se si ammettesse la possibilità per il giudice del grado successivo di applicare la confisca nel pronunciare il proscioglimento per intervenuta prescrizione.

[Rivedi questo contrasto giurisprudenziale]